Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19517 del 14/09/2010
Cassazione civile sez. III, 14/09/2010, (ud. 12/07/2010, dep. 14/09/2010), n.19517
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VARRONE Michele – Presidente –
Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –
Dott. CHIARINI Maria Margherita – rel. Consigliere –
Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
P.C. in D.S., (OMISSIS), D.S.
S., D.S.A., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA
PANAMA 95, presso lo studio dell’avvocato PICCIAREDDA FRANCO, che le
rappresenta e difende unitamente all’avvocato SBISA’ GIUSEPPE giusta
procura a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
TELECOM ITALIA S.P.A., (OMISSIS), considerata domiciliata “ex
lege” in ROMA, presso CANCELLERIA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata
e difesa dagli avvocati LUZZATO FABIO, e LEONE ARTURO, giusta delega
in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 608/2005 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,
SEZIONE SECONDA CIVILE, emessa il 18/05/2005, depositata il
15/09/2005; R.G.N. 411/C;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
12/07/2010 dal Consigliere Dott. MARIA MARGHERITA CHIARINI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
DESTRO Carlo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 15 settembre 2005 la Corte di appello di Trieste, in accoglimento dell’impugnazione di P.C. e A. e D.S.S. aumentava, secondo un criterio equitativo puro, ad Euro 60.000.000 il risarcimento del danno non patrimoniale subito dalla prima, e riconosceva Euro 30.000.000 a ciascuna delle seconde, in conseguenza della grave invalidità – 80% – riportata dal rispettivo marito e padre, infortunatosi sul lavoro. Ricorrono per Cassazione le danneggiate cui resiste Telecom.
Le ricorrenti hanno depositato memoria.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo le predette deducono la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia in relazione al risarcimento del danno morale e l’insufficiente e comunque contraddittoria motivazione circa un punto decisivo per la controversia – art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – sulla spettanza del danno morale e l’omessa motivazione sulla liquidazione del medesimo per averne la Corte di merito correttamente affermato la risarcibilità anche nel caso di presunzione legale della colpa – art. 2051 c.c. – senza poi provvedere alla relativa liquidazione, essendosi limitata ad aumentare il danno esistenziale per la moglie e a riconoscerlo per le figlie; sul punto anche la motivazione è insufficiente.
Il motivo è infondato.
La Corte di merito ha infatti correttamente applicato il principio ormai consolidato (S.U. 26972/2008) secondo il quale il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dal danneggiato, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l’attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici, sì che il danno biologico, il danno morale, quello alla vita di relazione e quello cosiddetto esistenziale devono esser valutati unitariamente nella voce del danno non patrimoniale (S.U. 26972/2008).
2.- Con il secondo motivo deducono la falsa applicazione di norme di diritto – artt. 2056 e 1226 c.c.; art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – per inadeguato esercizio del potere equitativo di cui all’art. 1226 c.c. sotto il profilo della mancata personalizzazione del risarcimento; insufficiente e contraddittoria motivazione circa i criteri di quantificazione del danno – art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – e lamentano che il criterio equitativo puro, riconosciuto dall’art. 1226 c.c., non può risolversi in arbitrio e perciò il giudice deve personalizzare il risarcimento ed indicare i parametri considerati.
Il motivo è infondato.
Nella sentenza impugnata – pag. 8 – i giudici di appello hanno date conto, nell’adottare il criterio equitativo puro – ossia svincolato da tabelle standardizzate e criteri automatici – delle circostanze oggettive e soggettive del caso concreto considerate, ed in particolare del danno alla sfera sessuale conseguita all’infortunio, fonte di “sconvolgimento delle abitudini di vita in relazione all’esigenza di provvedere ai maturati gravi bisogni del familiare, nonchè della corrispondente diminuzione del contributo relazionale e di sostegno che a sua volta il familiare può offrire agli altri”.
3.- Pertanto il ricorso va respinto.
Si compensano le spese del giudizio di Cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Compensa le spese del giudizio di Cassazione.
Così deciso in Roma, il 12 luglio 2010.
Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2010