Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19510 del 23/08/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 19510 Anno 2013
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: PETITTI STEFANO

SENTENZA

sanzioni
amministrative

sul ricorso proposto da:
ABAXBANK s.p.a., in persona del legale rappresentante

tempore,

pro

nonché CORRADI Enrico, MEDICI Giorgio, BIZZOCCHI

Adolfo, BARONI Giuliano, BRAGLIA Marco, CALLOSI Franco,
FERRARI Giorgio, MATTEI GENTILI Matteo, MILLA Alberto,
MARAMOTTI Luigi, TAGLIAVINI Giorgio, AGUZZI DE VILLENEUVE
Emilio, CAVALLUZZO Nicolino, RIGHETTI Ottorino, tutti rappresentati e difesi, in forza di procura speciale in calce
al ricorso, dagli Avvocati Francesco Sagramoso e Giammaria
Camici, elettivamente domiciliati presso lo studio del secondo in Roma, via Monte Zebio n. 30;

– ricorrenti contro

ai/3

Data pubblicazione: 23/08/2013

CONSOB – COMMISSIONE PER LE SOCIETA 1 E LA BORSA, in persona
del legale rappresentante pro tempore;
– intimata contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Mi-

– intimato e sul ricorso iscritto al R.G. n. 5599 del 2007, proposto
da:
CONSOB – COMMISSIONE PER LE SOCIETA’ E LA BORSA, in persona
del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e di-

fesa, in virtù di procura speciale a margine del controricorso, dagli Avvocati Giovanni Arieta, Fabio Biagianti, Maria Letizia Ermetes e Rocco Vampa, elettivamente domiciliata nello studio del primo in Roma, Viale Carso n. 71;
contro
ABAXBANK s.p.a., in persona del legale rappresentante
tempore,

pro

nonché CORRADI Enrico, MEDICI Giorgio, BIZZOCCHI

Adolfo, BARONI Giuliano, BRAGLIA Marco, CALLOSI Franco,
FERRARI Giorgio, MATTEI GENTILI Matteo, MILLA Alberto,
MARAMOTTI Luigi, TAGLIAVINI Giorgio, AGUZZI DE VILLENEUVE
Emilio, CAVALLUZZO Nicolino, RIGHETTI Ottorino, tutti rappresentati e difesi, in forza di procura speciale in calce
al ricorso, dagli Avvocati Francesco Sagramoso e Giammaria

nistro pro tempore;

Camici, elettivamente domiciliati presso lo studio del secondo in Roma, via Monte Zebio n. 30;
controricorrenti al ricorso incidentale

e nei confronti del
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Mi-

– intimato

avverso il decreto della Corte d’appello di Milano depositato in data 16 giugno 2006. (A ,* 1″)-0 0

ios– (L. RA-c_. ■r- ),

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza
pubblica del 14 gennaio 2013 dal Consigliere relatore Dott.
Stefano Petitti;
sentiti gli Avvocati Francesco Sagramoso con delega,
per i ricorrenti principali, Giovanni Arieta, Rocco Vampa,
Maria Letizia Ermetes e Fabio Biagianti per CONSOB;
sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Pierfelice Pratis, che ha
chiesto il rigetto del ricorso principale, assorbito
l’incidentale.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
ABAXBANK s.p.a., in persona del legale rappresentante
pro tempore,

nonché CORRADI Enrico, MEDICI Giorgio,

BIZZOCCHI Adolfo, BARONI Giuliano, BRAGLIA Marco, CALLOSI
Franco, FERRARI Giorgio, MATTEI GENTILI Matteo, MILLA Alberto, MARAMOTTI Luigi, TAGLIAVINI Giorgio, AGUZZI DE

nistro pro tempore;

VILLENEUVE Emilio, CAVALLUZZO Nicolino, RIGHETTI Ottorino
proponevano opposizione avverso il provvedimento del Ministero dell’economia e delle finanze del 23 giugno 2005, n.
69713, con il quale, su proposta della CONSOB, era stato
ingiunto alla Banca di pagare la sanzione pecuniaria com-

gli esponenti aziendali indicati come responsabili.
Nel contraddittorio con la CONSOB e con il Ministero,
sentito il Procuratore generale, la Corte d’appello di Milano, con decreto reso pubblico mediante deposito in cancelleria in data 16 giugno 2006, ha affermato la legittimazione dei singoli esponenti aziendali alla proposizione
della opposizione; ha dichiarato la invalidità degli atti e
delle difese collettive degli opponenti, nella parte in cui
si riferivano a deduzione di motivi e argomenti implicanti ,\(
una situazione di incompatibilità e di conflitto tra le diverse posizioni soggettive rappresentate in ordine alle
differenziazioni quanto alla responsabilità dei singoli
soggetti indicati nel decreto sanzionatorio; ha rigettato
l’opposizione.
Avverso questo decreto i ricorrenti in epigrafe indicati hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi, cui ha resistito con controricorso la CONSOB,
la quale ha altresì proposto ricorso incidentale affidato a
due motivi; i ricorrenti principali hanno resistito, con

