Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19512 del 18/09/2020

Cassazione civile sez. II, 18/09/2020, (ud. 27/01/2020, dep. 18/09/2020), n.19512

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13979-2018 proposto da:

C.A.G., rappresentato e difeso dall’avvocato

GIANCARLO VENTRELLA;

– ricorrente –

contro

CONSOB – COMMISSIONE NAZIONALE PER LA SOCIETA’ E LA BORSA, in persona

del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata, in ROMA, presso la propria sede, VIA GIOVANNI BATTISTA

MARTINI 3, rappresentata e difesa dagli avvocati SALVATORE

PROVIDENTI, PAOLO PALMISANO e ANNUNZIATA PALOMBELLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1711/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 02/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/01/2020 dal Consigliere GIUSEPPE DE MARZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI CORRADO che ha concluso per l’inammissibilità, in subordine,

il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Giancarlo Ventrella, difensore del ricorrente, che

si è riportato agli atti depositati;

udito l’Avvocato Paolo Palmisano, difensore della resistente, che si

è riportato agli atti depositati ed ha chiesto il rigetto del

ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 2 novembre 2017 la Corte d’appello di Bari ha respinto il ricorso in opposizione proposto, ai sensi del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 187-septies, comma 4, (d’ora innanzi, t.u.f.), da C.A.G. avverso la Delib. 16 luglio 2015, n. 19244 con la quale la Consob – Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (d’ora innanzi, Consob) aveva applicato nei suoi confronti la sanzione pecuniaria di 100.000,00 Euro, la sanzione accessoria, ai sensi dell’art. 187-quater t.u.f., della perdita dei requisiti di onorabilità, con incapacità ad assumere incarichi di amministrazione, direzione e controllo nell’ambito di società quotate e di società appartenenti al medesimo gruppo di società quotate per un periodo di due mesi e, infine, la confisca dei beni, ai sensi dell’art. 187-sexies t.u.f. per un valore equivalente al profitto dell’illecito contestato.

In particolare, il C. è stato ritenuto responsabile dell’illecito di manipolazione del mercato (art. 187-ter, comma 3, t.u.f.), per avere, nel corso di cinque giornate, prima negoziato titoli di Stato BTPI-15ST41 2,55% sul mercato telematico delle obbligazioni (MOT) per un basso valore nominale, in tal modo determinando una speculare modifica del best ask/best bid prices sul sistema multilaterale di negoziazione Euro TLX, per poi inserire, in quest’ultimo sistema, ordini di compravendita di segno opposto di rilevante valore nominale, provvedendo a cancellare gli ordini immessi sul MOT, in tal modo alterando la quotazione dei titoli a mezzo di indicazioni ingannevoli rivolte agli altri operatori.

2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato: a) che gli eventuali vizi del procedimento amministrativo dinanzi alla Consob non sono autonomamente rilevanti, ai sensi dell’art. 21-octies della L. 7 agosto 1990, n. 241, in ragione della natura vincolata del provvedimento sanzionatorio e dell’immodificabilità del suo contenuto; b) che pertanto erano irrilevanti i lamentati vizi procedimentali e il prospettato falso nel procedimento notificatorio avente ad oggetto la notifica dell’atto di addebito; c) che, quanto al rispetto del termine di centottanta giorni previsto dall’art. 187-septies, comma 1, t.u.f., il dies a quo per la notifica della contestazione degli addebiti prende a decorrere solo quanto sia completata l’acquisizione di tutti gli elementi necessari per valutare gli elementi, oggettivi e soggettivi, dell’illecito;

d) che, nel caso di specie, le risposte di Webank s.p.a., Borsa Italiana s.p.a. e EuroTLX s.p.a. alle richieste informative della Consob aventi ad oggetto le operazioni compiute dal C., erano pervenute tra il giorno 11 dicembre 2013 e il giorno 7 febbraio 2014 ed era stato poi necessario procedere alla valutazione del complesso dei dati acquisiti;

e) che, nel merito, l’opposizione aveva operato una ricostruzione fuorviante dell’accaduto, parcellizzando le condotte tenute dal C.;

f) che, nel caso di specie, la manipolazione emergeva incontrovertibilmente dalla modalità e dalla connessione temporale degli ordini di compravendita di segno opposto, immessi prima nel MOT e, dopo pochi secondi, nell’EuroTLX, per quantitativi rilevanti, quando ormai l’intervento dei market makers aveva prodotto l’effettiva modificazione delle quotazioni bid/ask del titolo interessato in conseguenza del prezzo ribassato della prima proposta sul MOT; g) che, a completamento dell’operazione di profitto, si era registrata la cancellazione degli ordini immessi sul MOT immediatamente dopo la conclusione delle operazioni sull’EuroTLX;

h) che siffatta modalità attuativa della manipolazione è stata individuata nella comunicazione DME/5078692 del 29 novembre 2005; i) che la misura della sanzione, anche accessoria, corrispondeva a quella minima e non era, pertanto, suscettibile di ulteriore riduzione.

