Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19516 del 18/09/2020

Cassazione civile sez. II, 18/09/2020, (ud. 19/02/2020, dep. 18/09/2020), n.19516

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 13658/’16) proposto da:

C.A., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in virtù

di procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avv. Pietro

Troiano ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv.

Riccardo Bolognesi, in Roma, via Cola di Rienzo, n. 28;

– ricorrente –

contro

D.G., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in

virtù di procura speciale in calce al controricorso, dall’Avv.

Stefano Latella ed elettivamente domiciliato presso il suo studio,

in Roma, v. Tortona, n. 4;

– controricorrente –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Milano n. 1837/2015

(depositata il 29 aprile 2015);

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19 febbraio 2020 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Con sentenza n. 89/2001 l’adito Tribunale di Como rigettava la domanda proposta da C.A. diretta all’accertamento della responsabilità professionale del convenuto D.G. con riferimento all’espletamento dell’attività di mediazione nella predisposizione del preliminare (poi seguito dalla stipula del relativo rogito notarile) di una compravendita di un immobile sito in (OMISSIS), nel cui contratto – con riferimento alle indicazioni identificative dell’immobile che ne costituiva l’oggetto – era stata ricompresa anche una terrazza (invece risultata di proprietà comune con terzi).

2. Interposto appello da parte del C. e nella costituzione del D. (che proponeva, a sua volta, appello incidentale sul capo relativo alla ripartizione delle spese giudiziali di primo grado), la Corte di appello di Milano, con sentenza n. 1837/2015 (depositata il 29 aprile 2015), respingeva entrambi i gravami, dichiarando compensate le spese del grado.

A fondamento dell’adottata decisione la Corte territoriale osservava che andava esclusa ogni responsabilità del D. quale mediatore e che, avuto riguardo invece, all’attività professionale dallo stesso svolta nel 1997 nell’interesse del C. (relativa alla predisposizione di una relazione, di cui si sosteneva l’erroneità dell’indicazione di alcune aree nel contratto preliminare come appartenenti alla proprietà esclusiva del C., la cui verifica era da ritenere quantomeno la necessaria premessa dell’accertamento delle aree comuni), era emerso che essa non aveva causato alcun danno a sfavore dello stesso appellante.

3. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione – affidato a quattro motivi – il C.A., resistito con controricorso dal D.G..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e falsa applicazione degli artt. 1759,1175 e 1176 c.c. oltre che della disciplina dettata dalla L. n. 39 del 1989, nonchè l’omessa motivazione su punti decisivi della controversia.

Con questa doglianza il ricorrente ha inteso prospettare la violazione dei richiamati parametri normativi sostenendo l’erroneità dell’impugnata sentenza laddove aveva escluso l’inadempimento del D. con riguardo all’obbligo di informazione previsto dal citato art. 1759 c.c., sul presupposto che – una volta accertata la proprietà di terzi del terrazzo, indicato, invece, dal mediatore come oggetto di compravendita – nello stesso contratto preliminare sottoscritto dalle parti, come predisposto dal mediatore, si dava atto dell’inclusione della terrazza nei beni oggetto di compravendita.

2. Con la seconda censura il ricorrente ha dedotto l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti avuto riguardo all’omessa valutazione che il D. aveva assistito anche alla stipula del rogito notarile che aveva fatto seguito a quella del contratto preliminare.

3. Con il terzo motivo il ricorrente ha denunciato – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218,1176 e 2043 c.c., nonchè dell’art. 1703 c.c. e degli artt. 1362 e segg. c.c., unitamente al vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti, avuto riguardo alla circostanza dell’avvenuta promessa di vendita della controversa terrazza.

In particolare, con questo motivo, la difesa del ricorrente ha inteso dedurre l’erroneità della sentenza di appello nella parte in cui aveva stabilito che non era stato provato che il C. avesse promesso in vendita beni non suoi, essendo, invece, tale circostanza smentita dalla prova presuntiva ed essendo stato provato che il terrazzo era stato promesso in vendita dallo stesso C. alla sig.ra S., donde la configurabilità della prova dei danni subiti da esso ricorrente.

