Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19514 del 23/07/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 19514 Anno 2018
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: PAGETTA ANTONELLA

SENTENZA

sul ricorso 18945-2015 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e
difesa dall’avvocato TOSI PAOLO, giusta delega in
2018

atti;
– ricorrente –

1126
contro

CAVAZZA VINCENZO;
– intimato –

Data pubblicazione: 23/07/2018

avverso

la

sentenza n.

1002/2014

della CORTE

D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 17/07/2014 r.g.n.
714/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 15/03/2018 dal Consigliere Dott.

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PAOLA MASTROBERARDINO, che ha concluso
per l’accoglimento del sesto motivo, rigetto del
resto;
udito l’Avvocato FRANCESCA BONFRATE per delega
verbale Avvocato PAOLO TOSI.

ANTONELLA PAGETTA;

Fatti di causa

1. Vincenzo Cavazza, premesso di avere stipulato con Ali s.p.a. un
contratto di lavoro temporaneo dal 27.6.2003 all’8.7.2003, contratto
poi prorogato, per essere utilizzato da Poste Italiane s.p.a. come
addetto al recapito, di avere concluso un successivo contratto di

18.4.2004 al 15.1.2005, contratto anche in questo caso prorogato, di
avere, infine, stipulato un contratto di somministrazione a tempo
determinato ai sensi dell’art. 20 D.Igs n. 276 /2003 cit., dedotta la
illegittimità dei contratti in oggetto per violazione dell’art. 1, comma
2, Legge 24/06/1997 n. 196 e, in via subordinata, degli artt. 20 e 21
D. Igs n. 276/2003 cit..,

ha chiesto, previo accertamento della

esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato
con Poste Italiane s.p.a., il ripristino del rapporto di lavoro e la
condanna al risarcimento del danno in misura pari alle differenze
maturate dal recesso del 31.10.2006 fino alla riammissione in
servizio,oltre accessori .
2. Il giudice di primo grado, in parziale accoglimento della
domanda, ha accertato la esistenza, a decorrere dal 27.6.2003,
(epoca di stipula del primo dei contratti in controversia), di un
rapporto di lavoro

subordinato a tempo indeterminato tra il

ricorrente e Poste Italiane s.p.a. e condannato la società al ripristino
del rapporto, respingendo la domanda di risarcimento del danno.
3. La Corte di appello di Bologna, pronunziando sull’appello
principale del CaVazza e sull’appello incidentale di Poste Italiane
s.p.a., in parziale riforma della sentenza di primo grado, nel resto
confermata, ha condannato la società al pagamento in favore del
lavoratore, a titolo risarcitorio,

di una indennità pari a quattro

lavoro temporaneo per l’espletamento delle medesime mansioni dal

mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto oltre interessi legali
e rivalutazione monetaria dal dovuto al saldo .
3.1. Il giudice di appello, respinta la eccezione di risoluzione del
rapporto di lavoro per mutuo consenso avanzata dalla società,
ribadita la genericità della clausola apposta al (primo) contratto di

s.p.a. e, per l’effetto, la invalidità, per violazione dell’art.1, commi 10
e 2°, Legge n. 196/1997 cit. del contratto di prestazione di lavoro
temporaneo, ha rilevato che le conseguenze previste dalla legge sul
divieto di intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro,
comportavano l’instaurazione del rapporto di lavoro tra il Cagazza e
Poste Italiane s.p.a. quale fruitore della prestazione e datore di lavoro
effettivo ex art. 10, comma 1, Legge 276/2003 cit.. In ordine alla
pretesa risarcitoria, oggetto dell’appello principale del CaVazza,
affermata la applicabilità lo ius superveniens di cui all’art. 32 Legge
04/11/2010 n. 183 ha proceduto alla relativa determinazione
4. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Poste
Italiane s.p.a. sulla base di sei motivi ; la parte intimata non ha
svolto attività difensiva .
4.1. Poste Italiane ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc.
civ.

Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ai sensi
dell’art. 360 comma 1 n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa
applicazione degli artt. 1372, comma 1, 1362, comma 2, e 2697
cod.civ. nonché omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio
oggetto di discussione fra le parti. Critica la sentenza impugnata per
avere respinto la eccezione di risoluzione del rapporto per mutuo

fornitura intervenuto tra Ali s.p.a. e la utilizzatrice Poste Italiane

consenso,richiesta che assume fondata non solo sul mero decorso del
tempo ma anche sul fatto che nelle more il Caffizza aveva reperito
altra occupazione lavorativa. Sostiene che il disinteresse del
dipendente al ripristino del rapporto di lavoro con Poste Italiane
s.p.a., desumibile dal lasso di tempo intercorso tra la cessazione

anni e sei mesi, doveva essere verificato facendo riferimento, per
analogia, al termine di ‘decadenza introdotto dall’art. 32, comma
Legge n. 183 /2010, non direttamente applicabile alla fattispecie in
esame .
2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 comma 1
n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1,
comma 2 e comma 5, Legge n. 196/1997 cit. e dell’art. 12
Disposizioni sulla legge in generale di cui al RD 16.3.1942 n. 262.
Assume l’errore di diritto della sentenza impugnata per avere
ritenuto, in contrasto con il dato letterale e la ratio legis, che l’art. 1
comma 2 Legge n. 196/1997 imponeva l’obbligo di specificazione dei
motivi di ricorso alla fornitura di manodopera. In questa prospettiva
deduce la legittimità del mero rinvio, nel contratto di fornitura, ai casi
previsti dal contratto collettivo, salva, in ogni, caso la verifica ex post,
ove contestata la effettiva sussistenza delle situazioni legittimanti
quali individuate dalla contrattazione collettiva.
3. Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3,
cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e sgg.
cod. civ., dell’accordo collettivo 4.11.2002 e del c.c.n.l. 11.1.2001,
censurando la sentenza impugnata per avere affermato che il
contratto collettivo applicabile

ratione temporis

non contemplava

alcuna previsione di ricorso a fornitura di lavoro temporaneo; tale
affermazione non considerava che il contratto collettivo era stato
integrato dall’Accordo 4.12.2002 sottoscritto dalla medesime parti

dell’ultimo contratto e il deposito del ricorso introduttivo, pari due

stipulanti che con esso avevano inteso, da un lato, recepire l’Accordo
interconfederale 16.4.1998 in materia di lavoro temporaneo e,
dall’altro, integrare la disciplina del contratto collettivo prevedendo
espressamente al punto 3 i possibili motivi di ricorso al lavoro
interinale fra i quali si annoverava anche la sostituzione di lavoratori

dalla mancata trasfusione nel contratto collettivo delle ipotesi di
ricorso al lavoro temporaneo previste dall’Accordo 4.11.2002 la
violazione del preteso onere di specificazione dei motivi di ricorso al
lavoro temporaneo.
4. Con il quarto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n.
5, cod. proc. civ., omesso esame di un fatto decisivo oggetto di
discussione, censurando la decisione per avere, con salto logico, fatto
discendere dalla genericità della causale indicata nel contratto di
fornitura la insussistenza in concreto delle ragioni legittimanti il
ricorso alla fornitura di lavoro temporanee. Si duole, in particolare,
che sia stata omessa ogni indagine intesa alla verifica della esigenze
sostitutive presso il CM0 di Modena ove aveva prestato attività il
Cavazza.
5. Con il quinto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n.
3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 10, comma
1, Legge 24/06/1997 n. 196, dell’art. art. 1, comma 5, Legge
23/10/1960 n. 1369, dell’art. 10 D. Igs 06/09/2001 n. 368 e degli
artt. 2094 e 2126 cod. civ., censurando, in sintesi, la sentenza
impugnata per avere fatto conseguire alla violazione del disposto
dell’art. 10, comma 1. Legge n. 196/1997 cit. la conversione del
rapporto in rapporto a tempo indeterminato, anzichè la mera
sostituzione del soggetto utilizzatore delle prestazioni di lavoro
temporaneo nell’originario contratto – a tempo determinato intervenuto con la impresa fornitrice.