plessiva di euro 111.400,00, con obbligo di regresso verso

controricorso al ricorso incidentale;

il Ministero

dell’economia e delle finanze non ha svolto attività difensiva.
In prossimità dell’udienza entrambe le parti hanno depositato memoria.

1. Deve preliminarmente essere disposta la riunione del
ricorso principale e di quello incidentale, in quanto relativi alla medesima decisione (art. 335 cod. proc. civ.).
2. Assume carattere preliminare il secondo motivo del
ricorso incidentale, con il quale la CONSOB denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 83 e 84 cod. proc.
civ. nonché vizio di motivazione, dolendosi del mancato integrale accoglimento della eccezione con la quale aveva
sollecitato una decisione di inammissibilità del ricorso
perché proposto in forma collettiva da parte di soggetti in
posizioni diverse e incompatibili.
A conclusione del motivo, la CONSOB formula il seguente
quesito di diritto: «Dica l’Ecc.ma Corte di cassazione se
la costituzione in giudizio di più parti, per mezzo di uno
stesso procuratore, cui sia stato conferito mandato con unico atto sottoscritto da tutte le predette parti (nella
specie, dalle società coobbligate in solido e dai singoli
responsabili degli illeciti amministrativi), è valida solo
quando fra le stesse non vi sia conflitto di interessi in

MOTIVI DELLA DECISIONE

correlazione stretta con il concreto rapporto esistente fra
le parti, i cui interessi risultino suscettibili di contrapposizione e se da tale vizio discenda la inammissibilità dell’atto nella sua interezza».
2.1. Il motivo è infondato.

conforme ai principi affermati da questa Corte in tema di
conflitto di interesse, ha, da un lato, ritenuto ammissibile l’opposizione proposta dai singoli esponenti aziendali legittimazione invece contestata dalla CONSOB ed oggetto
anche di un secondo motivo di ricorso incidentale – e,
dall’altro, ha rilevato che la posizione di conflitto tra
la società e alcuni degli esponenti aziendali destinatari
dell’accertamento dell’illecito fosse ravvisabile unicamente con riferimento alle due censure articolate dagli opponenti sub 7.1.a e 7.2.a, relative, le prime, alle carenze
contestate per la mancata formalizzazione del manuale delle
procedure di controllo, rispetto alle quali il responsabile
della funzione di controllo interno assumeva di avere rilevato invece tali carenze, segnalandole all’amministratore
delegato, al collegio sindacale e al comitato di auditing e
di CredemHolding; le seconde, alle carenze nelle procedure
per la elaborazione di

credit opinion e rating,

che il

controller assumeva di avere segnalato ai componenti degli
organi sociali della banca.

6

La Corte d’appello, con motivazione immune da censura e

In relazione a tali due questioni, la Corte d’appello
ha dunque ritenuto configurabile un potenziale conflitto di
interesse tra le parti rappresentate dall’unico difensore e
ha conseguentemente ritenuto che le stesse non potessero
essere esaminate. Ha tuttavia escluso che dalla proposizio-

ziato un conflitto di interesse, potesse discendere la invalidità dell’atto e la inammissibilità di tutte le altre
censure, in ordine alle quali sussisteva una piena convergenza di posizioni, sostanziali e processuali, dei singoli
opponenti e della banca.
Orbene, un siffatto percorso argomentativo non risulta
validamente contrastato con il motivo di ricorso incidentale in esame, atteso che con esso la CONSOB sostanzialmente
ripropone testualmente il contenuto della eccezione di inammissibilità svolta in sede di opposizione, sostenendo,
in aggiunta, la erroneità della soluzione adottata dalla
Corte d’appello, sul rilievo che questa, accertata una posizione di conflitto di interesse, non avrebbe potuto limitarne le conseguenze a due sole censure, ma avrebbe dovuto
ritenere l’intera opposizione inammissibile.
Al contrario, deve ritenersi che la Corte d’appello si
sia attenuta al principio, che il Collegio condivide, per
cui «la costituzione in giudizio di più parti, per mezzo di
uno stesso procuratore cui sia stato conferito il mandato

