Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19510 del 14/09/2010

Cassazione civile sez. un., 14/09/2010, (ud. 12/05/2009, dep. 14/09/2010), n.19510

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARBONE Vincenzo – Primo Presidente –

Dott. PREDEN Roberto – Presidente di Sezione –

Dott. VELLA Antonio – Presidente di Sezione –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. SALME’ Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VIDIRI Guido – Consigliere –

Dott. ODDO Massimo – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21565-2006 proposto da:

A.D.N.G., A.D.N.A.,

A.D.N.O., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA RONCIGLIONE 3, presso lo studio degli avvocati GULLOTTA FABIO,

SCIUTO FILIPPO, che li rappresentano e difendono per delega in calce

al ricorso;

– ricorrenti –

contro

AMMINISTRAZIONE DEI LAVORI PUBBLICI, UFFICIO DEL GENIO CIVILE –

UFFICIO REGIONE PUGLIA, COMUNE DI BARI;

– intimati –

sul ricorso 27828-2006 proposto da:

REGIONE PUGLIA e nell’interesse dell’UFFICIO DEL GENIO CIVILE-REGIONE

PUGLIA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OTTAVIANO 43, presso

lo studio dell’avvocato SPORTELLI MARTINO, che la rappresenta e

difende, per delega a margine del controricorso e ricorso

incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

COMUNE DI BARI, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA PANAMA 74, presso lo studio dell’avvocato

COLAPINTO CARLO, rappresentato e difeso dall’avvocato D’INNELLA

RAFFAELE, per delega in atti;

– controricorrente al ricorrente incidentale –

e contro

A.D.N.G., A.D.N.A.,

A.D.N.O., AMMINISTRAZIONE DEL LAVORI PUBBLICI;

– intimati –

sul ricorso 30313-2006 proposto da:

COMUNE DI BARI, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA PANAMA 74, presso lo studio dell’avvocato

COLAPINTO CARLO, rappresentato e difeso dall’avvocato D’INNELLA

RAFFAELE, per delega a margine del controricorso e ricorso

incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

A.D.N.O., A.D.N.G.,

A.D.N.A., REGIONE PUGLIA E L’UFFICIO DEL GENIO

CIVILE DI BARI – REGIONE PUGLIA, MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI;

– intimati –

avverso la sentenza definitiva n. 127/2004 depositata il 26/02/2004 e

la definitiva n. 331/2006 depositata il 05/04/2006, entrambe della

Corte d’Appello di Bari;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/05/09 dal Cons. Dott. GIUSEPPE SALME’;

udito l’Avvocato Fabio GULLOTTA;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. IANNELLI

Domenico, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo del

ricorso principale, rinvio per il resto ad una sezione semplice.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il 30 gennaio 1971 il provveditorato regionale delle opere pubbliche della Puglia, nell’ambito di un più vasto programma di edilizia scolastica previsto dalla L. n. 641 del 1967, ha approvato la realizzazione di un edificio da destinare a scuola media in contrada (OMISSIS), affidando la progettazione ed esecuzione delle opere in concessione al comune di Bari, con onere finanziario prevalentemente a carico dello Stato e nella misura di circa il 20% a carico del comune, che ha delegato all’espropriazione dei suoli l’ufficio del Genio civile di Bari, ai sensi della L. n. 641, art. 13.

Con decreto del 19 giugno 1973 il presidente della giunta regionale ha disposto l’occupazione provvisoria d’urgenza delle aree interessate che è stata effettivamente eseguita il (OMISSIS).

Poichè nei cinque anni successivi non è stato adottato il decreto di esproprio, con atto di citazione notificato il 13 novembre 1978 D.N.F., M. e An. nonchè A.D. N.O., G. e A., proprietari del suolo oggetto di occupazione, hanno convenuto in giudizio il comune di Bari chiedendone la condanna alla restituzione ovvero al risarcimento del danno per essere stato irreversibilmente trasformato a seguito del completamento della costruzione dell’opera pubblica.

Eccepito dal convenuto il difetto di legittimazione passiva, il contraddittorio è stato integrato nei confronti del Ministero dei lavori pubblici, della regione Puglia e del Genio civile di Bari.

Nel corso del giudizio il provveditorato alle opere pubbliche, in data 27 dicembre 1978, ha riapprovato il progetto dell’opera pubblica, facendo ripartire la procedura espropriativa, che è stata completata con l’emissione di decreto di esproprio da parte del prefetto di Bari in data 12 settembre 1980. Gli atti della nuova procedura sono stati impugnati davanti al t.a.r. Puglia e pertanto il giudizio davanti al tribunale di Bari è stato sospeso con ordinanza del 25 ottobre 1982. Con sentenza del 19 dicembre 1986, passata in giudicato, il t.a.r. ha annullato il decreto prefettizio per incompetenza, ma, essendo stato il giudizio civile riassunto tardivamente, il tribunale adito ne ha dichiarato l’estinzione.