assenti. Il giudice di appello aveva, quindi, errato nel far discendere

6. Con il sesto motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n.
3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 32, comma
5, Legge n. 183/2010 cit. censurando la quantificazione della
indennità risarcitoria attribuita.
7. Il primo motivo di ricorso è infondato. Si premette che il

partes si fosse estinto per mutuo consenso, in considerazione del
breve lasso di tempo intercorso tra la cessazione dell’ultimo contratto
– il 31.10.2006 – e la richiesta, nel marzo 2007, di espletamento del
tentativo di conciliazione; in ragione della tempestiva promozione del
tentativo di conciliazione ha ritenuto il reperimento, nelle more, di
altra occupazione lavorativa, non configurabile quale espressione del
disinteresse del lavoratore al ripristino della funzionalità del rapporto
con Poste . Le censure articolate dalla società non si confrontano
specificamente con tali ragioni in quanto trascurano il rilievo attribuito
dal giudice di merito alla data del tentativo obbligatorio di
conciliazione, quale elemento destinato a svuotare di significato
probatorio l’assunto di Poste in ordine al disinteresse del dipendente
al ripristino del rapporto. In ogni caso la deduzione di estinzione del
rapporto di lavoro

affidata al decorso del tempo deve essere

disattesa alla luce del consolidato orientamento di questa Corte
secondo il quale, ai fini della configurabilità della risoluzione del
rapporto di lavoro per mutuo consenso – costituente una eccezione in
senso stretto, Cass. 7/5/2009 n. 10526, il cui onere della prova grava
evidentemente sull’eccepiente, Cass. 1/2/ 2010 n. 2279 -, non è di
per sé sufficiente la mera inerzia del lavoratore dopo l’impugnazione
del termine, essendo piuttosto necessario che sia fornita la prova di
altre significative circostanze denotanti una chiara e certa volontà
delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo
(cfr., tra le altre, Cass. 17/3/2015 n. 5240, Cass. 28/1/2014 n.

giudice di appello ha escluso che nel caso di specie il rapporto inter

1780, Cass. 11/3/2011 n. 5887, Cass. 4/8/2011 n. 16932, Cass.
18/11/2010 n. 23319, Cass. 15/11/2010 n. 23057). Tale
orientamento è stato confermato dal recente arresto delle Sezioni
unite civili rappresentato dalla sentenza n. 21691 del 27/10/ 2016
(punti 55, 56, 57, 58). In tale pronuncia, premesso il dato normativo

essere sciolto “per mutuo consenso”, si è rammentato l’insegnamento
in base al quale, salvo che non sia richiesta la forma scritta

ad

substantiam, il mutuo consenso sullo scioglimento del rapporto può
essere desumibile da comportamenti concludenti. Con specifico
riferimento al caso dei contratti a tempo determinato detta sentenza,
avallato l’orientamento giurisprudenziale in base al quale la durata
rilevante del comportamento omissivo del lavoratore nell’impugnare
la clausola che fissa il termine può considerarsi “indicativa della
volontà di estinguere il rapporto di lavoro tra le parti” ove “concorra
con altri elementi convergenti”, ha statuito che “il relativo giudizio
attiene al merito della controversia” e non può essere rinnovato in
sede di legittimità. In questa linea interpretativa Cass. 12/12/2017
n. 29781 ha ribadito che, in tema di contratti a tempo determinato,
l’accertamento della sussistenza di una concorde volontà delle parti
diretta allo scioglimento del vincolo contrattuale costituisce
apprezzamento di merito che, se immune da vizi logici, giuridici e
adeguatamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità,
secondo le rigorose regole sui motivi che possono essere fatti valere
al fine di incrinare la ricostruzione di ogni vicenda storica antecedente
al contenzioso giudiziale, previste dall’art. 360, n. 5, c.p.c., tempo
per tempo vigente.
7.1. Nel caso di specie, ricordata l’applicabilità, ratione temporis,
dell’art. 360, comma 1 n.5, cod. proc. civ., nel testo attualmente
vigente si rileva che l’accertamento del giudice di merito non risulta in

dell’art. 1372, comma primo 1, cod. civ., secondo cui il contratto può

alcun modo inficiato dalle doglianze formulate con il motivo in esame
le quali, senza dedurre l’omesso esame di circostanze decisive, si
limitano a proporre una lettura del significato probatorio degli
elementi in atti diversa da quella fatta propria dal giudice di secondo
grado.