ne di una specifica censura, il cui esame avrebbe eviden-

con unico atto da tutte sottoscritto, è valida solo quando
fra le medesime parti non vi sia conflitto di interessi che può essere non solo attuale, ma anche virtuale, nel
senso non della sua mera eventualità, bensì del suo connaturale collegamento al particolare rapporto esistente fra

bili di contrapposizione – e non è di per sé preclusa dal
disposto dell’art. 103 cod. proc. civ. sul símultaneus processus. Riguardo a una siffatta attività difensiva congiunta, costituisce limite intrinseco al conferimento della
procura, da parte di più soggetti a favore del medesimo avvocato, l’impossibilità per quest’ultimo di svolgere allegazioni, richieste e deduzioni nei reciproci rapporti fra
detti soggetti, a favore di taluno e contro altri: la violazione di tale limite intrinseco è rilevabile d’ufficio
dal giudice, atteso che essa investe il diritto di difesa
ed il principio del contraddittorio, valori costituzionalmente tutelati, e nei giudizi di impugnazione comporta
l’invalidità degli atti ad essa relativi (nella specie la
S.C. ha conseguentemente ritenuto che le censure di due dei
tre soggetti, difesi dal medesimo difensore, dirette, in
sede di legittimità, contro il terzo soggetto non potessero
essere prese in considerazione)» (Cass. n. 8842 del 2008).
Principio che ha poi trovato una esplicitazione nel senso
che il detto conflitto, «nel giudizio d’impugnazione, non

le parti, i cui interessi risultino, in astratto suscetti-

necessariamente comporta la nullità dell’intero atto di
gravame, ma solo di quei motivi che contengono censure
svolte in maniera tale che il loro accoglimento comporterebbe un vantaggio per uno degli impugnanti a danno
dell’altro» (Cass. n. 15183 del 2005).

unico atto di impugnazione riferibile ad una pluralità di
soggetti – e il giudizio di opposizione di cui all’art. 195
del d.lgs. n. 58 del 1998 è assimilabile ad un giudizio di
impugnazione, essendo l’ambito della cognizione del giudice
limitato ai motivi dedotti dagli opponenti – di censure potenzialmente espressive di un conflitto di interesse tra
soggetti rappresentati e difesi dal medesimo difensore,
comporta non la inammissibilità dell’atto di impugnazione
nel suo complesso, ma unicamente la impossibilità di prendere in esame quelle censure nelle quali il conflitto possa
evidenziarsi.
La ricorrente incidentale, dunque, non poteva limitarsi
ad invocare la inammissibilità dell’opposizione collettivamente proposta sol perché alcune delle censure proposte potevano determinare un conflitto di interesse tra le parti
opponenti, ma, una volta che, in aderenza all’indicato
principio, la Corte d’appello aveva ritenuto di non poter
prendere in considerazione quelle censure, avrebbe dovuto
denunciare la erroneità della decisione, nel senso che a-

9

In sostanza, la concreta prospettazione contenuta in un

vrebbe dovuto dedurre e dimostrare che in realtà la Corte
d’appello aveva preso in esame altre censure che implicavano una situazione di conflitto di interesse tra le parti
opponenti rappresentate e difese dal medesimo difensore. Il
che non si è verificato nel caso in esame.

primo motivo del ricorso incidentale, atteso che esso attiene alla legittimazione alla opposizione in capo ai singoli esponenti aziendali, affermata dalla Corte d’appello,
contestata dalla CONSOB.
3.1. Il motivo è infondato.
In proposito, è sufficiente ricordare che «in tema di
sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni
in materia di intermediazione finanziaria, l’obbligatorietà
dell’azione di regresso prevista dall’art. 195, comma 9,
del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 nei confronti del responsabile, comporta, anche in ragione dell’efficacia che
nel relativo giudizio è destinata a spiegare la sentenza
emessa nei confronti della società o dell’ente cui appartiene, che, anche qualora l’ingiunzione di pagamento sia
emessa soltanto nei confronti della persona giuridica, alla
persona fisica autrice della violazione dev’essere riconosciuta un’autonoma legittimazione ad

opponendum,

che le

consenta tanto di proporre separatamente opposizione quanto
di spiegare intervento adesivo autonomo nel giudizio di op-

3. Sempre in via preliminare deve essere esaminato il

posizione instaurato dalla società o dall’ente, configurandosi in quest’ultimo caso un litisconsorzio facoltativo, e
potendosi nel primo caso evitare un contrasto di giudicati
mediante l’applicazione delle ordinarie regole in tema di
connessione e riunione di procedimenti» (Cass., Sez. Un.,

