Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19519 del 08/07/2021

Cassazione civile sez. lav., 08/07/2021, (ud. 03/11/2020, dep. 08/07/2021), n.19519

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16423/2014 proposto da:

V.L., già legale rappresentante della FONDAZIONE OPERA

PIA MASTAI FERRETTI – STABILIMENTO PIO, FONDAZIONE OPERA PIA MASTAI

FERRETTI STABILIMENTO PIO, esercente attività di assistenza sociale

residenziale in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GIROLAMO DA CARPI 6, presso

lo studio dell’avvocato GUGLIELMO PERICOLI, rappresentati e difesi

dall’avvocato FRANCO MANONI;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – DIREZIONE PROVINCIALE ANCONA;

– intimata –

avverso il provvedimento n. 43/2014 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 31/01/2014 R.G.N. 380/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/11/2020 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’accoglimento dei primi due

motivi e assorbiti il terzo e il quarto motivo;

udito l’Avvocato GUGLIELMO PERICOLI per delega verbale Avvocato

FRANCO MANONI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle Entrate di Ancona notificò a V.L., responsabile principale ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 3, quale legale rappresentante della Fondazione Opera Pia Mastai Ferretti Stabilimento Pio ed alla Fondazione medesima in persona del legale rappresentante p.t., solidalmente obbligata con il primo ai sensi dell’art. 6,comma 3, Legge cit., ordinanza ingiunzione per il pagamento della complessiva somma di Euro 30.887,32 a titolo di sanzione amministrativa per avere, in violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 9, conferito a A.G. l’incarico di svolgimento di attività professionale di infermiere senza la preventiva autorizzazione dell’amministrazione pubblica di appartenenza del medesimo (Ministero della Marina Militare) e per non avere comunicato all’amministrazione di appartenenza, entro i termini stabiliti dell’art. 53, comma 11, D.Lgs. cit., i compensi erogati all’ A. nel corso dell’anno di riferimento.

2. Il giudice di primo grado respinse la opposizione proposta dal V. e dalla Fondazione.

3. La Corte di appello di Ancona, in parziale riforma della decisione nel resto confermata, ha rideterminato la sanzione irrogata in Euro 25.844,44.

4. Il giudice di appello ha confermato la valutazione di prime cure circa la coscienza e volontà della condotta sanzionata da parte del trasgressore, stante la conoscibilità da parte della Fondazione, facendo uso della ordinaria diligenza, della qualità di pubblico dipendente dell’ A.; in questa prospettiva ha escluso l’applicabilità della L. n. 689 del 1981, art. 23, in tema di assenza di prove sufficienti della responsabilità del trasgressore; in relazione all’entità della sanzione, esclusi i presupposti per farsi luogo al cumulo giuridico L. n. 689 del 1981, ex art. 8, possibile solo in ipotesi di concorso formale, ha osservato che, in concreto, l’inadempimento dell’obbligo di comunicare le retribuzioni non era “distintamente offensivo” dell’interesse al controllo successivo dell’amministrazione che non sia stata messa in grado di esercitare quello preventivo ad avvalersi del proprio potere di negare l’autorizzazione; secondo il giudice di appello, quindi, la distinta previsione sanzionatoria, concernente l’omissione dell’obbligo di comunicazione annuale dei compensi, trovava applicazione nella sola ipotesi in cui alla comunicazione dell’assunzione ed alla conseguente autorizzazione da parte della Pubblica Amministrazione non aveva fatto seguito la comunicazione dei compensi; solo in tale caso, infatti, la condotta omissiva acquisiva autonomo rilievo, mentre nella diversa ipotesi di assenza di comunicazione la condotta omissiva degradava “ad una sorta di post factum non autonomamente punibile”. A tanto conseguiva la rideterminazione della complessiva somma oggetto di ingiunzione dalla quale doveva essere scorporato l’importo corrispondente alla sanzione – non applicabile in concreto – connessa alla mancata comunicazione dei compensi erogati all’Amministrazione datrice di lavoro dell’ A..

