Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19518 del 04/08/2017


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Cassazione civile, sez. III, 04/08/2017, (ud. 07/07/2017, dep.04/08/2017),  n. 19518

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA REP.

sul ricorso 4173-2015 proposto da:

P.E., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA NAVONA 49,

presso lo studio dell’avvocato ELEONORA D’AVACK, rappresentata e

difesa dall’avvocato RENZO MERLINI giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

SOC. CATTOLICA DI ASSICURAZIONE COOP. A R.L., cessionaria di DUOMO

UNIONE ASSICURAZIONI SPA in persona del suo procuratore Dott.

B.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. BERTOLONI,

55, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO MARIA CORBO’, che la

rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

INA ASSITALIA SPA AMMINISTRAZIONE PROVINCIALE MACERATA,

M.R., V.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 965/2013 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 09/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/07/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore generale Dott. SGROI Carmelo che ha concluso

chiedendo l’accoglimento del ricorso relativamente al primo motivo,

assorbito il secondo.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. P.E. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Macerata, M.R., V.P., la Uniass s.p.a. (poi divenuta Duomo UniOne Assicurazioni) e l’Assitalia s.p.a. chiedendo il risarcimento dei danni da lei subiti in un sinistro stradale nel quale ella viaggiava come trasportata a bordo di una vettura, di proprietà della Provincia di Macerata, condotta da P.C..

Il Tribunale dichiarò inammissibili le domande proposte contro entrambe le società di assicurazioni per difetto della necessaria previa richiesta risarcitoria di cui alla L. 24 dicembre 1969, n. 990, art. 22.

2. La pronuncia è stata impugnata dalla P. e la Corte d’appello di Ancona, con sentenza del 9 dicembre 2013, ha rigettato il gravame ed ha condannato l’appellante al pagamento delle spese del grado in favore dell’Amministrazione provinciale di Macerata e dall’Ina Assitalia.

Ha osservato la Corte territoriale che la documentazione attestante il rispetto dell’obbligo di cui al citato art. 22 era stata tardivamente prodotta dall’appellante, trattandosi di documenti che l’attrice possedeva fin dal primo grado, senza che ella avesse addotto una qualche ragione idonea a dimostrare l’impossibilità di una tempestiva produzione. Oltre a ciò, comunque, la documentazione tardivamente prodotta appariva irrilevante, perchè nelle lettere raccomandate allegate all’atto di appello non vi era alcun riferimento all’incidente oggetto di causa.

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Ancona propone ricorso P.E. con atto affidato a due motivi.

Resiste la Società cattolica di assicurazione a r.l. con controricorso.

La ricorrente ha depositato memoria, insistendo per l’accoglimento del ricorso.

Il P.G. presso questa Corte ha concluso per iscritto, chiedendo l’accoglimento del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., in relazione al principio per cui tempus regit actum.

Rileva la ricorrente che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente dichiarato tardiva la produzione della documentazione di cui alla L. n. 990 del 1969, art. 22perchè, trattandosi di causa incominciata prima del 30 aprile 1995, doveva essere applicato il testo dell’art. 345 c.p.c. previgente rispetto a quello introdotto dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, con conseguente possibilità di produzione di nuovi documenti anche in grado di appello.

2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

Osserva la ricorrente che la sentenza impugnata non avrebbe tenuto in considerazione il fatto che all’udienza del 18 giugno 1992, nel corso del giudizio di primo grado, era stata prodotta la lettera del 14 febbraio 1991 con cui la danneggiata aveva chiesto il risarcimento dei danni alla s.p.a. Assitalia. Vi sarebbe in atti, poi, la prova di una corrispondenza tra le parti idonea a dimostrare che si erano svolte trattative per un bonario componimento della controversia.

3. I motivi di ricorso, da trattare congiuntamente in considerazione della stretta connessione tra loro esistente, sono entrambi privi di fondamento, pur contenendo una corretta censura in diritto.

3.1. La giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato che nei giudizi iniziati in primo grado in epoca anteriore al 30 aprile 1995 trova applicazione, quanto al giudizio di appello, a prescindere dall’epoca in cui questo si svolge, l’art. 345 c.p.c. nella formulazione anteriore alle modifiche di cui alla L. 26 novembre 1990, n. 353 e, in particolare, quale risultante per effetto della L. 14 luglio 1950, n. 581, art. 36. Pertanto le parti, in presenza di dette condizioni, possono proporre nuove eccezioni, produrre nuovi documenti e chiedere l’ammissione di nuovi mezzi di prova, facendo salve le conseguenze in tema di spese processuali se la deduzione poteva essere proposta in primo grado (v., tra le altre, la sentenza 25 agosto 2006, n. 18488, e l’ordinanza 7 gennaio 2016, n. 120). Nè, del resto, poteva trovare applicazione nel caso in esame la disposizione transitoria di cui alla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, comma 2, posto che la sentenza di primo grado era stata pronunciata dal Tribunale di Macerata nel 2008, per cui nel momento dell’entrata in vigore di detta norma l’odierno giudizio non era più pendente in primo grado, con conseguente impossibilità di applicare il nuovo testo dell’art. 345 c.p.c..

3.2. La fondatezza della censura in diritto, tuttavia, non giova alla ricorrente.

Come questa Corte ha già in altre occasioni rilevato, il giudizio di indispensabilità della prova nuova in appello, previsto dall’art. 345 c.p.c., comma 3, con riferimento al rito di cognizione ordinaria e dall’art. 437 c.p.c., comma 2, per il processo del lavoro, non attiene al merito della decisione, ma al rito, atteso che la corrispondente questione rileva ai fini dell’accertamento della preclusione processuale eventualmente formatasi in ordine all’ammissibilità di una richiesta istruttoria di parte. Ne consegue che, quando venga dedotta, in sede di legittimità, l’erroneità dell’ammissione o della dichiarazione di inammissibilità di una prova documentale in appello, la Corte di cassazione, chiamata ad accertare un error in procedendo, è giudice anche del fatto, ed è quindi tenuta a stabilire essa stessa se si trattasse di prova indispensabile o meno (così la sentenza 25 gennaio 2016, n. 1277).

Nel caso in esame la Corte d’appello, dopo aver erroneamente escluso che il documento in questione potesse essere prodotto anche in grado di appello, ha poi aggiunto un’ulteriore considerazione in punto di fatto, e cioè che nelle lettere raccomandate allegate all’atto di appello non vi era alcun riferimento all’incidente oggetto di causa. L’affermazione di irrilevanza del documento della cui tardiva produzione si discute nella sede odierna non è stato in alcun modo contestata nel ricorso. Ciò comporta che la valutazione sulla indispensabilità della prova che questa Corte dovrebbe compiere resta preclusa dalla mancanza di contestazioni sul punto; per cui l’eventuale cassazione della sentenza impugnata non è comunque consentita.

3.3. Quanto al secondo motivo, si tratta di una censura di puro merito, chiaramente inammissibile anche in considerazione dell’assoluta genericità delle considerazioni ivi proposte.

4. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

A tale esito segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

Sussistono inoltre le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 3.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 7 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2017

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