I privati, con atto di citazione notificato il 25 gennaio 1990, hanno riproposto le domande in precedenza formulate nei confronti di tutte le controparti del giudizio estinto, le quali hanno eccepito la prescrizione del diritto al risarcimento del danno, hanno contestato, con differenti argomentazioni, la propria legittimazione passiva e, nel merito, ne hanno eccepito l’infondatezza. Il comune ha anche proposto in via subordinata azione di garanzia nei confronti del ministero.

2. Il tribunale di Bari, con sentenza del 14 settembre 1999, ha rigettato l’eccezione di prescrizione, ha affermato la legittimazione del comune di Bari e della regione Puglia e li ha condannati in solido al pagamento di L. 23 7.600.000 a titolo di risarcimento dei danni, oltre a L. 59.000.000 a titolo di indennità di occupazione legittima.

La corte d’appello di Bari, con sentenza non definitiva del 26 febbraio 2004, ha confermato il rigetto dell’eccezione di prescrizione e di difetto di legittimazione passiva, ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello incidentale dei privati diretto a ottenere una liquidazione dei danni in misura maggiore e ha disposto la prosecuzione del giudizio per la liquidazione del risarcimento dei danni e dell’indennità di occupazione legittima, previo espletamento di un supplemento di consulenza tecnica.

In particolare, quanto alla prescrizione, la corte ha osservato che il principio di cui all’art. 2945 c.c., comma 3 deve essere coordinato con quello affermato dall’art. 2935 c.c. secondo il quale la prescrizione decorre solo dal momento in cui il diritto può essere fatto valere. Pertanto, se è vero che a seguito dell’estinzione del primo giudizio l’atto di citazione non poteva più avere effetti interruttivi-sospensivi del termine di prescrizione ma solo efficacia interruttiva, il nuovo termine non avrebbe potuto decorrere se non dopo il venir meno del periodo di sospensione del processo, disposta senza che alcuna delle parti se ne fosse doluta e costituente ostacolo giuridico all’esercizio del diritto. Il nuovo termine di prescrizione ha iniziato quindi a decorre dal 20 febbraio 1987, data del passaggio in giudicato della sentenza del t.a.r., e rispetto a tale momento l’atto di citazione del secondo giudizio (25 gennaio 1990) era tempestivo.

Quanto alla legittimazione passiva, la corte barese ha confermato l’esclusione della responsabilità del Ministero dei lavori pubblici, essendo irrilevante il mero finanziamento e la messa a disposizione della propria struttura operativa (uffici del Genio civile, peraltro poco dopo passati alle regioni) e ha affermato la responsabilità concorrente del comune e della regione, il primo quale espropriante e destinatario dell’affidamento della realizzazione dell’opera pubblica in concessione, la seconda quale soggetto che, dopo avere disposto l’occupazione d’urgenza, era tenuto ad emettere il decreto di esproprio.

La corte territoriale ha inoltre ritenuto inammissibile l’appello incidentale dei privati perchè la procura rilasciata in calce alla copia notificata dell’atto di appello non avrebbe abilitato il difensore alla proposizione dell’impugnazione incidentale e, comunque, perchè le ultime difese spiegate integravano una domanda nuova, avendo essi solo con le ultime repliche invocato il risarcimento integrale del danno ai sensi dell’art. 1 del protocollo addizionale della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

3. Con sentenza definitiva del 5 aprile 2006, la corte territoriale, ha liquidato il danno, sulla base del D.L. n. 333 del 1992, art. 5 “bis”, comma 7 “bis” in Euro 39.243,00 e l’indennità di occupazione legittima in Euro 8.918,86, disattendendo le conclusioni della c.t.u.

che, al fine di determinare un valore il più possibile in linea con quello di mercato, aveva incrementato i dati emergenti dagli atti di compravendita di terreni simili in epoca vicina a quella dell’irreversibile trasformazione con quelli risultanti da una rivista nazionale specializzata.

Avverso le due sentenze della corte di appello di Bari hanno proposto ricorso per cassazione A.D.N.O., G. e A. sulla base di tre motivi, illustrati con memoria. Resistono con autonomi controricorsi, da un lato, la regione Puglia e l’ufficio regionale del Genio Civile e, dall’altro, il comune di Bari. Ciascuno dei controricorrenti ha anche proposto ricorso incidentale affidato a due motivi. Il comune ha resistito al ricorso incidentale della regione con controricorso.