5. V.L. e Fondazione Opera Pia Mastai Ferretti Stabilimento Pio hanno chiesto la cassazione della decisione sulla base di quattro motivi; l’Agenzia delle Entrate è rimasta intimata anche dopo il rinnovo della notifica del ricorso per cassazione disposto all’adunanza camerale del giorno 6 novembre 2019, all’esito della quale la causa è stata rinviata a nuovo ruolo e quindi fissata per la odierna udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti deducono violazione e/o falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 3, errata qualificazione processuale in capo alle parti e comunque errata valutazione dei fatti e degli obblighi incombenti sulle parti. Sostengono, in sintesi, che nei confronti della Fondazione e del suo rappresentante non era configurabile alcuna colpa in quanto indotti in errore dal comportamento dell’ A., il quale non aveva mai fatto riferimento al rapporto di lavoro con una pubblica amministrazione ed era titolare di partita IVA per le sue attività libero professionali; né poteva esigersi una specifica attività di indagine volta ad accertare la natura di pubblico dipendente dell’ A. da parte della Fondazione che aveva fatto legittimo affidamento sul comportamento di questi e sulla documentazione esibita. Deduce, inoltre, che la Corte di merito aveva errato nell’escludere un rapporto di pregiudizialità tra il presente procedimento e il procedimento penale a carico dell’ A., imputato di truffa nei confronti dell’Amministrazione sua datrice di lavoro, in quanto la condotta ingannatoria era stata consumata anche nei confronti della Fondazione.

2. Con il secondo motivo deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., ed omessa motivazione in ordine alla richiesta di esenzione di responsabilità. Lamentano l’omessa motivazione sulla richiesta di annullamento della ordinanza ingiunzione per essere le condotte ascritte frutto di errore non imputabile.

3. Con il terzo motivo deducono violazione e/o falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 23 e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa la sussistenza di prove sufficienti della responsabilità a carico della Fondazione e del legale rappresentante della stessa per le condotte ascritte.

4. Con il quarto motivo di ricorso deducono nullità della sentenza per insanabile contrasto tra dispositivo e motivazione in ordine all’importo oggetto di annullamento.

4.1. Premettono che nel determinare l’importo oggetto di ingiunzione l’Agenzia delle Entrate aveva applicato la sanzione di Euro 5.032,88 e di Euro 10.405,78 per la mancata autorizzazione relativamente agli anni 2007 e 2008 ed applicato la sanzione di ulteriori Euro 5.032, 88 e di Euro 10.405,78 per la mancata comunicazione dei compensi corrisposti per i medesimi anni. Ciò posto e ricordato che il giudice di appello aveva ritenuto non applicabile nella specie la sanzione per omessa comunicazione dei compensi, affermano che la liquidazione della somma dovuta in misura pari a Euro 25.844,44, risultava incomprensibile.

5. Il primo motivo di ricorso è infondato.

5.1. Il giudice di merito ha affermato che per integrare l’elemento soggettivo del comportamento sanzionato era sufficiente la coscienza e volontà dell’omissione e che tale elemento non veniva meno per il fatto che l’ A. aveva taciuto l’esistenza del rapporto di lavoro dipendente con la Pubblica Amministrazione (Ministero della Marina Militare) in quanto la Fondazione non aveva neppure richiesto all’infermiere di chiarire la sua situazione mediante ad esempio la produzione della relativa dichiarazione dei redditi.

5.2. La decisione è in punto di diritto coerente con i principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte, che in questa sede si intende confermare, la quale ha chiarito che in tema di sanzioni amministrative, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 3, è necessaria e al tempo stesso sufficiente la coscienza e volontà della condotta attiva o omissiva, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa, giacché la norma pone una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, riservando poi a questi l’onere di provare di aver agito senza colpa. Ne deriva che l’esimente della buona fede, applicabile anche all’illecito amministrativo disciplinato dalla L. n. 689 del 1981, rileva come causa di esclusione della responsabilità amministrativa – al pari di quanto avviene per la responsabilità penale, in materia di contravvenzioni – solo quando sussistano elementi positivi idonei a ingenerare nell’autore della violazione il convincimento della liceità della sua condotta e risulti che il trasgressore abbia fatto tutto quanto possibile per conformarsi al precetto di legge, onde nessun rimprovero possa essergli mosso; la dimostrazione di avere agito in buona fede grava sull’agente (Cass. 18/06/2020, n. 11777; Cass. 31/07/2018, n. 20219; Cass. 11/06/2007, n. 13610).