3. Avverso tale sentenza il C. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi, cui ha resistito con controricorso la Consob.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 187-septies, comma 1, del t.u.f., nonchè della L. n. 241 del 1990, art. 21-octies per avere la Corte d’appello considerato la prima norma, con particolare riguardo al termine di centottanta giorni previsto per la contestazione degli addebiti, derogabile dalla seconda.

2. Con il secondo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, per non avere la Corte territoriale esaminato i documenti dai quali risultava che l’addebito era stato effettuato oltre il termine di centottanta giorni previsto dall’art. 187-septies, comma 1, del t.u.f., sottolineando: a) che, per quanto emergeva dagli atti, già nel novembre 2011, l’Ufficio Abusi di Mercato della Consob aveva avviato l’indagine concernente ipotesi di manipolazione del mercato di alcuni titoli di Stato italiani, negoziati sia sul MOT e – che sull’EuroTLX, con riguardo ad operazioni effettuate da clienti Webank s.p.a.; b) che il quadro delle risultanze delle indagini concernenti gli specifici comportamenti del C. doveva ritenersi definito almeno a partire dal 14 novembre 2012, quando la Consob aveva accertato condotte identiche, che aveva poi contestato ad altro soggetto; c) che era passato oltre un anno fra tale momento e quello in cui la Consob aveva richiesto informazioni a Webank s.p.a. a proposito delle operazioni delle quali si discute; d) che d’altra parte nella Relazione alla Commissione prot. n. 0010221/15 del 12 febbraio 2015 era emerso che, sin dal 31 maggio 2013, erano iniziate, da parte dell’Ufficio Abusi di Mercato, le attività di analisi preliminare concernenti un’ipotesi di manipolazione del mercato posta in essere dal C.; e) che, pertanto, in disparte il tema dell’inesistenza della notifica, la contestazione degli addebiti del 28 febbraio – 10 marzo 2014 doveva essere ritenuta tardiva.

3. Con riferimento al tema posto dai primi due motivi della individuazione del termine a partire dal quale computare i centottanta giorni per la contestazione degli addebiti, deve procedersi, in ossequio al principio fondato sulla necessità di ricercare e indicare la “ragione più liquida” (Cass., Sez. Un., 18 novembre 2015, n. 23542; Cass., Sez. Un, 8 maggio 2014, n. 9936), all’esame del secondo motivo di ricorso. Premesso, infatti, che la sentenza impugnata è sorretta da due autonome rationes nella sentenza impugnata (l’applicabilità della L. n. 241 del 1990, art. 21 octies e il mancato decorso del termine, tenuto conto del fatto che le informative richieste dalla Consob in relazione alle operazioni poste in essere dal C. sono pervenute tra il giorno 11 dicembre 2013 e il 7 gennaio 2014), è sufficiente rilevare, con riguardo alla seconda ratio, che, in tema di sanzioni amministrative, qualora non sia avvenuta la contestazione immediata della violazione, il momento dell’accertamento – in relazione al quale collocare il dies a quo del termine previsto dalla L. n. 689 del 1981, art. 14, comma 2, per la notifica degli estremi di tale violazione – non coincide con quello in cui viene acquisito il fatto nella sua materialità da parte dell’autorità cui è stato trasmesso il rapporto, ma va individuato nel momento in cui detta autorità abbia acquisito e valutato tutti i dati indispensabili ai fini della verifica dell’esistenza della violazione segnalata, ovvero in quello in cui il tempo decorso non risulti ulteriormente giustificato dalla necessità di tale acquisizione e valutazione; il compito di individuare, secondo le caratteristiche e la complessità della situazione concreta, il momento in cui ragionevolmente la contestazione avrebbe potuto essere tradotta in accertamento e da cui deve farsi decorrere il termine per la contestazione spetta al giudice del merito, la cui valutazione non è sindacabile nel giudizio di legittimità, ove congruamente motivata (v., di recente, Cass. 29 ottobre 2019, n. 27702; Cass. 8 agosto 2019, n. 21171).

