Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19513 del 30/09/2016

Cassazione civile sez. trib., 30/09/2016, (ud. 11/07/2016, dep. 30/09/2016), n.19513

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11997/2010 proposto da:

STB COMMERCIALE S.N.C. (ora STB DIVISIONE WINTER S.R.L.), in persona

del legale rappresentante pro tempore, L.G.L.,

L.M.R., elettivamente domiciliati in ROMA VIA PACUVIO 34,

presso lo studio dell’avvocato GUIDO ROMANELLI, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato FRANCESCO MONDINI giusta delega in

calce;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 67/2009 della COMM. TRIB. REG. di GENOVA,

depositata il 22/04/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/07/2016 dal Consigliere Dott. RAFFAELE SABATO;

udito per i ricorrenti l’Avvocato ROMANELLI CHIARA per delega

dell’Avvocato ROMANELLI GUIDO che si riporta al contenuto del

ricorso e alla memoria depositati e insiste per l’accoglimento;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DEL CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’agenzia delle Entrate ha notificato rispettivamente alla STB Commerciale s.n.c. (ora STB Divisione Winter s.r.l.) e ai suoi soci L.G.L. e L.M.R. tre avvisi di accertamento e irrogazione sanzioni con cui, dopo una fase di definizione con adesione senza seguito, rettificando la dichiarazione dei redditi della società per l’anno di imposta (OMISSIS); ha altresì rettificato in aumento il reddito di impresa dichiarato (imputato ai soci ai fini dell’i.r.pe.f. e i.lo.r.), il valore della produzione (ai fini dell’i.r.a.p.) e il volume d’affari (ai fini dell’i.v.a.); ciò in base all’accesso nella sede della società di funzionari dell’agenzia, nel corso del quale sarebbero state riscontrate irregolarità nella tenuta delle scritture contabili, ciò che ha fatto ritenere inattendibile la contabilità ordinaria e applicare del D.P.R. n. 570 del 1996, ex art. 1, lo studio di settore di riferimento.

Con tre separati ricorsi le parti contribuenti hanno impugnato gli atti impositivi innanzi alla commissione tributaria provinciale di Genova che li ha rigettati.

Le sentenze, appellate dalle parti contribuenti, sono state, previa riunione degli appelli, confermate dalla commissione tributaria regionale della Liguria in Genova, che ha dichiarato la legittimità del ricorso agli studi di settore in base alle irregolarità riscontrate in sede ispettiva, quali la mancata annotazione nel libro inventari dei criteri per la valutazione delle rimanenze e nel libro matricola dell’assunzione di un dipendente, ritenendo altresì carenti le giustificazioni addotte dai contribuenti.

Avverso questa decisione le parti contribuenti propongono ricorso per cassazione, affidato a due motivi, rispetto al quale l’agenzia resiste con controricorso. La società deposita memoria, con la quale dà tra l’altro atto della sua fusione mediante incorporazione nella STB Divisione Winter s.r.l.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis. Fanno seguire all’esposizione del motivo il seguente quesito di diritto: “dica la corte se la procedura di accertamento standardizzato dei redditi mediante applicazione degli studi di settore costituisca un sistema di presunzioni semplici la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata in relazione ai soli standard in sè considerati, ma nasca procedimentalmente in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’avviso di accertamento, con il contribuente; esito che essendo alla fine di un processo di adeguamento della elaborazione statistica degli standard alla concreta realtà economica del contribuente, debba far parte della motivazione dell’accertamento, nella quale vanno esposte le ragioni per le quali i rilievi del destinatario dell’attività accertativa siano state disattese”.

2. – Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.. Fanno seguire all’esposizione del motivo il seguente quesito di diritto: “dica la corte se, formulato in sede di atto di appello uno specifico motivo di impugnazione avente ad oggetto la misura delle sanzioni applicate, incorra in vizio di omessa pronuncia il giudice di secondo grado che non prenda in alcuna considerazione il detto motivo, omettendo di deciderlo”.

3. – Il primo motivo è inammissibile.

4. – Va premesso al riguardo che al ricorso in esame continua ad applicarsi l’art. 366 bis c.p.c., norma introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, in virtù dell’art. 27, comma 2 del citato decreto applicabile ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto,, cioè dal 2 marzo 2006, senza che possa rilevare la sua abrogazione ad opera della L. n. 69 del 2009, art. 47, comma 1, lett. d), in virtù della disciplina transitoria dell’art. 58 di quest’ultima.