I ricorrenti hanno anche depositato memoria con la quale invocano l’applicazione dello jus superveniens costituito dalla L. n. 244 del 2007, art. 2 della cui costituzionalità tuttavia dubitano per l’illogica equiparazione del risarcimento derivante da occupazione acquisitiva all’indennità per espropriazione legittima, anche ai fini tributari, a causa dell’applicazione della tassazione prevista dalla L. n. 413 del 1991, art. 11 anche alla percezione di somme di natura risarcitoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso principale e i due ricorsi incidentali, proposti nei confronti delle stesse sentenze debbono essere riuniti.

1. Con il primo motivo i ricorrenti, deducendo la violazione o falsa applicazione degli art. 83 e 84 c.p.c., lamentano che la corte territoriale abbia dichiarato inammissibile l’appello incidentale dagli stessi proposto, sulla base di un orientamento di questa corte, superato e, comunque, contrastato da opposto orientamento favorevole all’ammissibilità. I ricorrenti hanno pertanto sollecitato la rimessione a queste sezioni unite.

Come correttamente hanno segnalato i ricorrenti, che hanno sollecitato l’intervento di queste sezioni unite, in ordine alla questione relativa all’estensione dei poteri del difensore al quale sia stata rilasciata procura alle liti in calce all’atto d’appello notificato è insorto un contrasto all’interno della giurisprudenza della Corte.

Secondo un primo orientamento restrittivo (Cass. n. 12047/1992, 5243/1996, 2218/2001, 19454/2005) nel caso in cui la procura sia apposta su un atto diverso da quelli previsti dall’art. 83 c.p.c., comma 2 l’ambito del mandato al difensore va determinato, in mancanza di una diversa ed espressa manifestazione di volontà, con riferimento all’atto sul quale è apposto: ne consegue che in caso di procura apposta in calce alla copia notificata dell’atto di appello il mandato al difensore deve ritenersi limitato a contrastare la doglianza dell’appellante e non può in linea di principio, estendersi alla proposizione di appello incidentale, mentre, ricollegandosi a un risalente precedente (Cass. n. 1908/1961), un opposto orientamento (Cass. n. 4206/1998, 2862/1999, 4793/2007, alle quali può sostanzialmente accostarsi Cass. n. 4864/2007) afferma che la procura rilasciata in calce alla copia dell’atto di appello notificato dall’avversario è valida ai fini della proposizione di appello incidentale, essendo apposta su uno degli atti elencati dall’art. 83 c.p.c., comma 3 – che non opera distinzioni tra atti provenienti dalla parte che conferisce il mandato e quelli provenienti da controparte – ed attribuendo la legge direttamente al difensore (art. 84 c.p.c.) la facoltà di proporre tutte le domande ricollegabili con l’oggetto della causa.

2. La Corte ritiene che al fine di risolvere il contrasto non sia sufficiente il semplice ridimensionamento dell’affermazione secondo la quale la procura apposta in calce alla copia notificata dell’atto di appello non può estendersi alla proposizione di appello incidentale sulla base del rilievo che tale regola non ha valore assoluto ma di principio e che ha carattere risolutivo, invece, l’interpretazione dell’atto processuale contenente la procura alle liti (Cass. n. 4864/2007), sussistendo ben più decisive ragioni di natura interpretativa e sistematica che inducono a preferire il secondo orientamento.

La premessa di ordine generale dalla quale occorre prendere le mosse è che dalla regola secondo la quale il difensore può compiere e ricevere nell’interesse della parte tutti gli atti del processo che dalla legge non sono ad essa espressamente riservati, tra i quali vanno annoverati quelli che comportano disposizione del diritto in contesa e le domande con le quali si introduce una nuova e distinta controversia eccedente l’ambito di quella originaria (art. 84 c.p.c.) discende che l’attribuzione dei poteri processuali al difensore non deriva dalla volontà della parte che conferisce la procura alle liti ma direttamente dalla legge. Come è stato efficacemente sottolineato in dottrina, la procura alle liti costituisce “non un’attribuzione di poteri, ma semplicemente una scelta ed una designazione”.

L’ambito dei poteri del difensore può essere limitato soltanto dalla legge o da un’espressa volontà della parte ma non dalla natura dell’atto con il quale o all’interno del quale è conferita la procura alle liti o dalla collocazione formale della procura stessa.

