Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19519 del 04/08/2017


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Cassazione civile, sez. III, 04/08/2017, (ud. 07/07/2017, dep.04/08/2017),  n. 19519

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7333-2015 proposto da:

BAR V. SRL in liquidazione, in persona del liquidatore e

rappresentante legale R.L., considerata domiciliata ex lege

in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dagli avvocati ANTONIO CICCARESE, ANTONELLA

CICCARESE giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

GENERALI ITALIA SPA, (subentrata a INA ASSITALIA SPA), in persona del

procuratore avv. M.M., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIALE GIUSEPPE MAZZINI 119, presso lo studio dell’avvocato GIULIO DE

CESARE, rappresentata e difesa dall’avvocato DINO LUCCHETTI giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 770/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 03/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/07/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. In data (OMISSIS) si sviluppò, all’interno dell’esercizio commerciale denominato Bar V., sito ad (OMISSIS), un incendio che determinò una serie di danni, stimati dal perito della società di assicurazioni (INA Assitalia) nella somma di Lire 250 milioni.

A seguito di ciò, la s.r.l. Bar V. nel 1995 promosse un primo giudizio, davanti al Tribunale di Latina, nei confronti della predetta società di assicurazione, chiedendo che le fosse riconosciuto, come da polizza, il diritto a percepire il 50 per cento dell’importo minimo che doveva essere pagato in base alle risultanze acquisite. Tale procedimento si concluse con una sentenza di rigetto, depositata nell’anno 2007 e passata in giudicato, sul rilievo che mancava il presupposto, costituito dalla non contestazione, contrattualmente fissato per poter azionare detta pretesa. Ciò in quanto R.L., titolare dell’esercizio commerciale, era stato rinviato a giudizio, in sede penale, per i reati di incendio doloso e truffa.

2. Con successivo atto di citazione del 21 aprile 2008 la medesima s.r.l. Bar V. convenne nuovamente in giudizio, davanti al medesimo Tribunale di Latina, la società INA Assitalia, chiedendo che fossero liquidati i danni relativi all’incendio di cui sopra; precisò la società attrice, in tale nuovo giudizio, di accettare la valutazione del danno in Lire 250 milioni suindicata e chiese quindi che la convenuta fosse condannata a pagare la somma di Euro 64.557,11, corrispondente alla metà dei danni come in precedenza valutati.

A sostegno della domanda la società attrice espose, tra l’altro, di aver promosso medio tempore un altro giudizio (nel 2005), avente ad oggetto il pagamento dell’altra metà dell’indennizzo di Lire 250 milioni, giudizio conclusosi con sentenza del Tribunale di Latina declaratoria della prescrizione del diritto fatto valere.

Nell’odierno giudizio (introdotto nel 2008) il Tribunale di Latina rigettò la domanda per prescrizione del diritto e condannò la società attrice al pagamento delle spese di lite.

3. La pronuncia è stata impugnata dalla società attrice e la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 3 febbraio 2015, ha rigettato il gravame ed ha condannato l’appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado.

Ha osservato la Corte territoriale che era infondata la tesi della società appellante secondo cui il Tribunale avrebbe erroneamente dichiarato la prescrizione senza valutare che il nuovo giudizio era stato introdotto “entro l’anno dal passaggio in giudicato della sentenza che aveva deciso sulla prima domanda proposta nel 1995”. Si trattava, infatti, di due domande diverse per petitum e causa petendi, “inerendo l’una solo ad un’anticipazione del 50 per cento a titolo di acconto in base ad una precisa clausola contrattuale e l’altra all’indennizzo del sinistro richiesto nella misura del 50 per cento (essendo l’altra metà sub iudice) ma che avrebbe potuto essere richiesto per intero quale indennizzo previsto dalla polizza”. Ciò risultava confermato dalla sentenza declaratoria della prescrizione emessa dal Tribunale di Latina nel secondo giudizio promosso (quello del 2005). Il rigetto della domanda per prescrizione “avrebbe dovuto comportare la preclusione della riproposizione della domanda”.

4. Contro la sentenza della Corte d’appello di Roma propone ricorso R.L., in qualità di liquidatore e rappresentante legale della s.r.l. Bar V., con atto affidato a due motivi.

Resiste la s.p.a. Generali Italia, già INA Assitalia, con Controricorso affiancato da memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione degli artt. 2943 e 2945 c.c..

