Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19512 del 30/09/2016


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Cassazione civile sez. trib., 30/09/2016, (ud. 11/07/2016, dep. 30/09/2016), n.19512

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. SABATO Raffele – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6788-2010 proposto da:

SANIFOR SRL, in persona del Presidente del C.d.A. e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

GIUSEPPE AVEZZANA 31, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA

FLAUTI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANDREA

GORGONI giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 101/2009 della COMM. TRIB. REG. di MILANO,

depositata il 21/07/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/07/2016 dal Consigliere Dott. SABATO RAFFAELE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE SERGIO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’agenzia delle entrate ha notificato in data 22 settembre 2006 alla contribuente Sanifor s.r.l. avviso di accertamento di maggiori ricavi con rideterminazione del reddito di impresa per l’anno (OMISSIS) ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1 e D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies.

La commissione tributaria provinciale di Pavia ha accolto il ricorso della contribuente.

La sentenza, appellata dall’agenzia, è stata riformata dalla commissione tributaria regionale Lombardia in Milano, con rigetto dell’originario ricorso della contribuente.

Avverso questa decisione la parte contribuente propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, rispetto al quale l’agenzia resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo di ricorso la parte contribuente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), artt. 2697 e 2729 c.c.. La parte contribuente lamenta che la sentenza impugnata, ritenendo legittimamente fondato l’accertamento sulle sole risultanze dello studio di settore, non avrebbe fatto applicazione della “regula iuris”, invece applicabile, per la quale, in una fattispecie di accertamento emesso nel 2006 in base agli studi di settore di cui al D.L. n. 331 del 1993, artt. 62 bis ss., in assenza della indicazione di elementi diversi dalla mera discrasia di valori, l’erario non può ritenersi aver assolto all’onere della prova a mezzo di presunzioni semplici del maggior reddito, non potendo costituire presunzioni gravi, precise e concordanti il solo scostamento dalle risultanze dello studio di settore.

2. – Con il secondo motivo di ricorso la parte contribuente denuncia, sempre in relazione all’art. 350 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3. Sostiene che la sentenza impugnata avrebbe trascurato di considerare che l’accertamento, per essere legittimo, avrebbe dovuto basarsi sull’esistenza, imposta da detta norma, di “gravi incongruenze” tra i dati dichiarati e quelli desumibili dagli studi di settore, che la giurisprudenza di merito avrebbe individuato in differenziali del 25-30% (a fronte del 5% dei ricavi nel caso di specie), mentre scostamenti di lieve entità (quali quelli entro l’intervallo di confidenza, dell’1% rispetto al ricavo minimo) potrebbero essere considerati unitamente ad altri elementi disponibili o acquisibili con i poteri istruttori dell’ufficio.

3. – Con il terzo motivo di ricorso la parte contribuente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, costituito dall’esistenza delle gravi incongruenze di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3; lamenta al riguardo la mera apparenza della motivazione circa l’esistenza di gravi incongruenze, limitata all’enunciazione del valore assoluto e della percentuale di scostamento dei ricavi (“si dissente poi dall’affermazione dei primi giudici per cui lo scostamento in contesa sia modesto rilevandone il valore assoluto: Euro 44201 e quello percentuale: quasi il 5% dei ricavi”). Si tratterebbe di affermazione che non consentirebbe di desumere, secondo la parte ricorrente, i criteri utilizzati.

4. – Con il quarto motivo di ricorso la parte contribuente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, costituito dall’insussistenza di circostanze idonee a giustificare lo scostamento; lamenta al riguardo la illogicità della motivazione offerta dalla commissione regionale, di dissenso rispetto alla commissione provinciale (“… si dissente ancora dalla… affermazione per cui nelle difese esposte dalla contribuente nel primo grado di giudizio, e qui confermate ed ampliate, vi sono elementi che possono indurre a concludere per l’infondatezza dell’accertamento”), incentrata esclusivamente sul fatto che le caratteristiche aziendali sarebbero già considerate nello studio di settore (“esaminata detta motivazione essa appare più una debole impressione che un fondato convincimento, ribadito che le caratteristiche aziendali poste dalla contribuente a fondamento delle sue difese sono state considerate nello studio di settore in discorso e quindi sono state poste a fondamento dell’accertamento previo contraddittorio”). In particolare, la parte contribuente lamenta la genericità, e quindi la non verificabilità logica, della motivazione in questione, che non enuncia nemmeno il tenore delle difese considerate e i parametri dello studio di settore in cui sarebbero ricomprese le caratteristiche stesse.