Da tale principio, che il Collegio condivide, discende
la infondatezza del primo motivo del ricorso incidentale.
4. Con il primo motivo del proprio ricorso, i ricorrenti principali denunciano la violazione degli artt. 2, coma
2, 21-bis e

21-octies

della legge n. 241 del 1990,

dell’art. 6, primo comma, del d.m. 23 marzo 1992, n. 304 e
dei successivi decreti ministeriali 8 giugno 1993, n. 299 e
5 agosto 1997, n. 325, dolendosi della tardività della irrogazione delle sanzioni rispetto sia al momento in cui la
proposta sanzionatoria era stata formulata dalla CONSOB (10
marzo 2005), sia al momento in cui la detta proposta era
pervenuta al Ministero (29 marzo 2005). In proposito, i ricorrenti rilevano che il decreto irrogativo della sanzione
era stato notificato a partire dal 29 giugno 2005, e quindi
oltre il termine di novanta giorni prescritto dal citato
art. 6 del d.m. n. 304 del 1992, con formula che non avrebbe dovuto lasciare alcun dubbio in ordine al fatto che, per
i provvedimenti recettizi, si deve avere riguardo alla data
in cui il destinatario ne abbia ricevuto comunicazione.

30 settembre 2009, n. 20929).

A conclusione del motivo, i ricorrenti principali formulano il seguente quesito di diritto: «Dica l’Ecc.ma Corte
di Cassazione se l’articolo 6, primo comma, del Decreto Ministeriale 23 marzo 1992, n. 304 – nella parte in cui statuisce “i termini per la conclusione del procedimento si

nel caso di provvedimenti recettizi, alla data in cui il
destinatario ne riceve comunicazione” – debba essere interpretato nel senso che il procedimento che si svolge davanti
al Ministero si conclude nel momento in cui l’atto recettizio è consegnato all’ufficiale postale o all’ufficiale giudiziario per la comunicazione o la notificazione al destinatario».
4.1. Il quesito con il quale si conclude il motivo si
riferisce ad una soltanto delle argomentazioni svolte nella
illustrazione del motivo; il provvedimento impugnato, invece, afferma la inapplicabilità del termine nei sensi pretesi dai ricorrenti sulla base di una pluralità di argomentazioni, e segnatamente quella per cui il termine posto da
una norma regolamentare deve essere interpretato alla luce
del contesto della normativa primaria in cui esso si trova
ad operare – modificato, nella specie, dalla introduzione
dell’art.

21-bis della legge n. 241 del 1990 per effetto

della legge n. 15 del 2005 – nonché quella per cui,
quand’anche si volesse ritenere che il termine di novanta

riferiscono alla data di adozione del provvedimento ovvero,

giorni fosse stato superato, ciò non avrebbe automaticamente comportato la invalidità del decreto sanzionatorio, trovando anche applicazione al caso di specie l’art.

21-octies

della legge n. 241 del 1990.
Il quesito di diritto si rivela, dunque, inidoneo, at-

n. 304 del 1992 dovesse essere data l’interpretazione sostenuta dai ricorrenti, non per questo potrebbe pervenirsi
all’accoglimento del motivo e, conseguentemente, alla cassazione del decreto impugnato per tardività della comunicazione ai destinatari, atteso che il decreto stesso si fonda, quanto alla censura concernente la tardività della contestazione, almeno su un’altra ratio

decidendi,

idonea a

sorreggere la decisione sul punto della Corte d’appello, e
segnatamente su quella per cui trova applicazione nel caso
di specie l’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990, con
conseguente irrilevanza delle violazioni procedimentali occorse.
5. Con il secondo motivo i ricorrenti principali deducono violazione degli artt. 24, 97 e 111 Cost., degli artt.
8 e 10 della legge n. 241 del 1990 e dell’art. 4, comma
primo, del d.m. n. 304 del 1992, lamentando la mancata comunicazione dell’avvio di procedimento della fase svoltasi
dinnanzi al Ministero, con conseguente lesione del diritto
di difesa. A conclusione del motivo i ricorrenti chiedono a

teso che anche nella eventualità in cui all’art. 6 del d.m.

questa Corte di stabilire «se nell’ambito delle modalità
previste, per l’irrogazione delle sanzioni amministrative,
dall’art. 195 del Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n.
58 – prima delle modifiche apportate dalla Legge 18 aprile
2005, n. 62 – l’avvio del procedimento di competenza del

nicato – ai sensi dell’art. 4, primo comma, del Decreto Ministeriale 23 marzo 1992, n. 304 – ai “soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti”».
5.1. Il motivo è infondato, trovando applicazione i seguenti principi, che il Collegio condivide, per cui: «nei
procedimenti per l’irrogazione di sanzioni amministrative
non trovano applicazione le disposizioni sulla partecipazione degli interessati al procedimento amministrativo di
cui agli artt. 7 e 8 della legge n. 241 del 1990, le quali
configurano una normativa generale su cui prevale la legge
speciale, in quanto idonea ad assicurare garanzie di partecipazione non inferiori al

minimun

prescritto

dall’anzidetta normativa generale» (Cass., Sez. Il, 7 agosto 2012, n. 14210); «in tema di intermediazione finanziaria, il procedimento di irrogazione di sanzioni amministrative, previsto dall’art.