che l’art. 1 comma 2 Legge n. 196 /1997 cit. consente il contrato di
fornitura di lavoro temporaneo solo nelle seguenti ipotesi : “a) nei
casi previsti dai ccnI della categoria di appartenenza della impresa
utilizzatrice, stipulati dai sindacati comparativamente più
rappresentativi; b) nei casi di temporanea utilizzazione di qualifiche
non previste dai normali assetti produttivi aziendali; c) nei casi di
sostituzione dei lavoratori assenti, fatte salve le ipotesi di cui al
comma 4” (che prevede le situazioni in cui è vietata la fornitura di
lavoro temporaneo).
8.1. Per come pacifico e per quel che qui rileva, la causale
indicata nel contratto di fornitura in oggetto si è limitata a riprodurre
il testo della lettera a) dell’art. 1 Legge n. 196/1997 cit. senza
ulteriori specificazioni, sia in ordine al contratto collettivo nazionale
applicabile all’utilizzatrice sia in ordine alla ipotesi di lavoro
temporaneo, fra quelle individuate dal contratto collettivo, alle quali si
è inteso rinviare con il contratto di fornitura.
8.2. La rilevata assenza di specificità, secondo quanto già chiarito
da questa Corte (v. ex plurimis, Cass. 17/01/2013 n. 1148), rende il
contratto illegittimo, per violazione della Legge n. 196 del 1997, art.
1, commi 1 e 2, che consente la stipulazione solo per le esigenze di
carattere temporaneo rientranti nelle categorie specificate nel comma
2, esigenze che il contratto di fornitura non può quindi omettere di
indicare, ne’ può indicare in maniera generica e non esplicativa,

8. Il secondo motivo di ricorso è anch’esso infondato. Si premette

limitandosi a riprodurre il contenuto della previsione normativa. A
differenza di quanto sostenuto da parte ricorrente, infatti, la
necessitet di specifica individuazione della ipotesi alla quale le parti
hanno inteso dare riferimento, è implicitg, nella disciplina dettata
dall’art. 1, comma 2 Legge 196/1997 cit., trattandosi di elemento in

ragioni del ricorso alla fornitura di lavoro temporaneo. Ne può
ritenersi che il rilevato onere di specificazione non fosse richiesto
rispetto ad una genericità della previsione collettiva, posto che solo la
indicazione precisa delle esigenze sostitutive sottese all’assunzione
del lavoratore avrebbe consentito il riscontro in termini probatori della
effettività della ragione posta a fondamento della fornitura del lavoro
nell’ufficio di adibizione, consentendo di escludere, in particolare, che
l’utilizzazione del Cavazza fosse funzionale alla diversa esigenza di
sopperire ad ordinarie carenze di organico della società utilizzatrice .
9.

L’esame del terzo motivo di ricorso è assorbito dalla

considerazione, dirimente, che il contratto di fornitura, come
accertato dal giudice di appello, ha omesso di indicare la specifica
ipotesi tra quelle rinvenibili nel contratto collettivo, alla base del
ricorso al lavoro temporaneo e che tanto è sufficiente a determinare
la illegittimità del contratto di fornitura a prescindere dalla fondatezza
della ulteriore censura relativa alla mancata considerazione del
carattere integrativo del contratto collettivo – in relazione alle ipotesi
di ricorso al lavoro temporaneo, attribuito all’accordo del 4.12.2002.
10. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile per difetto di
pertinenza con le ragioni alla base del decisum di secondo grado. Il
giudice di appello ha ritenuto che la genericità della causale
giustificativa del ricorso alla prestazione di lavoro temporaneo
rendeva illegittimo il contratto di fornitura la cui validità costituiva il
presupposto per la stipulazione di un contratto per prestazioni di

