Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19510 del 23/07/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 19510 Anno 2018
Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: AMENDOLA FABRIZIO

SENTENZA
sul ricorso 18785-2013 proposto da:
SILVESTRI CLAUDIO SLVOLD55B04H501L,

elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZA COLA DI RIENZO 69, presso
lo studio dell’avvocato ALBERTO BOER, che lo
rappresenta e difende, giusta procura in atti;
– ricorrente contro

2018
663

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.p.A., in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA AVENTINA 3/A, presso lo
studio

dell’avvocato

SAVERIO

CASULLI,

che

la

Data pubblicazione: 23/07/2018

rappresenta e difende, giusta procura speciale per
Notaio Riccardo Coppini di Siena, rep. 61769 del 9
agosto 2013;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3714/2012 della CORTE

5295/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/02/2018 dal Consigliere Dott. FABRIZIO
AMEN GOLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA, che ha concluso per
l’inammissibilità ed in subordine rigetto del
ricorso;
uditi gli Avvocati ALBERTO BOER e SAVERIO CASULLI.

D’APPELLO di ROMA, depositata il 27/08/2012 r.g.l. n.

R.G. n. 18785/2013
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Fatti di causa

1.

La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 27 agosto 2012, ha

confermato la pronuncia di primo grado che aveva respinto la domanda di
Claudio Silvestri volta al risarcimento di tutti i danni subiti per l’omesso invio

pensionamento, con esclusione dai benefici del trattamento di quiescenza
anticipato ex I. n. 234 del 2004.
La Corte territoriale, premesso che “la circolare del MPS Spa n. C/016003
posticipava la data di accesso al fondo di solidarietà all’1.9.2006 e la scadenza
delle domande al 11.8.2006”, ha ritenuto che l’istante non avesse provato di aver
tempestivamente inoltrato le domande, in quanto della prima, che sarebbe stata
presentata il 28 luglio 2006, “non vi è assoluto prova della sua esistenza né
tampoco della effettiva presentazione”, mentre la seconda del 16 agosto 2006
era stata inoltrata, per stessa ammissione del Silvestri, dopo il termine di
scadenza fissato dal citato accordo.
2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso Claudio Silvestri con
due motivi. Ha resistito Banca Monte dei Paschi di Siena Spa con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., nonché
violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c., per avere la
Corte di Appello ritenuto inesistente e comunque non provata la presentazione
della domanda in data 28 luglio 2006, nonostante agli atti la stessa fosse
presente con l’allegato estratto contributivo dell’Inps recante in calce detta data
con il “Timbro del Settore Risorse Umane a firma della Banca MPS”; lamenta che
la Corte non avrebbe neanche giustificato la mancata ammissione sul punto delle
prove testimoniali.

1

all’INPS da parte della datrice di lavoro Monte dei Paschi Spa delle domande di

R.G. n. 18785/2013
J

Con il secondo motivo si denuncia ancora insufficiente ed omessa motivazione
nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 2724 e 2697 c.c. e degli artt.
421, 437, 210, 213 e 134 c.p.c., sempre con riferimento alla presentazione della
domanda del 28 luglio 2006, dolendosi che la Corte non avrebbe motivato “in
ordine alla portata probatoria della documentazione presente in atti” né avrebbe

secondo grado, neppure attivando i poteri istruttori d’ufficio.
I due motivi, da valutarsi congiuntamente per connessione in quanto investono
la medesima questione, non possono trovare accoglimento.
Oltre i profili di inammissibilità legati alla mancata specificazione nel ricorso per
cassazione dei contenuti testuali dei documenti richiamati (in particolare
dell’istanza del 28 luglio 2006 di cui si controverte e su cui si fondano entrambe
le doglianze) e delle istanze istruttorie formulate (al fine di apprezzarne la
decisività), i motivi tendono ad un riesame del fatto storico quale indubbiamente
è l’avvenuta presentazione o meno di una certa domanda nel termine previsto.
Orbene, anche laddove non si trasmodi nel vizio revocatorio pure adombrato
dal Silvestri che lamenta un “vizio di percezione del giudice del gravame che
omettendo di analizzare un documento riferisce che il medesimo sia inesistente”,
evidentemente inammissibile in questa sede (cfr. per tutte Cass. n. 10066 del
2010), si tratta comunque di accertamento di fatto che non compete a questa
Corte.
Pur nel vigore della formulazione dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., antecedente
alla novella del 2012, per consolidato orientamento di questa Corte la
motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal
ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata,
emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una
diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso
della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base
degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia
difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e
sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il
motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del

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dato corso alle istanze istruttorie ex artt. 210 e 213 c.p.c. avanzate in primo e

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convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul
fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (in
termini, tra le tante, Cass. SS.UU. n. 24148 del 2013).
Invero il motivo di ricorso ex art. 360, co. 1, n. 5, c. p. c., non conferisce alla
Corte di cassazione il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda

coerenza logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione
fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del
proprio convincimento, controllarne l’attendibilità e la concludenza nonchè
scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute maggiormente idonee a
dimostrare la veridicità dei fatti in discussione, dando così liberamente
prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi
tassativamente previsti dalla legge (tra numerose altre: Cass. SS.UU. n. 5802
del 1998 nonché Cass. n. 1892 del 2002, n. 15355 del 2004, n. 1014 del 2006,
n. 18119 del 2008).
La stessa omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può
essere denunciato( per cassazione solo nel caso in cui la prova non ammessa
ovvero non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da
invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle
altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di
merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento
(Cass. n. 11457 del 2007; conformi: Cass. n. 4369 del 2009; Cass. n. 5377 del
2011).
Nella specie il giudice del merito ha evidentemente e plausibilmente ritenuto
che il timbro di ricezione apposto solo sull’estratto contributivo non comprovasse
necessariamente la ricezione anche della domanda, ricezione negata dalla
controparte e tale convincimento non può essere sovvertito dal diverso avviso del
ricorrente né tanto meno di questa Corte di legittimità.
Invero, ove il ricorrente denunci per cassazione l’insufficiente giustificazione
logica dell’apprezzamento dei fatti della controversia o delle prove, non può
limitarsi a prospettare una spiegazione di tali fatti e delle risultanze istruttorie
con una logica alternativa, pur in possibile o probabile corrispondenza alla realtà

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processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo quello di controllare, sul piano della

R.G. n. 18785/2013

fattuale, poiché è necessario che tale spiegazione logica alternativa appaia come
l’unica possibile (da ultimo: Cass. n. 25927 del 2015).
4. Conclusivamente il ricorso va respinto e le spese seguono la soccombenza
liquidate come da dispositivo.
Occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, co.

1, co. 17, I. n. 228 del

2012.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00, oltre alle spese forfettarie
nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di
legge.
Ai sensi dell’art. 13, co.

1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della

sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il
ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 14 febbraio 2018

quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art.

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