La ricostruzione e la valutazione delle circostanze di fatto inerenti ai tempi occorrenti per la contestazione, rispetto all’acquisizione delle informazioni rilevanti, e in particolare la stima della congruità del tempo utilizzato in relazione alla maggiore o minore difficoltà del caso, sono, quindi, elementi rimessi al giudice del merito, il cui apprezzamento è incensurabile in sede di legittimità, se non limitatamente al vizio motivazionale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nei ridotti limiti in cui il relativo scrutinio è oggi ammesso: cfr. Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053). Precisamente, in relazione al sindacato sulla tempistica degli atti di indagine, questa Corte ha affermato: (a) che il giudice deve limitarsi a rilevare se vi sia stata un’ingiustificata e protratta inerzia durante o dopo la raccolta dei dati di indagine, tenuto anche conto che ragioni di economia possono indurre a raccogliere ulteriori elementi atti a dimostrare la sussistenza, accanto a violazioni già risultanti dagli atti raccolti, di altre violazioni amministrative, al fine di emettere un unico provvedimento sanzionatorio; (b) che la valutazione della superfluità degli atti di indagine va effettuata con un giudizio ex ante (e in tal senso il giudice deve rilevare l’evidente superfluità, per essere manifestamente già accertati tempi, entità e altre modalità delle violazioni, senza omettere di considerare anche la possibile connessione con altre violazioni ancora da accertare), essendo irrilevante che indagini potenzialmente fruttuose in via prognostica si rivelino, ex post, inutili (Cass. 30 ottobre 2017, n. 25730; Cass. 16 aprile 2018, n. 9261).

Orbene, la Corte territoriale, facendo puntuale applicazione dei suesposti principi, ha dato ampiamente conto, secondo quanto si è sopra riassunto, delle ragioni che l’hanno portata a ritenere tempestiva la contestazione.

4. Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 187-septies, comma 1, del t.u.f., nonchè della L. n. 241 del 1990, art. 21-octies per avere la Corte d’appello considerato la prima norma, con particolare riguardo al termine di centottanta giorni previsto per la contestazione degli addebiti, derogabile dalla seconda, anche nella prospettiva del denunciato falso nel procedimento notificatorio.

5. Con il quarto motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, per non avere la Corte territoriale esaminato i documenti prodotti dal C. e attestanti la sua assenza dall’Italia il giorno 10 marzo 2014, data in cui un soggetto rimasto sconosciuto aveva apposto falsamente la sua sottoscrizione in calce all’avviso di ricevimento relativo alla lettera di contestazione degli addebiti.

Osserva il ricorrente: a) che, a seguito della comunicazione di avvio della “parte istruttoria della decisione” pervenutagli in data 8 settembre 2014 e della conseguente richiesta di accesso agli atti, egli aveva appreso che risultava effettuata una notifica dell’atto di addebito; b) che egli aveva provato di non aver potuto sottoscrivere l’avviso di ricevimento del 10 marzo 2014, in quanto assente dall’Italia, come dimostrato dalla copia dei biglietti aerei a lui intestati; c) che con la memoria difensiva inviata alla Consob in data 19 novembre 2014 egli aveva formalmente disconosciuto la sottoscrizione apposta sul menzionato avviso di ricevimento; d) che, peraltro, il C. aveva documentalmente dimostrato che il Comune di Ischitella aveva da tempo segnalato a Poste Italiane il mancato recapito a propri cittadini di raccomandate con avviso di ricevimento.

6. I due motivi, che, nella prospettiva del ricorrente assumono in questo caso specifico ed autonomo rilievo rispetto al primo sopra ricordato, in quanto attengono alla rilevanza del regolare perfezionamento della contestazione degli addebiti nel termini. previsto dal legislatore, possono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione.

Ora, è esatto che il richiamo alla L. n. 24 del 1990, art. 21-octies è poco pertinente nel caso di specie, perchè attiene ai presupposti di annullabilità del provvedimento amministrativo, mentre il ricorrente, deducendo di non avere mai ricevuto la notifica dell’atto di addebito e che altri avrebbe apposto una falsa sottoscrizione sull’avviso di ricevimento, pone una questione di inesistenza dell’atto il cui esercizio soltanto, nel termine previsto dal legislatore, era idoneo ad impedire la decadenza della p.a. dall’esercizio della potestà sanzionatoria (che si tratti di termine di decadenza è ribadito, di recente, dalla citata Cass. n. 21171 del 2019).