187-septies del d. lgs. 24 feb-

braio 1998, n. 58, postula solo che, prima dell’adozione
della sanzione, sia effettuata la contestazione dell’adde-

Ministero dell’Economia e delle Finanze doveva essere comu-

bito e siano valutate le eventuali controdeduzioni dell’interessato; pertanto, non violano il principio del contraddittorio l’omessa trasmissione all’interessato delle conclusioni dell’Ufficio sanzioni amministrative della Consob
e la sua mancata personale audizione innanzi alla Commis-

i principi del diritto di difesa e del giusto processo, riferibili solo di procedimento giurisdizionale» (Cass.,
S.U., n. 20935 del 2009).
In motivazione, quest’ultima decisione ha poi rilevato
che il contraddittorio – e il diritto di difesa – nella fase amministrativa prodromica all’emanazione dell’ordinanzaingiunzione restano incentrati sul fatto, individuato in
tutte le circostanze concrete che valgano a caratterizzarlo
e siano rilevanti ai fini della pronuncia del provvedimento
finale; e ha altresì ricordato che Cass. n. 6307 del 2003,
ha, sia pur con riferimento alla diversa fattispecie dell’irrogazione di sanzioni per infrazioni commesse dai consiglieri di amministrazione degli istituti di credito previsto dal d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 145 – affermato il principio di diritto, secondo cui al pari dell’analoga, previgente disposizione di cui all’art. 90 della
“legge” bancaria (r.d.l. 12 marzo 1936, n. 375), il procedimento de quo non prescrive altro, prima, dell’adesione con decreto motivato – del Ministro del Tesoro alla propo-

sione, non trovando d’altronde applicazione, in tale fase,

sta di applicazione della sanzione avanzata dalla Banca
d’Italia, che la contestazione, da parte della Banca, dell’addebito mosso e la valutazione delle eventuali controdeduzioni dell’interessato, senza alcuna altra interlocuzione
di quest’ultimo prima del provvedimento ministeriale; né il

sa, può essere colmata invocando una diretta applicazione
dei precetti costituzionali riguardanti il diritto di difesa (art. 24 Cost.) e il giusto processo (art. 111 Cost.),
atteso che tali norme riguardano espressamente e solo il
giudizio, ossia il procedimento giurisdizionale che si
svolge avanti al giudice e non il procedimento amministrativo, ancorché finalizzato all’emanazione di provvedimenti
incidenti su diritti soggettivi, sicché tale, mancata (completa) equiparazione del procedimento amministrativo a
quello giurisdizionale non viola in alcun modo la Costituzione.
Si deve solo aggiungere che le deduzioni svolte nella
memoria ex art. 378 cod. proc. civ. da parte dei ricorrenti
principali, anche con riferimento a pronunce della Corte
europea dei diritti dell’uomo, non valgono ad indurre a diverse conclusioni, soprattutto in considerazione della diversa natura dei procedimenti, previsti da ordinamenti nazionali diversi, posti in comparazione.

difetto di previsione d’una tale ulteriore forma, di dife-

6. Con il terzo motivo i ricorrenti principali denunciano violazione degli artt. 24, 97 e 111 Cost., dell’art.
10, comma 1, lettera a), della legge n. 241 del 1990 nonché
degli artt. 22 e seguenti della medesima legge e del d.P.R.
n. 352 del 1992, delle delibere CONSOB nn. 9641 e 9642 del

