Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19519 del 23/09/2011

Cassazione civile sez. trib., 23/09/2011, (ud. 09/06/2011, dep. 23/09/2011), n.19519

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MERONE Antonio – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 29665/2007 proposto da:

M.S., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA

CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato

e difeso dall’avvocato GIACOBINA Roberto, giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI CHIVASSO UFFICIO TRIBUTI, in persona del Sindaco pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA 216 VIALE GIULIO CESARE 14

A-4, presso lo studio dell’avvocato PAFUNDI Gabriele, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati CASAVECCHIA MARCO,

REDI GIULIETTA, giusta delega a margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 38/2006 della COMM. TRIB. REG. di TORINO,

depositata il 29/09/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/06/2011 dal Consigliere Dott. CAMILLA DI IASI;

preso atto che il P.G. non ha formulato osservazioni sulla relazione

ex art. 380 bis c.p.c., notificatagli.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

1. M.S. propone ricorso per cassazione nei confronti del Comune di Chivasso (che resiste con controricorso) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di avviso di accertamento in rettifica per Tarsu relativa all’anno 2000, la C.T.R. Piemonte riformava la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso introduttivo.

2. Il primo motivo di ricorso (col quale si deduce violazione di norme di diritto rilevando che erroneamente i giudici d’appello, a fronte di specifica contestazione dell’appellato il quale aveva dichiarato di non aver ricevuto l’atto d’appello, avevano ritenuto – sulla base di una presunzione fondata sull’importo della tassa postale pagata dall’appellante – che il suddetto atto d’appello fosse stato ricevuto benchè spedito in busta e non in plico, come espressamente previsto dalla legge) è manifestamente infondato, posto che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, nel processo tributario la spedizione del ricorso o dell’atto d’appello a mezzo posta in busta chiusa, pur se priva di qualsiasi indicazione relativa all’atto in esso racchiuso, anzichè in plico senza busta come previsto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 20, costituisce una mera irregolarità se il contenuto della busta e la riferibilità alla parte non siano contestati, essendo, altrimenti, onere del ricorrente o dell’appellante dare la prova dell’infondatezza della contestazione formulata (v. Cass. n. 13666 del 2009) e che nella specie (con valutazione sindacabile in questa sede di legittimità solo per vizio di motivazione, nella specie non proposto) i giudici d’appello hanno ritenuto che fosse stata fornita dal Comune (ancorchè per presunzioni) la prova del ricevimento dell’atto d’appello da parte dell’appellato.

Con gli ulteriori due motivi la ricorrente deduce vizio di motivazione della sentenza impugnata rilevando che i giudici d’appello – una volta ritenuta l’insussistenza della violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, sulla base della quale i primi giudici avevano dichiarato l’illegittimità dell’avviso opposto – non si erano pronunciati sugli ulteriori profili di illegittimità – riguardanti, sotto diversi aspetti, la motivazione del medesimo avviso dedotti dalla contribuente in primo grado e sui quali i giudici della C.T.P. non si erano pronunciati.

Le censure in esame presentano diversi profili di inammissibilità.

In proposito, prescindendo da ogni altra considerazione, è sufficiente rilevare che dalla sentenza impugnata non risulta che nell’atto introduttivo fosse stata denunciata l’illegittimità dell’avviso opposto per i vizi di motivazione di cui alle predette censure, e in ogni caso non risulta che le relative questioni – ove anche proposte in primo grado – fossero state specificamente riproposte in appello (risultando invece che l’appellata si limitò nelle proprie controdeduzioni ad eccepire l’inammissibilità dell’impugnazione D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 53). Tanto premesso, la ricorrente non deduce in ricorso di avere specificamente riproposto in appello le suddette questioni (nè tanto meno riporta in ricorso – ai fini dell’autosufficienza del medesimo – e neppure produce unitamente al ricorso – ex art. 369 c.p.c., n. 4 – gli atti in cui le medesime furono proposte in primo grado ed, eventualmente, specificamente riproposte in appello), con la conseguenza che non risulta la sussistenza delle condizioni perchè il giudice d’appello avesse l’obbligo di pronunciarsi (e motivare) sulle suddette questioni, atteso che, a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56 (che riprende l’art. 346 c.p.c.), “le questioni ed eccezioni non accolte nella sentenza della commissione provinciale, che non sono specificamente riproposte in appello, si intendono rinunciate”.

Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 700,00 di cui Euro 600,00 per onorari oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2011

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