I precedenti citati dalla sentenza impugnata (Cass., Sez. Un., 30 settembre 2009, n. 20929; 30 giugno 2016, n. 13433, come anche quello evocato dal Procuratore generale nell’udienza di discussione: Cass. 3 gennaio 2019, n. 5) hanno riguardo al termine per la conclusione del procedimento, mentre, per la contestazione degli addebiti, questa Corte ritiene applicabile, in via generale, la L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 14, u.c. che prevede l’estinzione dell’obbligazione, in caso di mancata notifica nel termine prescritto.

Sul punto, con estrema chiarezza si è espressa Cass. 18 aprile 2018, n. 9517, la quale ha osservato che, a parte l’indicazione dell’art. 14 cit., che prescrive un termine perentorio per la contestazione differita e a parte l’esigenza di rispettare effettivamente il principio del contraddittorio nel corso del procedimento amministrativo che conduce all’irrogazione della sanzione, non sussiste alcuna altra disposizione cogente in ordine al rispetto di termini endoprocedimentali desumibile dalla L. n. 689 del 1981, salvo il regime prescrizionale stabilito nell’art. 28 della stessa legge. La formulazione finale del provvedimento sanzionatorio, una volta rispettati i termini per la contestazione formale, non è assoggettata dalla lex generalis, ossia dalla L. n. 689 del 1981, ad alcuno sbarramento temporale decadenziale, salva la prevalenza di leggi speciali di pari grado.

Ora, in difetto di norme speciali, si applica la L. n. 689 del 1981, art. 14 che, al comma 4, richiama, per la forma della notificazione le disposizioni previste dalle leggi vigenti.

Ma appunto, nella notificazione a mezzo del servizio postale, l’attestazione sull’avviso di ricevimento con la quale l’agente postale dichiara di avere eseguito la notificazione, ai sensi della L. n. 890 del 1982, art. 8 fa fede fino a querela di falso.

Ne discende che, da un lato, l’avviso di ricevimento, a condizione che sia sottoscritto dall’agente postale, per le attività che risultano in esso compiute, gode di forza certificatoria fino a querela di falso e, dall’altro, che il destinatario di un avviso di ricevimento che affermi di non avere mai ricevuto l’atto e, in particolare, di non aver mai apposto la propria firma sullo stesso avviso, ha l’onere, se intende contestare l’avvenuta esecuzione della notificazione, di impugnare l’avviso di ricevimento a mezzo di querela di falso (Cass. 3 settembre 2019, n. 22058).

Nel caso di specie, risulta che, nelle conclusioni dell’atto di opposizione, il C. abbia proposto querela di falso. Tuttavia, quest’ultimo, a fronte della valutazione di irrilevanza espressa dal giudice di merito, ai sensi dell’art. 222 c.p.p., non ha proposto alcuna impugnazione specifica, al punto che non ha neppure menzionato la proposizione della querela, limitandosi ad affermare di avere disconosciuto la sottoscrizione.

Ne discende che, consolidatasi la valutazione di inammissibilità della querela, il terzo e il quarto motivo non risultano sorretti da alcun giuridico interesse ad impugnare.

7. Con il quinto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 187-ter, comma 3, lett. i) e comma 4, del t.u.f., per avere la Corte d’appello qualificato come illeciti di manipolazione del mercato lecite condotte di negoziazione.

8. Con il sesto motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, per non avere la Corte territoriale considerato la circostanza che il comportamento del C. era stato posto in essere in buona fede anche in epoca anteriore e successiva a quella presa in esame dalla Consob con il provvedimento impugnato.