Rileva il ricorrente che la sentenza impugnata avrebbe errato nel non riconoscere efficacia interruttiva della prescrizione all’atto di citazione notificato nel 1995 (primo giudizio), conclusosi poi, dopo la sospensione conseguente alla pendenza del processo penale a carico del R., con la sentenza di rigetto del 2007. Ed infatti l’originario atto di citazione aveva comunque ad oggetto una richiesta di indennizzo collegata alla polizza in questione; per cui, pur non sussistendo i presupposti per il diritto all’acconto, tale atto di citazione aveva efficacia interruttiva anche in ordine al diritto all’indennizzo in sè considerato, attesa l’identità del petitum. Pertanto, poichè la sentenza del 2007 era passata in giudicato il 13 aprile 2008 e l’odierno giudizio è stato introdotto il 29 aprile 2008, in considerazione del permanere dell’effetto interruttivo ai sensi dell’art. 2945 c.c., comma 2, la domanda di cui al presente giudizio doveva essere considerata tempestiva.

2. Con il secondo motivo si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c..

Osserva il ricorrente che sarebbe errato l’ulteriore rilievo della Corte d’appello secondo cui si è formato il giudicato sulla domanda oggetto,f dell’odierno giudizio. La sentenza alla quale si richiama la Corte romana, infatti (n. 2057 del 2010) è stata pronunciata dal Tribunale di Latina in relazione al giudizio promosso nel 2005, avente ad oggetto “l’altra metà dell’indennizzo di cui alla stessa polizza”. Ne consegue che, ove pure si fosse formato il giudicato, esso potrebbe riguardare l’altra metà dell’indennizzo, ma non quella richiesta nella sede odierna.

3. I due motivi, benchè tra loro differenti, sono da trattare congiuntamente, perchè le due tesi ivi prospettate sono tra loro connesse.

Occorre innanzitutto rilevare che il ricorso è strutturato con una tecnica poco rispettosa dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), perchè non indica in alcun modo se, dove e come le altre due sentenze pronunciate dal Tribunale di Latina nella medesima vicenda – alle quali i motivi di ricorso fanno continui riferimenti – siano state realmente messe a disposizione di questa Corte.

Anche volendo tralasciare questo preliminare rilievo in punto di ammissibilità, osserva il Collegio che, per quanto è dato comprendere dal ricorso, nella presente vicenda l’odierno ricorrente, nella veste di legale rappresentante della s.r.l. Bar V., ha promosso contro la società di assicurazione ben tre diversi giudizi: il primo per l’anticipazione del 50 per cento a titolo di acconto come da contratto (domanda respinta con sentenza passata in giudicato, perchè non ne sussistevano le condizioni, trattandosi di richiesta contestata); il secondo e il terzo ognuno per il 50 per cento dell’indennizzo intero (non è dato comprendere dal ricorso, tra l’altro, per quale ragione siano stati promossi due diversi giudizi ognuno per la metà della somma asseritamente spettante a titolo di indennizzo).

La sentenza impugnata fonda la propria motivazione su di un’affermazione decisiva e cioè che, data la diversità tra la domanda di cui al primo giudizio (cioè quello concluso con la sentenza irrevocabile di rigetto) e quella di cui al giudizio odierno, l’effetto interruttivo della prescrizione determinato dall’inizio del primo non poteva avere alcuna efficacia in rapporto al secondo; ed ha in tal modo confermato la sentenza di primo grado che aveva dichiarato la prescrizione.

E’ appena il caso di rilevare che la tesi sostenuta nel primo motivo di ricorso corrisponde, in sostanza, a quella già proposta e respinta dalla Corte d’appello, come risulta dalla lettura della sentenza impugnata; per cui è evidente che la valutazione compiuta dalla Corte romana in ordine alla diversità tra le domande – quanto a petitum ed a causa petendi – non è suscettibile di diverso esame in questa sede, costituendo essa una decisione di merito non più modificabile nel giudizio di legittimità. D’altra parte, è palese che alta/è chiedere il pagamento di un acconto in base alle condizioni generali di polizza, altrì è chiedere l’adempimento integrale della polizza medesima.

Viene a cadere, di conseguenza, il ragionamento su cui si fonda il primo motivo, e cioè che il decorso della prescrizione doveva considerarsi sospeso per tutta la durata del primo giudizio, conclusosi con la sentenza divenuta irrevocabile nel 2008, in base alle previsioni dell’art. 2943 c.c. e dell’art. 2945 c.c., comma 2.

L’infondatezza così riconosciuta con riguardo al primo motivo rende inammissibile il secondo il cui esame diventa ininfluente, posto che la sentenza impugnata si regge comunque sull’accertamento dell’intervenuta prescrizione del diritto fatto valere nell’odierno giudizio, a prescindere dall’esistenza o meno del giudicato relativo al secondo giudizio promosso davanti al Tribunale di Latina (per l’altra metà dell’indennizzo) e conclusosi in primo grado con la declaratoria di prescrizione, a detta del ricorrente non passata in giudicato.

4. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

A tale esito segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

Sussistono inoltre le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 10.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 7 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2017

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