4. Con la quarta ed ultima censura il ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 C.C., comma 1, e dell’art. 115c.p.c., comma 1 e art. 116 c.p.c., comma 1, in uno al vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti con riferimento alla mancata valutazione delle prove del danno subito dallo stesso C.. In termini più puntuali il ricorrente ha inteso contestare l’impugnata sentenza avendo in essa il giudice di appello omesso di esaminare il fatto storico decisivo del riacquisto del terrazzo da parte di esso C., e dei conseguenti costi, avendo mancato di operare qualsiasi riferimento agli esborsi (specificamente elencati e comprovati dai documenti ritualmente prodotti nel giudizio di primo grado, come richiamati a pag. 19 del ricorso), che egli aveva dovuto affrontare per (ri)comprare il terrazzo di cui già si riteneva proprietario e che, invece, per effetto della negligente attività professionale svolta dal D., era stato illegittimamente promesso in vendita a terzi, poichè, in realtà, all’atto della redazione del preliminare, risultava essere di proprietà comune.

5. Ritiene il collegio che i primi due motivi non colgono nel segno e vanno respinti.

Infatti, con essi, il ricorrente – pur deducendo profili inerenti alla asserita mancata rilevazione della responsabilità del D. nel compimento della sua attività di mediazione (essendo, peraltro, pacifica la circostanza della insussistenza della sua iscrizione al relativo albo dei mediatori, donde l’esclusione del riconoscimento del suo – eventuale – diritto alla provvigione) e all’omessa valutazione del fatto che lo stesso D. aveva assistito alla stipula del rogito notarile successivo alla conclusione del contratto preliminare non ha, in effetti, specificamente censurato la decisione del giudice di appello nella parte in cui, con l’impugnata sentenza, ha ritenuto che sulla questione della responsabilità del D., nella veste di assunto mediatore, esso C. aveva proposto delle censure meramente generiche.

A tal proposito la Corte territoriale – ponendo specifico riferimento al contenuto dell’atto di appello – ha posto in risalto come l’appellante si fosse limitato solo a prospettare la responsabilità del mediatore da cui era derivato il lamentato danno del quale era stato chiesto il risarcimento, senza, però, addurre ulteriori specificazioni.

Tale “ratio” dell’impugnata sentenza non risulta specificamente censurata nella presente sede di legittimità.

In ogni caso, con detta sentenza, la Corte ambrosiana ha escluso la responsabilità del Di. nel suo asserito ruolo di mediatore sul corretto assunto che, pur se è vero che sul mediatore incombe un obbligo di esternare le circostanze a lui note in funzione della conclusione del negozio, in tale obbligo generale non può includersi anche l’obbligo specifico ulteriore di garantire l’esatta ed effettiva consistenza di beni immobili oggetto di compravendita tra le parti messe tra loro in relazione, ove tale puntuale obbligo non sia stato specificamente assunto dal mediatore. Inoltre, proprio per effetto di tale impostazione riferita alla questione della mediazione, deve ritenersi non decisivo l’omesso esame della circostanza relativa alla presenza del Di. all’atto della stipula del rogito del 1992 conseguente alla conclusione del preliminare.

Quindi, la Corte di appello, esclusa la configurabilità di una responsabilità del Di. quale mediatore, ha ritenuto che il ruolo di quest’ultimo avrebbe potuto avere una rilevanza (con idoneità della relativa condotta, nella eventuale sussistenza delle relative condizioni, a produrre conseguenze dannose per il C.) con riferimento all’esecuzione del contratto d’opera intercorso tra le parti in relazione all’esercizio dell’attività professionale svolta dallo stesso Di. nel 1997 in ordine alla esatta individuazione dell’immobile che il C. avrebbe poi voluto alienare.

Questi profili costituiscono, tuttavia, oggetto delle due altre censure prospettate con il ricorso, di cui subito in seguito.

6. Anche queste due ultime censure – esaminabili congiuntamente, in quanto tra loro connesse – sono infondate e devono, perciò, essere rigettate.

Innanzitutto, il collegio osserva che – nell’escludere un inadempimento produttivo di danni in capo al Di. per l’attività professionale da lui svolta, nell’interesse del C., sia nel 1992 che nello svolgimento dell’incarico del 1997 – la Corte di appello non è incorsa nell’omissione dei fatti decisivi così come prospettanti dal ricorrente, nè – avuto riguardo allo ricostruzione della vicenda sul piano fattuale, così come riscontrata a mezzo dei complessivi riscontri probatori acquisiti – si è imbattuta nella violazione delle norme sostanziali denunciate con i motivi in esame.

Il giudice di appello ha, infatti, univocamente appurato che, successivamente alla conclusione del preliminare del 1992, la contestata area adibita a terrazzo non era stata menzionata nel relativo atto pubblico di compravendita e lo stesso notaio rogante aveva confermato tale circostanza, onde, indipendentemente dalle indicazioni contenute nella piantina redatta dal D. in relazione al preliminare (che non potevano considerarsi in alcun modo vincolanti), avrebbe dovuto essere il C., in qualità di acquirente, in sede di stipula del contratto definitivo (in virtù del quale erano state previste le reciproche obbligazioni delle parti ed individuato l’effettivo oggetto dell’alienazione), a rilevare la mancanza di ogni riferimento al terrazzo e alle altre parti esterne all’appartamento comprato e, quindi, attivarsi in modo diligente per verificare l’effettiva consistenza dei beni immobili a lui venduti.