A conclusione del motivo i ricorrenti chiedono a questa
Corte di stabilire «se avverso la violazione di norme che
regolano l’accesso agli atti amministrativi – in particolare nel caso in cui sia occultata l’esistenza di parte di
essi – sia esperibile, nell’ambito delle modalità previste
per l’irrogazione delle sanzioni amministrative
dall’articolo 195 del Decreto Legislativo 24 febbraio 1998,
n. 58 (prima delle modifiche apportate dalla Legge 18 aprile 2005, n. 62), unicamente il rimedio previsto dal quinto
coma dell’articolo 25 della Legge 241/1990».
6.1. Il motivo è inammissibile, atteso che lo stesso si
conclude con un quesito di diritto che non tiene conto della ratio decidendi posta dalla Corte territoriale a fondamento della decisione sul corrispondente motivo di opposizione. Invero, la Corte d’appello ha ritenuto il motivo infondato per carenza di interesse effettivo dei deducenti. E
tale carenza di interesse la Corte ha desunto dalla circostanza che gli opponenti, nella fase amministrativa, avevano presentato deduzioni scritte e non avevano poi inte-

1995, e dell’art. 4, comma 10, del d.lgs. n. 58 del 1998.

grato le prime deduzioni con ulteriori deduzioni difensive
dopo l’avvenuto esercizio del diritto di accesso; con la
precisazione che il ritardo imputato alla CONSOB nel rispondere alla loro richiesta di proroga non aveva quindi
determinato la minima compressione dei loro diritti.

quesito formulato a conclusione del motivo, i ricorrenti
pongono una questione astratta, e segnatamente quella di
accertare se il rimedio proponibile nell’ambito del procedimento sanzionatorio di cui all’art. 195 del d.lgs. n. 58
del 1998, sia solo quello di cui all’art. 25 della legge n.
241 del 1990, ma nulla oppongono con riferimento alla affermata e motivata carenza di interesse alla proposta censura. Il che rende il motivo per ciò solo inammissibile.
Senza dire che la formulazione di censure solo in astratto
e su una questione di interpretazione normativa, senza alcuna indicazione in ordine alle circostanza di fatto emergenti dai documenti in ordine ai quali è stato tardato o
non consentito l’accesso, corrobora la statuizione di carenza di interesse affermata dal provvedimento impugnato,
con motivazione che, come detto, non ha formato oggetto di
contestazione.
7. Con il quarto motivo, i ricorrenti lamentano violazione dell’art. 14 della legge n. 689 del 1981, sostenendo
che la contestazione degli addebiti sarebbe stata tardiva

Orbene, come risulta evidente dalla trascrizione del

rispetto al momento dell’accertamento, da identificarsi in
quello di chiusura delle operazioni ispettive avvenuta il
18 dicembre 2003, mentre la contestazione è stata notificata il 23 agosto 2004, e quindi oltre il prescritto termine
di novanta giorni.

Corte di stabilire «se – in assenza di provate, ulteriori e
rilevanti attività di istruzione e valutazione delle acquisizioni svolte dalla Co.N.So.B. il termine stabilito
dall’art. 14, secondo comma, della Legge 689/1981 decorre
dal momento in cui è stata redatta, al termine degli accertamenti ispettivi, la prima relazione».
7. Il motivo è privo di fondamento.
Come hanno statuito le Sezioni Unite di questa Corte
con la sentenza 9 marzo 2007, n. 5395, il momento
dell’accertamento degli illeciti amministrativi in materia
di intermediazione finanziaria non deve essere fatto coincidere, necessariamente e automaticamente, né con il giorno
in cui l’attività ispettiva è terminata, né con quello in
cui è stata depositata la relazione dell’indagine (come
pretende il ricorrente), né con quello in cui la Commissione si è riunita per prenderla in esame: non con il primo,
perché la pura “constatazione” dei fatti non comporta di
per sé il loro “accertamento”, se occorre una successiva
attività istruttoria e valutativa; non con il secondo o con

A conclusione del motivo i ricorrenti chiedono a questa

il terzo, perché sia la redazione della relazione, sia il
suo esame da parte della Commissione, debbono essere compiuti nel tempo strettamente indispensabile, senza ingiustificati ritardi: anche per le violazioni delle norme in
materia di intermediazione finanziaria, come per quelle

do le particolarità dei singoli casi e indipendentemente
dalle date di deposito della relazione ispettiva e di riunione della Commissione, il momento in cui ragionevolmente
la constatazione avrebbe potuto essere tradotta in accertamento, momento dal quale deve farsi decorrere il termine
per la contestazione (in senso conforme, di recente, Cass.
n. 25836 del 2011).
La valutazione circa la tempestività della notifica degli estremi della violazione in relazione
all’uaccertamento” dell’organo addetto al controllo – è riservata al giudice di merito (vedi, per tutte, Cass. n.
7710 del 2004, cit.) e, come tale, può essere sindacata, in
sede di legittimità, soltanto per vizio di motivazione
(art. 360, n. 5, cod. proc. civ.).
Tanto premesso, la Corte d’appello ha nella specie compiuto un’indagine diretta a stabilire, tenuto conto della
complessità della materia e dell’accertamento e delle particolarità del caso concreto, il momento in cui ragionevol-