Il ricorrente sottolinea, riproducendo due motivi di opposizione già sottoposti alla Corte d’appello di Bari: a) che egli, dal 2011 all’agosto del 2014, per prudenza e insicurezza, dal momento che proprio allora aveva cominciato ad operare nel mercato obbligazionario, aveva inserito nel MOT proposte di negoziazione per un basso valore nominale e spesso aveva revocato le proposte, per i suoi dubbi sull’effettivo valore dei titoli in un dato momento della giornata; b) che la percentuale di siffatte operazioni era rimasta sostanzialmente immutata nell’indicato periodo di riferimento; c) che puramente congetturale era l’attribuzione al C. del fine di provocare la modifica del best ask price/best bid price; d) che, del pari indimostrata era la sussistenza di un nesso di causalità fra ciò che accade nel MOT e ciò che avviene sull’EuroTLX; d) che la fase della negoziazione continua nei due sistemi non prevede la possibilità di contrattazioni incrociate; e) che l’intento manipolativo con effetto trasversale e mediato non è contemplato da alcuna norma in vigore, sia per non riconducibilità delle operazioni ad un’unica sede di negoziazione (trading venue) sia perchè le proposte di negoziazione di pertinenza dell’EuroTLX non erano state generate ad iniziativa del C., ma di un unico market maker operante con lo stesso strumento finanziario, da individuarsi in Unicredit Bank AG di (OMISSIS).

9. Le due censure, esaminabili congiuntamente per la loro stretta connessione, sono inammissibili.

Innanzi tutto, la tecnica di formulazione della censura si traduce nella testuale riproposizione delle ragioni esposte nel ricorso indirizzato alla Corte d’appello e nella generica affermazione che il giudice di merito non avrebbe esaminato circostanze idonee a dimostrare la buona fede che avrebbe sorretto la condotta del C..

In definitiva, il ricorso non si confronta in termini specifici con la motivazione contenuta nella sentenza impugnata.

In ogni caso, le doglianze, nonostante la formale indicazione del vizio di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si collocano al di fuori del perimetro applicativo di tale previsione e aspirano ad una rivalutazione del merito delle risultanze istruttorie. L’inammissibilità, per le ragioni indicate, della doglianza che investe la ricostruzione dei fatti e la concreta correlazione delle condotte operate sul MOT e su EuroTLX, comporta l’evidente infondatezza della censura di violazione dell’art. 187-ter del t.u.f..

10. Con il settimo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 187-septies, comma 6-ter, del t.u.f., per avere la Corte d’appello escluso che tale norma consentisse di ridurre la sanzione al di sotto del minimo edittale.

La doglianza è infondata.

Dell’art. 187-septies, Il menzionato comma 6-ter, t.u.f. dispone che, con la sentenza la corte d’appello può rigettare l’opposizione, ponendo a carico dell’opponente le spese del procedimento o accoglierla, annullando in tutto o in parte il provvedimento o riducendo l’ammontare o la durata della sanzione.

Occupandosi della L. 24 novembre 1981, n. 689, ormai abrogato art. 23 questa Corte ha rilevato che il giudice ha la facoltà di rideterminare ed anche ridurre l’ammontare della sanzione, ma pur sempre entro il limite minimo e quello massimo previsti dalla legge, non esistendo una norma analoga a quella dettata dall’art. 133-bis c.p., che autorizza il giudice, entro certi limiti e in determinati casi, a scendere al di sotto del minimo edittale, e non essendo possibile neppure una interpretazione analogica di essa, trattandosi di norma eccezionale (Cass. 9 novembre 2006, n. 23930).

Siffatto orientamento è stato recepito dal legislatore, giacchè il D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 6, comma 12, dispone ora esplicitamente che, con la sentenza che accoglie l’opposizione, il giudice può annullare in tutto o in parte l’ordinanza o modificarla anche limitatamente all’entità della sanzione dovuta, che è determinata in una misura in ogni caso non inferiore al minimo edittale.

Siffatta puntualizzazione, tuttavia, proprio per il precedente orientamento giurisprudenziale sopra ricordato, appare come diretta a confermare ciò che prima si poteva solo desumere dal sistema e non ad introdurre elementi di innovazione (che, peraltro, il D.Lgs. n. 150 del 2011 non avrebbe potuto disporre, dal momento che la legge delega 18 giugno 2009, n. 69, art. 54 non contemplava alcun potere modificativo che non fosse meramente finalizzato a realizzare il necessario coordinamento con le altre disposizioni vigenti: art. 54, comma 2).

Peraltro, in assenza di criteri predeterminati dal legislatore non si intenderebbe alla luce di quali parametri ed entro quali limiti il giudice potrebbe discostarsi dal minimo edittale.

