Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19512 del 04/08/2017


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Cassazione civile, sez. III, 04/08/2017, (ud. 21/06/2017, dep.04/08/2017),  n. 19512

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3481/2015 proposto da:

MTSYS SRL in persona dell’Amministratore Unico, suo legale

rappresentante p.t. Dott. V.V., domiciliata ex lege, in

ROMA presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata

e difesa dall’avvocato PAOLO VENEZIA giusta procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

TSS SPA già INNOVARE 24 SPA in persona del Presidente del Consiglio

di Amministrazione e suo legale rappresentante, Dott.

L.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SILVIO PELLICO 24,

presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE VALVO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato NICCOLO’ TOMASO NISIVOCCIA giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2695/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 12/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/06/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel dicembre 1994 Data Ufficio s.r.l. ha convenuto in giudizio la società MTSYS per sentire dichiarare risolto e/o comunque risolvere il contratto di licenza d’uso stipulato il 2 dicembre 1992. La MTSYS si costituiva in giudizio e, nell’impugnare le avverse deduzioni e richieste, spiegava domanda riconvenzionale per sentire dichiarare risolto il contratto in questione per fatto e colpa esclusiva di Data Ufficio, e condannare quest’ultima al risarcimento dei danni per attività di concorrenza sleale, anche conseguente a storno di dipendente, ed utilizzo abusivo di software.

Il Tribunale di Avellino con sentenza n. 1389 del 2010, in accoglimento della domanda attorea, dichiarò la risoluzione del contratto e condannò la MTSYS al pagamento in favore della Data Ufficio della somma di Euro 30.000, rigettava la domanda riconvenzionale e dichiarata interamente compensate le spese.

2. La Corte di appello di Napoli, con la sentenza n. 2695 del 12 giugno 2014, accogliendo il gravame proposto da MTSYS, ha riformato la decisione relativamente alla declarata risoluzione contrattuale per inadempimento posta a carico della stessa ed ha annullato il risarcimento del danno delibato dal giudice di primo grado a favore di Innovare 24 ma non ha disposto in merito al pagamento della fattura MTSYS n. 2520 del 2 novembre 1994. Ha anche rigettato le richieste relative alla risoluzione contrattuale per inadempimento di Innovare 24, così come non ha accolto il gravame relativamente alle richieste di risarcimento dei danni conseguenti alle attività di concorrenza sleale poste in essere da Innovare 24 mediante storno di dipendente ed utilizzo abusivo di software di proprietà industriale di MTSYS, sui presupposti che lo storno di un singolo dipendente e non di uno staff non poteva integrare l’ipotesi di attività di concorrenza sleale. Inoltre in un separato giudizio, definito in grado di appello dalla Corte di Roma, era stato ribadito la paternità, in capo al “dipendente infedele”, delle procedure generatrici di Speedy Prog.

3. Avverso tale pronunzia, la MTSYS s.r.l. propone ricorso in Cassazione con tre motivi.

3.1. Resiste con controricorso la TSS S.p.a. (già Innovare 24, e prima ancora Data Ufficio s.r.l.).

4. Il collegio ha deliberato di adottare una motivazione in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5.1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta la “violazione ed errata interpretazione degli artt. 1453 e 1455 c.c..”

Si duole che il giudice dell’appello nella sentenza impugnata pur annullando la condanna posta dal primo giudice a carico di MTSYS non abbia accolto la richiesta di risoluzione contrattuale in danno di innovare 24 e la relativa richiesta di condanna a titolo di risarcimento danni dell’importo portato dalla fattura (OMISSIS).

5.2. Con il secondo motivo deduce “violazione ed errata interpretazione dell’art. 2598 c.c., n. 3”.

Lamenta che lo storno dei dipendenti di un’impresa da parte di un imprenditore concorrente deve ritenersi vietato come atto di concorrenza sleale allorchè sia attuato non solo con la consapevolezza nell’agente dell’idoneità dell’atto a danneggiare l’altrui impresa, ma altresì con la precisa intenzione di conseguire tale risultato. Va, quindi, ritenuto sussistente ogni volta che in base agli accertamenti compiuti dal giudice del merito lo storno dei dipendenti sia posto in essere con modalità tali da non potersi giustificare alla luce dei principi di correttezza professionale se non supponendo nell’autore l’intento di danneggiare l’organizzazione e la struttura produttiva dell’imprenditore concorrente. E nel caso di specie, all’esito della CTU ed alle prove testimoniali è fuori di dubbio che Data Ufficio sia ricorsa all’espediente dello storno del dipendente per appropriarsi indebitamente del necessario Know-How per arrecare danno alla ricorrente.

5.3. Con il terzo motivo denuncia “l’omessa/contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia”.

La Corte d’Appello avrebbe errato perchè ha ritenuto che il giudicato formatosi innanzi al tribunale ed alla Corte di appello di Roma in merito alla procedura Speedy Prog riguardasse l’intero applicativo. Nel caso di specie l’applicativo 740&C, di proprietà esclusiva di MTSYS, consentiva la predisposizione e la redazione delle dichiarazioni fiscali annuali.

6. I tre motivi possono essere congiuntamente esaminati e sono tutti inammissibili sia perchè i motivi sono astratti e non c’è correla”iione con l’esposizione del fatto, sia per violazione del principio di autosufficienza in relazione all’esposizione dei fatti di causa sia per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

Per quanto riguarda il primo aspetto il ricorso di MTSYS non consente la comprensione neppure sommaria, dei fatti della causa nè consente di comprendere quali siano le ragioni per le quali la Corte d’Appello non abbia accolto tutte le domande della ricorrente, nè tantomeno sono indicati i motivi di appello. Per il secondo aspetto non sono indicati gli atti processuali e/o documenti sui quali il ricorso si fonda (Cass. S.U. n. 7161/2010; Cass. S.U. n. 28547/2008). Pertanto, come nel caso di specie, la mancanza di una sola delle indicazioni rende il ricorso inammissibile (Cass. n. 19157/12; Cass. n. 22726/11; Cass. n. 19069/2011).

Per quanto poi riguarda il terzo motivo si evidenzia, tra l’altro, che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. S.U. 8053-8054/2014). E nel caso di specie il ricorrente non ha rispettato i limiti imposti dalla norma.

7. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

 

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in curo 200, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2017

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