commesse in altri campi, occorre invece individuare, secon-

mente la constatazione si era tradotta, o si sarebbe potuta
tradurre, in accertamento.
Al riguardo – tenuto conto del parametro della ragionevolezza e della proporzionalità – la Corte d’appello ha rilevato che, dopo il termine dell’attività ispettiva (18 di-

con nota del 13 febbraio 2004, copie di atti rilevanti in
relazione all’operazione di collocamento delle obbligazioni
Giacomelli, cui Abaxbank aveva partecipato in qualità di
lead manager, la cui risposta era pervenuta a CONSOB il 10
marzo 2004, con allegato un prospetto di non semplice e immediata valutazione. La Corte d’appello ha altresì rilevato
che le valutazioni finali erano state portate a compimento
solo in data 5 luglio 2004, allorquando cioè era stata fornita agli uffici una nota tecnica integrativa delle indagini ispettive. L’originario rapporto ispettivo era quindi
stato rielaborato con la relazione per la Commissione datata 9 agosto 2004, contenente la proposta di avvio del procedimento sanzionatorio sfociata nella contestazione in data 19 agosto 2004. Quindi la Corte d’appello, con motivazione ampia e coerente (ff. 42-43) ha ritenuto che la durata dell’accertamento non fosse abusiva e pregiudizievole,
essendo anzi congrua in relazione alla complessità dei fenomeni e dei comportamenti illeciti accertati.

cembre 2003), la CONSOB aveva richiesto alla stessa Banca,

Su questa base la Corte di merito – con ponderazione
congrua ed esente da vizi logici e giuridici – ha ritenuto
la legittimità del comportamento della CONSOB sotto il profilo della necessaria ragionevolezza del tempo impiegato
per la valutazione degli elementi acquisiti, avendo

zioni nella seduta del 11 agosto 2004 e a notificare le
stesse il successivo 23 agosto.
8. Con il quinto motivo i ricorrenti deducono violazione degli artt. 1 e 3 della legge n. 689 del 1981, falsa applicazione degli artt. 21, domma 1, lett. d), del d.lgs. n.
58 del 1998 e dell’art. 56 del regolamento CONSOB n. 11522
del 1998, falsa applicazione dell’art. 1, commi quinto e
sesto, del d.lgs. n. 58 del 1998.
A conclusione del motivo i ricorrenti chiedono a questa
Corte di stabilire «se l’articolo 21, comma primo, lett. d)
del D.Lgs. n. 58/1998 e l’art. 56 del Regolamento Consob n.
11522/1998 (adottato ai sensi dell’art. 6, comma secondo,
del D.Lgs. n. 58/1998) impongono la formalizzazione di un
manuale delle procedure e – qualora l’elaborazione di
“credit opinion” venga ritenuta riconducibile nell’ambito
dei servizi di investimento ed accessori di cui
all’articolo 1 del D.Lgs. n. 58/1998 – consentono, in assenza di previa indicazione da parte della Co.N.So.B di
criteri di “sufficiente idoneità” delle procedure per la

l’Autorità di vigilanza provveduto a formulare le contesta-

prestazione dei servizi di investimento e accessori,
l’irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie per la
mera “carenza nelle procedure per l’elaborazione di credit
opinion e per la formulazione di rating».
8.1. – Il motivo risulta la ripetizione di doglianze

disattese (ff. 44 e ss. del decreto impugnato) con motivazione puntuale, esauriente, del tutto immune da vizi logico-giuridici, che questa Corte interamente condivide e intende far propria, con peculiare riferimento alla parte in
cui viene correttamente sottolineato che l’invocato principio di tassatività, non riconducibile all’art. 25 Cost.,
non è destinato ad operare con la medesima intensità nella
sfera dell’illecito amministrativo e in quella
dell’illecito penale, specie in una materia contraddistinta
da specifiche e per certi versi uniche peculiarità, quale
l’intermediazione finanziaria, ove si configurano condotte
e comportamenti in ipotesi contrari all’interesse dei risparmiatori e del mercato, di talché in alcun modo e sotto
alcun profilo è lecito discorrere di norme sanzionatorie in
bianco, essendo i poteri regolamentari della CONSOB rigorosamente individuati

ex ante

secondo principi e direttive

contenuti in fonti primarie, onde la relativa portata precettiva si sostanzia in una analitica specificazione di
contenuti già sufficientemente delineati dalla legge.

