Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19510 del 19/07/2019

Cassazione civile sez. III, 19/07/2019, (ud. 14/03/2019, dep. 19/07/2019), n.19510

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29718/2017 proposto da:

S.A., F.G.R., F.G.,

F.A., tutti in proprio e quali eredi di F.L., domiciliati ex

lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dagli avvocati ERASMO AUGERI, MAURIZIO

MESSURI;

– ricorrenti –

contro

SARA ASSICURAZIONI SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE

ZEBIO 28 presso lo studio dell’avvocato GAETANO ALESSI che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROSARIO LIVIO ALESSI;

– controricorrente –

e contro

SI.NU., SI.PA.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4203/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 18/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/03/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA.

Fatto

RILEVATO

che:

Nel 2004, F.G., S.A., F.G.R. e F.A., in proprio e quali eredi di F.L., convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Napoli, Si.Nu., Si.Pa. e la società Sara Assicurazioni S.p.a. al fine di sentirli condannare al risarcimento dei danni sofferti per la morte del congiunto, investito mentre guidava una bicicletta dall’auto di proprietà di Si.Pa., guidata da Si.Nu. ed assicurata con la compagnia convenuta.

Dedussero gli attori che l’incidente era addebitabile al conducente dell’auto per l’elevata velocità alla quale marciava, come rilevato dai vigili della Polizia Municipale.

Si costituirono in giudizio i convenuti, contestando la pretesa attrice ed addebitando la colpa dell’incidente alla stessa vittima che, alla guida della bicicletta, aveva eseguito una improvvisa deviazione a sinistra come per invertire la sua direttrice di marcia, tagliando la strada all’auto che sopraggiungeva da dietro, il cui conducente non aveva potuto fare nulla per evitare la collusione.

Il Tribunale di Napoli, con la sentenza n. 1102/2012, respinse la domanda, ritenendo che la causa dell’accaduto fosse da ricondurre in via esclusiva alla condotta di guida del ciclista, che aveva compiuto un imprudente ed improvviso f non segnalato cambio di corsia da destra a sinistra, così impattando contro l’autovettura che sopraggiungeva in fase di sorpasso.

2. La pronuncia è stata confermata dalla Corte d’appello di Napoli con la sentenza n. 4203/2017 del 18 ottobre 2017.

La Corte territoriale ha ritenuto condivisibile la ricostruzione della dinamica del sinistro effettuata dal primo giudice, in quanto congruente sia con le dichiarazioni spontanee rese da un testimone dell’evento agli agenti di Polizia Municipale intervenuti sul luogo del sinistro, liberamente valutabili dal giudice ex art. 116 c.p.c., sia con le tracce di frenata riscontrate dalla Polizia Municipale, sia con i danni riportati dall’autovettura (che presentava un primo punto di impatto sulla parte anteriore destra, all’altezza della targa).

Di conseguenza, la Corte d’appello ha ritenuto condivisibile la sentenza del giudice di primo grado nella parte in cui ha valutato come colposa la condotta del ciclista per aver cambiato corsia senza segnalarlo e senza accertarsi del sopraggiungere di altri veicoli.

D’altra parte, il giudice di secondo grado ha osservato che gli eredi del F. non avevano provato, al fine di superare la presunzione di cui all’art. 2054 c.c., che il loro dante causa avesse correttamente segnalato la propria intenzione di spostarsi a sinistra e che si fosse accertato della possibilità di eseguire detta manovra. Al contrario, dal racconto del testimone emergeva che l’improvviso mutamento di corsia da parte del ciclista, la frenata da parte dell’autovettura e l’impatto tra i due veicoli avvennero in rapidissima successione temporale quasi contestualmente. Tale circostanza, secondo i giudici del merito, trovava conforto nel rilievo planimetrico eseguito dalla polizia municipale, dal quale risultava che le tracce di frenata avevano origine nel punto in cui tra le due carreggiate si apriva un varco per poter effettuare un’inversione di marcia. Infatti, poichè doveva ritenersi che il F. stesse tentando di effettuare un’inversione di marcia (non vedendosi per quale altra ragione egli avrebbe dovuto invadere la corsia di marcia dell’auto proprio in quel punto) tali tracce erano segno evidente che l’impatto avvenne quasi immediatamente rispetto al cambio di direzione da parte del ciclista.