11. Occorre, tuttavia, porsi il problema della rilevabilità d’ufficio della non rispondenza della sanzione irrogata – e confermata dai giudici di merito proprio perchè fissata nell’importo minimo all’epoca previsto al quadro normativo prodotto per effetto della sentenza della Corte costituzionale 21 marzo 2019, n. 63.

Quest’ultima, fra l’altro, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, in via consequenziale, ai sensi della L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 27, del D.Lgs. 12 maggio 2015, n. 72, art. 6, comma 2, nella parte in cui esclude l’applicazione retroattiva delle modifiche apportate dallo stesso art. 6, comma 3 alle sanzioni amministrative previste per l’illecito di cui al D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 187-ter.

La questione nel merito è stata affrontata dalle parti in sede di discussione orale e, d’altra parte, il tema dell’entità della sanzione è stato investito dal ricorso con il settimo motivo, sebbene quest’ultimo non concerna direttamente il profilo della legittimità della non applicabilità retroattiva delle modifiche migliorative disposte dal D.Lgs. n. 72 del 2015.

Al riguardo si osserva che, in linea generale, questa Corte ha affermato che nel giudizio di legittimità, lo ius superveniens, che introduca una nuova disciplina del rapporto controverso, può trovare di regola applicazione solo alla duplice condizione che, da un lato, la sopravvenienza sia posteriore alla proposizione del ricorso per cassazione (e ciò perchè, in tale ipotesi, il ricorrente non ha potuto tener conto dei mutamenti operatisi successivamente nei presupposti legali che condizionano la disciplina dei singoli casi concreti); e, dall’altro lato, la normativa sopraggiunta sia pertinente rispetto alle questioni agitate nel ricorso, posto che i principi generali dell’ordinamento in materia di processo per cassazione – e soprattutto quello che impone che la funzione di legittimità sia esercitata attraverso l’individuazione delle censure espresse nei motivi di ricorso e sulla base di esse – impediscono di rilevare d’ufficio (o a seguito di segnalazione fatta dalla parte mediante memoria difensiva ai sensi dell’art. 378 c.p.c.) regole di giudizio determinate dalla sopravvenienza di disposizioni, ancorchè dotate di efficacia retroattiva, afferenti ad un profilo della norma applicata che non sia stato investito, neppure indirettamente, dai motivi di ricorso e che concernano quindi una questione non sottoposta al giudice di legittimità (v., in particolare, Cass. 8 maggio 2006, n. 10547).

In ogni caso, questa Corte ha ritenuto che lo jus superveniens intervenuto nella pendenza del giudizio di legittimità (come è avvenuto nel presente giudizio) possa essere applicato dalla Corte di Cassazione anche nei giudizi nei quali la quantificazione della sanzione operata nell’ordinanza sanzionatoria non sia stata specificamente impugnata in sede giurisdizionale o nei quali la relativa impugnazione sia stata rigettata in primo grado con statuizione non appellata o sia stata rigettata in secondo grado con statuizione non gravata di ricorso per cassazione.

In particolare, Cass. 9 agosto 2018, n. 20697, non massimata sul punto, ha ritenuto che il secondo degli indicati presupposti, ossia la pertinenza dello jus superveniens a questioni sottoposte al giudice di legittimità, deve tuttavia ritenersi derogato nel caso in cui il giudizio abbia ad oggetto l’impugnativa di un provvedimento recante una sanzione e le modifiche normative sopravvenute siano destinate ad applicarsi retroattivamente in applicazione del principio, di carattere pubblicistico, del favor rei.

Cass. 20697 del 2018 ha, inoltre, aggiunto che tale conclusione ivi, contrasta con i principi in materia di rapporto fra jus superveniens e cosa giudicata, perchè la statuizione sulla misura della sanzione è dipendente dalla statuizione sulla responsabilità del sanzionato e pertanto, ai sensi dell’art. 336 c.p.c., è destinata ad essere travolta dall’eventuale caducazione di quest’ultima, cosicchè essa non può passare in giudicato fino a quando l’accertamento della responsabilità dei sanzionato non sia a propria volta passata in giudicato.

12. Il rilievo d’ufficio della illegittimità della cornice di riferimento all’interno della quale è stato individuato il trattamento sanzionatorio impone la cassazione della sentenza gravata ed il rinvio alla corte territoriale per la rideterminazione di quest’ultimo.

P.Q.M.

Rigetta i motivi di ricorso e, decidendo su quest’ultimo, cassa e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Bari limitatamente alla determinazione della sanzione.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2020

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