Con riferimento all’attività professionale svolta dal Di. nel 1997, la Corte di appello – con valutazione di merito adeguatamente motivata – ha escluso che la condotta del D., consistita nella redazione di una relazione contenente indicazioni erronee circa l’identificazione delle aree da considerarsi in proprietà esclusiva, abbia costituito un inadempimento della sua obbligazione professionale idoneo a determinare un danno concreto ed effettivo a carico del C..

E ciò perchè – con univoco apprezzamento delle risultanze probatorie – il giudice di seconde cure ha accertato che il C. non aveva provato di aver promesso a terzi il trasferimento della proprietà di un bene che egli riteneva essere suo (in proprietà esclusiva) ma che tale non era per intero (e tanto già in base all’atto pubblico di provenienza, nel quale – come detto – non si faceva alcun riferimento anche all’area oggetto di contestazione).

In proposito, lo stesso giudice di appello ha decisivamente chiarito che nessuna prova era stata offerta dal C. in merito all’avvenuta stipula con la sig.ra S.E. di un effettivo contratto preliminare (di cui non era stata offerta prova documentale) nell’ambito del cui contenuto era stato stabilito che la vendita futura avrebbe ricompreso anche il terrazzo non rientrante, in realtà, nella proprietà esclusiva dell’odierno ricorrente.

E, sul punto, l’accertata circostanza che la S. avesse visitato l’immobile non prova che si fosse prodotto un effetto vincolante tra le parti in senso giuridico; l’aver ella poi riscontrato che il terrazzo in quel momento era già delimitato da recinzione è stato ritenuto – dalla Corte territoriale sintomaticamente significativo del fatto che la situazione giuridica che lo riguardava era stata già chiarita e definita tra lo stesso C. e il precedente alienante O., il cui antecedente atto pubblico tra loro intercorso non ricomprendeva affatto il terrazzo nel suo oggetto.

E’ stata, quindi, una scelta del C. di acquistare anche la porzione del terrazzo – che in precedenza, colpevolmente, pensava formasse, anch’esso, oggetto del titolo di provenienza – per poi eventualmente rivendere il suo appartamento comprensivo anche di detta porzione. Ma della circostanza che egli si fosse vincolato sul piano giuridico – anche mediante la stipula di un contratto preliminare con terzi interessati all’acquisto dell’immobile così composto – il C., come accertato dal giudice di appello – non ha dato prova. Quindi, la Corte milanese ha legittimamente desunto da questo complessivo quadro fattuale e dalle correlate emergenze probatorie che – pur non potendosi, in effetti, escludere la configurabilità di un inadempimento a carico del Di. per effetto dell’assunta erronea redazione della relazione da parte dello stesso nel 1997 – esso non aveva prodotto alcun danno effettivo, eziologicamente riconducibile alla suddetta condotta del professionista, anche considerando le risultanze dell’atto pubblico stipulato del 1992 (che aveva prodotto gli effetti giuridici propriamente dipendenti dall’acquisto “a monte” da parte del C., e ciò anche ai fini della esatta individuazione del relativo oggetto immobiliare in funzione di un’eventuale successiva compravendita, rimanendo superate le condizioni del precedente accordo raggiunto in sede di stipula del preliminare).

Questa conclusione fa ovviamente venir meno, sul piano logico-giuridico, il presupposto su cui è stato basato il quarto motivo del ricorso circa la dedotta mancata valutazione dei danni materiali come prospettati, essendo stato come chiarito – escluso dal giudice di appello che dalla condotta del Di. fossero conseguiti dei danni direttamente ad essa riconducibili a carico del C..

Pertanto, in virtù delle spiegate argomentazioni, non può dirsi che la Corte di appello non abbia considerato fatti decisivi potenzialmente conducenti ad una soluzione giuridica diversa della causa nè che sia incorsa nelle denunciate violazioni di legge nell’escludere un inadempimento colpevole e produttivo di danni nei confronti del Di..

7. In definitiva, alla stregua delle complessive ragioni spiegate, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna del soccombente ricorrente al pagamento dei compensi e spese del presente giudizio nei sensi indicati in dispositivo.

versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cap nella misura e sulle voci come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2 Sezione civile, il 19 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2020

 

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