già svolte dinanzi al giudice dell’opposizione e da questo

Correttamente la Corte d’appello ha ritenuto, in particolare, che l’art. 21 TUIF

(il quale stabilisce che nella

prestazione dei servizi d’investimento e accessori i soggetti abilitati devono disporre di risorse e procedure, anche di controllo interno, idonee ad assicurare l’efficiente

n. 11522 del 1998 (il quale prevede che dette procedure
debbono essere idonee a ricostruire le modalità, i tempi e
le caratteristiche dei comportamenti posti in essere nella
prestazione dei servizi nonché ad assicurare una adeguata
vigilanza interna sulle attività svolte dal personale addetto e dai promotori finanziari) contengono precetti sufficientemente determinati, nel rispetto dei principi di legalità e tassatività dell’illecito, da tali prescrizioni
risultando chiaro che le procedure interne, di cui
l’intermediario è tenuto a dotarsi, devono essere tali, e
sotto tale profilo ne va apprezzata l’idoneità, da garantire, nell’ambito di operatività prescelto dall’intermediario
stesso, il rispetto degli obblighi comportamentali imposti
dalle norme di legge e di regolamento a carico dei soggetti
che prestano quei servizi.
Ancora del tutto correttamente la Corte d’appello ha
escluso l’indeterminatezza delle contestazioni, rilevando
che per ogni infrazione sono state richiamate le norme primarie e secondarie violate, accompagnate dalla dettagliata

svolgimento dei servizi) e l’art. 56 del regolamento CONSOB

descrizione dei comportamenti illeciti alla base delle
stesse, corredata da precisi riferimenti temporali; e con
una motivazione ampia ed al tempo stesso stringente ha ritenuto accertato (ff. 61-71) un comportamento di Axabank
gravemente lesivo non solo dei doveri imposti

anche dei doveri di diligenza desumibili dal diritto comune.
9. – Con la memoria ex art. 378 cod. proc. civ., depositata in prossimità dell’udienza pubblica, il ricorrente
ha prodotto documentazione degli uffici di stato civile, da
cui risulta che una delle persone fisiche destinatarie delle sanzioni – Giorgio Tagliavini – è deceduto successivamente alla proposizione del ricorso per cassazione.
Va fatta applicazione del principio secondo cui: (a) la
morte di colui che nel provvedimento sanzionatorio adottato
dall’Amministrazione è individuato come autore della violazione comporta l’estinzione dell’obbligazione di pagare la
relativa sanzione pecuniaria – giacché essa, ai sensi
dell’art. 7 della legge n. 689 del 1981, non si trasmette
agli eredi – nonché, in ipotesi di pendenza del giudizio di
opposizione all’ordinanza-ingiunzione di pagamento della
sanzione, la cessazione della materia del contendere sia in
ordine alla sussistenza della responsabilità, che
all’entità della sanzione applicata; (b) la dichiarazione

all’intermediario dalla specifica normativa in materia ma

di tale cessazione – che fa venir meno la pronuncia
sull’opposizione che sia stata impugnata e che determina
l’inefficacia sopravvenuta dell’ordinanza ingiunzione – può
essere effettuata anche dalla Corte di cassazione, dinanzi
alla quale la documentazione dell’avvenuto decesso può es-

bre 2010, n. 22199).
E il deposito di detta documentazione con la memoria

ex

art. 378 cod. proc. civ. è già stato ritenuto idoneo da
questa Corte (Sez. Il, 29 ottobre 2010, n. 22199, cit.),
trattandosi di modalità di produzione suscettibile di assicurare la garanzia del contraddittorio.
Di conseguenza, va dichiarata l’estinzione dell’obbligo

di Abaxbank s.p.a. di pagare la sanzione irrogata al deceduto Giorgio Tagliavini, pari ad euro 8.600,00.
9. – In conclusione, sia il ricorso principale che
quello incidentale devono essere rigettati.
In considerazione della prevalente soccombenza dei ricorrenti principali, il Collegio ritiene che le spese del
giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo,
debbano essere poste a loro carico, in solido, nella misura
di due terzi, sussistendo giusti motivi per compensare il
restante terzo.
PER QUESTI MOTIVI

sere depositata nei modi di rito (Cass., Sez. II, 29 otto-

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta; dichiara
l’estinzione dell’obbligo della s.p.a. Abaxbank di pagare
le sanzioni irrogate al deceduto Giorgio Tagliavini, pari a
euro 8.600,00; condanna i ricorrenti, in solido tra loro,
al pagamento di due terzi delle spese del giudizio di le-

12.350,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge, dichiarando compensato il restante terzo.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II
Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 14
gennaio 2013

gittimità, che liquida, per l’intero in complessivi euro

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