assenza del quale risulta precluso ogni controllo di effettività delle

lavoro temporaneo. La illegittimità del ricorso alla fornitura è stata,
quindi, esclusivamente ancorata alla carenza, nel contratto
commerciale tra Ali s.p.a. e Poste Italiane s.p.a., delle indicazioni
prescritte a norma dell’art. 1 comma 2 Legge cit., con esclusione,
quindi, di ogni profilo attinente alla assenza in concreto delle ipotesi

si colloca logicamente in un momento successivo e non risulta
neppure affrontata dal giudice di merito.
11. Il quinto motivo di ricorso è infondato alla luce della
condivisibile giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, quando
il contratto di lavoro che accompagna il contratto di fornitura, del
quale è accertata la illegittimità, è a tempo determinato, alla
conversione soggettiva del rapporto, si aggiunge la conversione dello
stesso da lavoro a tempo determinato in lavoro a tempo
indeterminato, per intrinseca carenza dei requisiti richiesti dal D.Igs.
n. 368/ 2001 cit., o dalle discipline previgenti, a cominciare dalla
forma scritta, che ineluttabilmente in tale contesto manca con
riferimento al rapporto tra impresa utilizzatrice e lavoratore ( Cass.
17/01/2013 n. 1148; Cass. 12/01/2012 n. 232;). L’art. 10, comma
1,Legge n. 196/1997 cit. collega alle violazioni delle disposizioni di cui
all’art. 1, commi 2, 3, 4 e 5 (cioè violazioni di legge concernenti
proprio il contratto commerciale di fornitura), le conseguenze previste
dalla legge 1369 del 1960, consistenti nel fatto che “i prestatori di
lavoro sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze
dell’imprenditore che effettivamente abbia utilizzato le loro
prestazioni”, in tal senso questa Corte espressasi, in modo univoco e
costante, con una pluralità di decisioni, a cominciare da Cass.
24/06/2011 n. 13960, Cass. 05/07/2011 n. 14174 , Cass. 23/11/
2010 n. 23684, alle cui motivazioni si rinvia per ulteriori
approfondimenti.

nelle quali era consentito il ricorso al lavoro temporaneo, verifica che

12. Il sesto motivo è inammissibile. Si premette che parte
ricorrente non contesta specificamente le ragioni sulla base delle quali
il giudice di merito ha proceduto alla liquidazione della indennità
risarcitoria, ragioni fondate sulla considerazione del periodo intercorso
tra la cessazione del rapporto per scadenza del termine e la sentenza

tutto quattro contratti a termine, sull’applicabilità nel caso in esame
del comma 6 dell’art. 32 Legge n. 183/2010 cit. per la presenza di
accordi sindacali in atti; si limita, infatti, a sostenere che la
quantificazione della indennità risarcitoria nella misura di quattro
mensilità della retribuzione globale di fatto appare sproporzionata ed
eccessiva tenuto conto dei criteri di cui all’art. 8 Legge 15/07/1966
n. 604 richiamati dall’art. 32, comma 5, Legge n. 183/2010 cit.. Le
censure articolate si rivelano, quindi, del tutto generiche sia in quanto
non contrastano, sotto il profilo della violazione del parametro
normativo di riferimento le ragioni alla base della misura
dell’indennità liquidata sia perché, in sintesi, investono profili che, in
quanto attinenti al merito della valutazione espressa, si sottraggo al
controllo di legittimità .
13. In base alle considerazioni che precedono il ricorso deve
essere respinto. Non si fa luogo al regolamento delle spese del
presente giudizio

non avendo la parte intimata svolto attività

difensiva.
14. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo
posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità
dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel
testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n.
228..

di primo grado, sull’arco di tempo nel quale sono stati conclusi in

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dekricorrente dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma
del comma 1 bis dello stesso art.13.

Roma, 15 marzo 2018

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della

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