La repentinità della manovra portava a ritenere che l’impatto si sarebbe ugualmente verificato anche se la Fiesta non avesse marciato alla velocità di 65 km/h stimata dal cm. Infatti, premesso che il limite di velocità nel punto in cui si era verificato il sinistro era di 50 km/h e non 40 km/h, la Corte ha ritenuto che lo stato della strada, l’ora di percorrenza, le condizioni meteo del tempo non fossero tali da imporre di viaggiare ad una velocità inferiore di quella massima consentita e che, d’altra parte, la condotta di guida del F. non poteva essere considerata prevedibile così da consigliare al Si. di ridurre per tempo la velocità di guida, essendo avvenuta repentinamente e senza essere preceduta da altre scorrettezze di guida.

I,a relazione medico-legale elaborata in sede penale, richiamata senza contestazioni dai congiunti del F., aveva precisato che il decesso sarebbe avvenuto a causa della grave frattura cranica sull’emilato sinistro, prodottasi verosimilmente a seguito dell’impatto del capo contro il manto stradale. Di conseguenza, la Corte ha reputato condivisibile la sentenza appellata anche nella parte in cui ha ritenuto che la velocità di 65 km/h, per quanto eccedente il limite massimo consentito, non avesse inciso sulle conseguenze dannose dell’incidente, che si sarebbe comunque verificato con identico esito mortale anche se il Si. avesse viaggiato a 50 km/h. Infatti, la posizione di quiete dell’auto e del corpo della vittima consentirebbe di affermare che il F. cadde sul manto stradale quando l’autovettura aveva esaurito già tutta la sua forza cinetica e quindi che la quantità di moto del veicolo non aveva avuto alcuna influenza nè sullo scaricamento del corpo nè sulla violenza dell’impatto sul manto stradale, dipeso unicamente dall’accelerazione impressa al corpo dalla forza di gravità. Quindi, la condotta colposa del conducente dell’auto non aveva avuto alcuna rilevanza causale nel sinistro, che si era verificato unicamente a causa della manovra gravemente imprudente posta in essere dalla vittima, la cui colpa risultava assorbente.

3. Avverso tale sentenza propongono ricorso in Cassazione, illustrato da memoria, sulla base di un unico motivo, i signori F.A., F.G., F.G.R., S.A..

3.1. Resiste con controricorso la Sara Assicurazioni S.p.a.. Gli intimati Si.Nu. e Si.Pa. non hanno svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

4. Con l’unico motivo, i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, la “violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115,116,191 e 195 c.p.c., nonchè degli artt. 2054,2967 e 2700 c.c. e degli artt. 141 e 142C.d.S.”.

La Corte d’appello non avrebbe considerato unitariamente e globalmente tutti gli elementi emersi nel procedimento penale, nonchè nelle risultanze peritati raccolte in sede civile.

In particolare, la Corte d’appello avrebbe dovuto esaminare: le motivazioni della richiesta di rinvio a giudizio del conducente del veicolo da parte del giudice penale, dove si evidenziava che il Si. teneva una velocità di circa 60/70 km/h, superiore al limite consentito e, comunque, non convenientemente moderata in relazione alle circostanze del luogo; il rapporto dei Vigili Urbani intervenuti sul posto, dal quale emergeva che l’auto aveva impattato la bicicletta con la parte anteriore nella ruota posteriore.

Pertanto, il giudice di secondo grado avrebbe errato nell’attribuire rilievo solo alle dichiarazioni del testimone, peraltro non confermate nel presente giudizio, in quanto isolate e generiche in parte smentite da altri elementi non coincidenti con le stesse.

Il Si. non avrebbe fornito la prova posta a suo carico idonea a superare la corresponsabilità dei conducenti presunta per legge. Dall’esame complessivo degli elementi di causa, risulterebbero anzi elementi di colpa del conducente dell’autoveicolo, in particolare la velocità eccessiva alla quale marciava.

Anche se l’esito mortale fosse dipeso dal colpo al capo ricevuto battendo la testa a terra, causa dello stesso esito sarebbe stato comunque il tamponamento arrecato dall’auto alla bicicletta, come rilevato dal ctu medico-legale.

I giudici del merito avrebbero poi omesso di tener conto del fatto, rilevato dai vigili, che al momento dell’impatto la bicicletta aveva esaurito la manovra di deviazione a sinistra ed aveva assunto una linea retta, tanto che l’urto era avvenuto sulla ruota posteriore e non sul lato sinistro, con la conseguenza che, essendo avvenuto un tamponamento, la presunzione di pari colpa di cui all’art. 2054 c.c., comma 2, avrebbe dovuto essere ritenuta superata dalla presunzione d’inosservanza della distanza di sicurezza da parte del tamponante.