5. – Secondo l’elaborazione della giurisprudenza di questa corte, i quesiti devono essere formulati in termini tali da costituire una sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una “regula iuris” suscettibile ricevere applicazione anche in casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata. A tal fine, essi debbono compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie (si v. sez. un. n. 2658 del 2008 e altre). In questa logica se, da un lato, i quesiti non devono risolversi in un’enunciazione tautologici, priva di qualunque indicazione sulla questione di diritto oggetto della controversia, essi neppure devono risolversi in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo (cfr. ad es.:sez. un. n. 6420 del 2008).

6. – Ciò posto, è evidente some il quesito di diritto sottoposto nel caso di specie non contenga, da un lato, alcuna sintesi degli elementi di fatto sottoposti, al fine dell’applicazione della “regula iuris” oggetto di discussione. Il quesito, d’altro lato, neppure contiene l’indicazione della “regula iuris”, eventualmente oggetto di critica, ritenuta dai ricorrenti erroneamente adottata nel provvedimento impugnato, limitandosi le parti ricorrenti stesse a enunciare il principio che esse assumono corretto (peraltro riassuntivo di massima giurisprudenziale di questa corte – cfr. infra) e di cui chiedono l’affermazione (essendo noto che la mancanza anche di una sola delle due indicazioni rende il ricorso inammissibile; v. sez. 3, n. 24339 del 2008 e n. 4044 del 2009).

7. – Fermo restando il primò motivo di inammissibilità anzidetto, in ordine alla carenza di riferimenti alla fattispecie, anche a voler ritenere in un’ottica non formalistica che il quesito vada letto nel senso – non fatto palese però dalle parole utilizzate – che la sentenza impugnata abbia ritenuto gli studi di settore un sistema completo di presunzioni (“regula iuris” che si affermerebbe applicata in sentenza – cfr. l’espressione, nel quesito sopra riportato, “dica la corte se la procedura… costituisca un sistema… la cui gravità, precisione e concordanza non è…, ma nasca…”), a fronte dell’indiziarietà solo all’esito del contraddittorio e con obbligo di motivazione (“regula iuris” ritenuta corretta – cfr. seconda parte del quesito sopra riportato), l’esame del motivo rivela che le doglianze esplicitate (la costruzione e la natura degli studi di settore – pp. 4 e 5 del ricorso; l’asserito minimo scostamento ravvisato nel caso di specie – p. 6 e 9 del ricorso; la mancanza della esplicitazione dei criteri di calcolo sia nell’atto impositivo che nella sentenza – pp. 6 e 7 del ricorso; la mancanza di motivazione della sentenza su più aspetti quali la mancanza di regolare tenuta della contabilità – p. 7; la massima di cui alle sentenze delle sez. un. nn. 26635, 26636 e 26368 del 2009 e le sue implicazioni – pp. 9 e 10) sono assai più ampie rispetto al quesito, che presenta agganci solo con talune astratte affermazioni alla p. 10 del ricorso, senza alcun concreto riferimento alle vicende di causa. Ne deriva, anche da tale punto di vista, l’inammissibilità del motivo, costituito da una congerie di argomentazioni prive di specificità.

8. – Passando all’esame del secondo motivo di ricorso, con cui i ricorrenti denunciano omessa pronuncia, deve rilevarsi come anch’esso risulti inammissibile. Benchè con il motivo di ricorso i ricorrenti deducano di avere “formulato in sede di atto di appello uno specifico motivo di impugnazione avente ad oggetto la misura delle sanzioni applicate”, il motivo di appello non risulta trascritto nell’atto di impugnazione. Come è fermo orientamento di questa corte (v. recentemente sez. 2, n. 17049 del 2015) è inammissibile, per violazione del criterio dell’autosufficienza, il ricorso per cassazione col quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano “nuove” e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte.

9. – Il ricorso va in definitiva rigettato per inammissibilità dei motivi.

10. – Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

PQM

La corte rigetta il ricorso per inammissibilità dei motivi e condanna i ricorrenti alla rifusione a favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro duemilasettecento per compensi, oltre spese eventualmente prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 11 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2016

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