5.3. Le ulteriori deduzioni di parte ricorrente, intese a valorizzare la condotta dell’ A., il quale aveva omesso di dichiarare la esistenza del rapporto di lavoro dipendente con la Pubblica Amministrazione, come idonea ad ingenerare una situazione di buona fede in capo all’agente sono infondate alla luce di quanto affermato da questa Corte in fattispecie identica a quella in esame nella quale si è ritenuto che l’esperimento di incarichi extraistituzionali retribuiti da parte di dipendenti della P.A. è condizionato al previo rilascio di autorizzazione da parte dell’amministrazione di appartenenza, con un onere di verifica dell’assenza delle condizioni che ne impongono la richiesta posto a carico dell’ente pubblico economico o del datore di lavoro privato conferenti, dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 9, senza che detta verifica possa essere surrogata dalle dichiarazioni dei lavoratori che attestino la superfluità dell’autorizzazione, in quanto inidonee ad elidere la colposità della condotta del conferente (Cass. 20/05/2020, n. 9289).

5.4. Quanto osservato assorbe l’esame delle ulteriori censure formulate con il motivo in esame anche con riferimento al preteso rapporto di pregiudizialità tra il procedimento penale a carico dell’ A. per truffa nei confronti dell’Amministrazione di appartenenza e il presente procedimento, questione comunque evocata in termini non coerenti con il criterio di autosufficienza del ricorso per cassazione.

6. Il secondo motivo di ricorso presenta un profilo di inammissibilità in quanto articolato con modalità non idonee a consentire la verifica dello specifico vizio denunziato; parte ricorrente, infatti, nella relativa illustrazione, sembra prospettare in maniera indifferenziata sia il vizio di omessa pronunzia di cui all’art. 112 c.p.c., sia il vizio di omesso esame di un fatto decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo attualmente vigente, applicabile ratione temporis; le prospettate violazioni sono, infatti, concettualmente distinte in quanto mentre il vizio di omesso esame concerne direttamente una domanda od un’eccezione introdotta in causa, nella seconda ipotesi l’attività di esame del giudice, che si assume omessa, non concerne direttamente la domanda o l’eccezione, ma una circostanza di fatto che, ove valutata, avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della domanda o su un’eccezione e, quindi, su uno dei fatti principali della controversia (Cass. 22/01/2018, n. 1539).

6.1. In ogni caso, la questione dell’esonero dalla responsabilità per difetto di colpa del trasgressore è stata espressamente affrontata dal giudice di merito che ha escluso la configurabilità dell’esimente della buona fede sulla base di accertamento di fatto relativo alla mancata diligenza nella verifica della condizione di pubblico dipendente dell’ A.; tale accertamento di fatto non è stato specificamente incrinato dal motivo in esame e risulta inoltre coerente con la giurisprudenza di questa Corte in punto di obbligo di diligenza richiesta all’agente (Cass. n. 9289/2020 cit.)

7. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.

7.1. La deduzione di violazione di norma di diritto non è incentrata sulla ricognizione della fattispecie astratta e sulla sua portata applicativa, come richiesto al fine della valida censura della decisione ai sensi del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, formalmente dedotto, ma sulla ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, ricognizione astrattamente incrinabile solo dalla deduzione di omesso esame di fatto controverso e decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo attualmente vigente, applicabile ratione temporis, motivo neppure prospettato in termini formalmente corretti dagli odierni ricorrenti, i quali lamentano omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa la sussistenza di prove sufficienti a carico della Fondazione, dovendo comunque rilevarsi la preclusione alla denunzia del vizio di motivazione in relazione all’accertamento operato dalla Corte di merito, stante la preclusione scaturente ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., u.c., dalla esistenza di “doppia conforme”.

8. Il quarto motivo di ricorso è fondato.

8.1. Premesso che la allegazione relativa all’originaria entità dell’importo è stata formulata nel rispetto del principio di autosufficienza (v. ricorso, pag. 4), si rileva che il quantum liquidato in dispositivo, pari a Euro 25.844,44, non corrisponde alla riduzione dell’originario importo stabilita dalla parte motiva; in motivazione il giudice di appello ha, infatti, affermato che, alla stregua dei rilievi formulati in tema di non configurabilità di un’autonoma violazione per mancata comunicazione dei compensi erogati alla Amministrazione di appartenenza dell’ A., occorreva ridurre l’originario importo (di Euro 30.887,32) delle somme corrispondenti alle sanzioni irrogate a tale titolo, quantificate in “Euro 5.032,88 + 10.405,78)”, operazione che non trova corrispondenza nella somma in concreto liquidata in dispositivo

8.2. In accoglimento del quarto motivo si impone pertanto la cassazione con rinvio della sentenza impugnata; al giudice del rinvio è demandato il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo e rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche ai fini del regolamento delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Ancona in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 3 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2021

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