5. – I quattro motivi sono strettamente connessi tra loro e vanno esaminati quindi congiuntamente; non sussistendo nè le lamentate violazioni di legge (motivi dirimo e secondo), nè i denunciati vizi motivazionali (motivi terzo – e quattro), essi vanno tutti dichiarati infondati.

6. – Deve richiamare anzitutto la corte l’ormai fermo orientamento della giurisprudenza di legittimità (v. ad es. sez. un. n. 26635 del 2009 e sez. 5^, n. 11633 del 2013 e n. 17646 del 2014) secondo cui l’accertamento tributario standardizzato costituisce un’ sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, questi ha l’onere di provare, senza limitazione di mezzi e contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dell’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standard o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma va integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standard al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo.

7. – Ribadito dunque – rispetto alle questioni sollevate in particolare con i primi due motivi – che, se la motivazione dell’atto di accertamento è sufficiente quando rilevi non solo lo scostamento, ma anche l’applicabilità in concreto dello standard prescelto – e le ragioni per le quali sono state disattese le eventuali contestazioni sollevate, il collegio osserva che la sentenza impugnata, criticata con il primo motivo in quanto avrebbe legittimato un accertamento basato sulle sole risultanze dello studio evidenzianti scostamento e con il secondo in quanto tale scostamento non sarebbe grave, non merita le predette critiche in quanto, da un lato, non essendo in questione l’applicabilità dello standard, essa ha preso atto che all’esito del contraddittorio la parte contribuente non aveva indicato validi elementi di conforto (cfr. il passaggio “si constata che la commissione tributaria provinciale ha ritenuto che la società non abbia prodotto alcuna documentazione valida per giustificare lo scostamento… si ritiene di confermare il giudizio sopra riportato essendo il tutto insufficiente a contrastare i risultati dello studio di settore che vanno valutati… essere quali presunzioni gravi, precise e concordanti di evasione tributaria”); d’altro lato, quanto alla valutazione della gravità dello scostamento, trattandosi di accertamento in fatto cui è istituzionalmente deputato il giudice del merito, senza che esso sia sindacabile in cassazione se sorretto da motivazione adeguata, mentre non può trovare considerazione l’argomentazione di parte ricorrente che sottopone a questa corte, attraverso il richiamo di qualche precedente, profili, di doglianza tesi a far desumere dalla giurisprudenza un determinato livello di scostamento quale grave o non grave – operazione questa giuridicamente erronea in quanto, come detto, il relativo accertamento è di fatto, da operarsi caso per caso dai giudici di merito -, deve rilevarsi che la motivazione offerta in proposito dalla commissione regionale (criticata con il terzo motivo), in quanto correlata alla considerazione del valore assoluto e della percentuale di scostamento dei ricavi (“si dissente poi dall’affermazione dei primi giudici per cui lo scostamento in contesa sia modesto rilevandone il valore assoluto: Euro 44201 e quello percentuale: quasi il 5% dei ricavi”) non sia affatto meramente apparente e si presenti sufficiente ed adeguata dal pulito di vista logico e giuridico per consentirne il controllo da parte di questa corte, dando essa anche conto dei criteri utilizzati per l’accertamento della gravità, consistenti, appunto, nella quantificazione dell’entità dello scostamento. La sufficienza e logicità di tale motivazione, del resto, restano rafforzate ove si consideri che la commissione di merito, con valutazione che anch’essa, per le medesime ragioni di cui innanzi, sfugge alle censure mosse ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (con il quarto motivo), ha ritenuto che le indicazioni della parte in sede di contraddittorio, nonchè in sede processuale, secondo cui detto scostamento avrebbe dovuto,essere valutato in relazione a specifiche caratteristiche aziendali, fossero prive di incidenza, per essere tali caratteristiche già considerate nello studio di settore (“esaminata detta motivazione essa appare più una debole impressione che un fondato convincimento, ribadito che le caratteristiche aziendali poste dalla contribuente a fondamento delle sue difese sono state considerate nello studio di settore in discorso e quindi: sono state poste a fondamento dell’accertamento previo contraddittorio”); asserzione questa che, del tutto idonea e confacente dal punto di vista logico – giuridico, unico sindacabile in sede di legittimità, non può essere riesaminata neppure essa nel merito, trattandosi di giudizio in fatto rimesso alla commissione regionale.

8. – In definitiva, stante l’infondatezza di tutti i motivi, il ricorso va rigettato. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

La corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro duemiladuecento per compensi, oltre spese eventualmente prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della sezione quinta civile, il 11 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2016

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