Tali modalità dell’incidente, contrastanti con quelle descritte nella decisione impugnata, avrebbero trovato conferma nelle risultanze della perizia sulla dinamica dell’incidente espletata in primo grado, nonchè nei danni riportati dall’auto e dalla bicicletta (il cui cerchione posteriore risultava piegato con andamento d’urto postero-antero). La corte d’appello, quindi, avrebbe del tutto omesso di motivare l’implicito dissenso sia dalle risultanze peritali, che da quelle emerse dal rapporto dei vigili e dal procedimento penale.

Non troverebbe invece riscontro negli atti di causa la circostanza, affermata dei giudici del merito, che lo spostamento della bicicletta a destra e sinistra sarebbe stata eseguita senza alcuna segnalazione. In ogni caso, anche in mancanza di prova circa tale segnalazione, rimarrebbe ferma la presunzione di corresponsabilità del conducente del veicolo. Sarebbe poi del tutto priva di riscontro, immotivata e comunque in violazione della normativa di cui agli artt. 141 e 142 C.d.S., la valutazione della Corte d’appello secondo cui l’impatto si sarebbe ugualmente verificato anche se l’auto avesse marciato ad una velocità contenuta nei limiti vigenti sulla strada percorso.

L’eccessiva velocità del Si., dimostrata dalla lunga frenata misurata dai vigili, costituirebbe illegittima condotta di guida e quindi la causa scatenante, o comunque un’evidente e concreta concausa dell’incidente.

La sentenza sarebbe poi abnorme laddove ritiene che, nel caso di specie, non vi fossero condizioni tali da imporre di viaggiare ad una velocità più moderata. La Corte d’appello avrebbe così implicitamente affermato che i conducenti dei veicoli possono, secondo il loro esclusivo giudizio, violare i limiti di velocità.

Nel caso di specie, una più ridotta velocità avrebbe reso più efficace la frenata dell’auto, tanto da poter evitare la collisione o comunque da poter rendere meno violento l’investimento, con conseguenze certamente meno traumatiche.

La sentenza non sarebbe motivata nella parte in cui esclude che la velocità tenuta dal conducente dell’auto possa aver inciso sulle conseguenze dannose dell’incidente.

5. Il ricorso è inammissibile.

Lo è perchè l’esposizione cumulativa delle questioni non è consentita in quanto mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. civ. Sez. II, 23-10-2018, n. 26790; Cass. n. 19443 del 23/09/2011 e sez. Un.: 9100 del 06/05/2015).

In ogni caso lo è anche perchè con le doglianze in esso articolate, la parte ricorrente, in sostanza, sottopone alla Corte di legittimità inammissibili istanze di revisione di valutazioni di fatto, prevalentamente probatorie, rientranti nel sovrano apprezzamento del giudice del merito e non sindacabili in sede di legittimità e comunque il ricorso sarebbe anche infondato.

Contrariamente a quanto affermano i ricorrenti, infatti, la Corte d’appello ha effettuato una valutazione globale di tutti gli elementi istruttori raccolti, tenendo conto sia dei danni riportati dall’autoveicolo e dalla bicicletta, sia dei rilievi effettuati dalla Polizia Municipale intervenuta sul luogo del sinistro.

Quanto alla perizia svolta in primo grado, i ricorrenti, in violazione del principio di autosufficienza, non riportano che un brano della stessa, relativa alla dinamica dell’impatto (il fatto che la bicicletta sia stata attinta nella ruota posteriore), non contrastante con la ricostruzione fornita dalla Corte d’appello.

La motivazione della sentenza appare priva di vizi logico-giuridici ed è conforme al principio affermato da questa Corte secondo cui la prova liberatoria di cui all’art. 2054 c.c., nel caso di danni prodotti a persone o cose dalla circolazione di un veicolo, non deve essere necessariamente data in modo diretto, cioè dimostrando di avere tenuto un comportamento esente da colpa e perfettamente conforme alle regole del codice della strada, ma può risultare anche dall’accertamento che il comportamento della vittima sia stato il fattore causale esclusivo dell’evento dannoso, comunque non evitabile da parte del conducente, attese le concrete circostanze della circolazione e la conseguente impossibilità di attuare una qualche idonea manovra di emergenza (Cass. civ. Sez. III Sent., 11/06/2010, n. 14064).

6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2019

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