Per tale ragione non può essere condiviso il diverso orientamento che, invece, attribuisce funzione decisiva a tale collocazione, dalla quale fa derivare una presunzione, sia pure superabile da una diversa espressa volontà della parte, di coincidenza dell’ambito dei poteri processuali con l’oggetto dell’atto al quale accede la procura alle liti. Tra l’altro l’opposta tesi non si fa carico della contraddizione tra l’affermazione pacifica secondo la quale la procura alle liti per il grado d’appello espressa in termini generici con atto pubblico o scrittura privata autenticata, ai sensi dell’art. 83 c.p.c., comma 2 comprende il potere di proporre appello incidentale, mentre sarebbe necessaria un’espressa volontà della parte per autorizzare il procuratore a proporre impugnazione incidentale quando la procura sia apposta in calce all’atto d’appello notificato, come l’art. 83 c.p.c., comma 3 espressamente consente.

E’ evidente, tuttavia, che in tal modo è violata la regola stabilita dell’art. 84 c.p.c. secondo la quale l’espressa volontà della parte è idonea a limitare i poteri del procuratore derivanti dalla legge, ma è irrilevante al fine di attribuire i poteri stessi.

Nè una limitazione dei poteri del difensore al quale sia rilasciate procura in calce all’atto d’appello può derivare, implicitamente, dalla natura eccezionale del potere di proporre appello incidentale, perchè, dall’affermazione della natura speciale, ma non eccezionale della norma che prevede l’impugnazione incidentale tardiva (art. 334 c.p.c.) (Cass. n. 6311/1988, sez. unite n. 4640/1989) deriva, a maggior ragione che analoga natura deve riconoscersi al potere di proporre impugnazione incidentale, in generale (art. 333 c.p.c.).

L’orientamento che appare più convincente ha tratto anche argomento dal rilievo che è pacifico che tra i poteri che la legge attribuisce al difensore munito di procura è compreso anche quello di proporre domande riconvenzionali e che tali domande presentano elementi comuni con l’appello incidentale in quanto entrambi contengono richieste di segno contrario a quelle avanzate dall’attore (o da altre parti intervenute o chiamate in giudizio) o dall’appellante principale (ovvero da altri appellanti incidentali), non comportano disposizione del diritto in contesa e non introducono un nuovo oggetto del giudizio (così Cass. n. 4206/1998). Tali rilievo non appaiono superati dalle contrarie osservazioni formulate da Cass. n. 19454 del 2005 che coglie le differenze tra appello incidentale e domanda riconvenzionale, ai fini che ora interessano, in ciò che il primo comporta un’iniziativa della parte che aveva fatto acquiescenza alla sentenza impugnata, può aver ad oggetto un capo di sentenza diverso da quello appellato, può essere diretto contro una parte diversa dall’appellante principale e può essere proposto da una parte diversa da quella nei cui confronti l’appello è stato notificato, chiamata a integrare il contraddittorio ex art. 331 o nei cui confronti sia stata ordinata la notifica dell’impugnazione principale ai sensi dell’art. 332 c.p.c., può avere ad oggetto un provvedimento diverso da quello oggetto del ricorso principale.

Ora, a parte la non decisività del rilievo, può innanzi tutto osservarsi che certamente la parte che non ha proposto appello principale può ritenersi che abbia accettato il rischio del passaggio in giudicato della sentenza parzialmente sfavorevole, ritenendo più utile giovarsi della parte favorevole della sentenza stessa, ma una cosa è ipotizzare la probabile strategia processuale, desumendola dalla mancata iniziativa della proposizione dell’appello e altra è affermare che tale comportamento costituisca acquiescenza in senso tecnico rispetto alla quale la proposizione dell’appello incidentale si configurerebbe come contrarius actus. La circostanza poi che l’appello incidentale possa essere diretto contro un capo di sentenza diverso da quello impugnato in via principale non implicherebbe comunque ampliamento dell’oggetto del giudizio definito dalla stessa sentenza, così come non comporta tale ampliamento la domanda riconvenzionale, anche nell’ipotesi in cui, come è ammesso pacificamente dalla giurisprudenza, non vi sia connessione per il titolo della domanda principale o dell’eccezione, ma semplice collegamento obbiettivo che non comporti spostamento della competenza. Inoltre non soltanto l’appello incidentale, ma anche la domanda riconvenzionale può essere proposta nei confronti di soggetto diverso dall’attore (come accade in caso di domanda proposta nei confronti di altro convenuto o di soggetto chiamato in causa o intervenuto) e da soggetto diverso dall’originario convenuto, (nel caso di reconventio reconventionis dell’attore espressamente disciplinata dall’art. 183 c.p.c., comma 5).

Infine, se è vero che è stata ritenuta ammissibile l’impugnazione incidentale nei confronti di un provvedimento si e diverso da quello oggetto dell’impugnazione principale tuttavia precisato che deve comunque trattarsi di provvedimento adottato nello stesso processo e che esso concorra alla determinazione dell’oggetto della pronuncia resa sulla medesima domanda (Cass. n. 6664/1997, 4789/2001). E’, infine, decisiva l’osservazione (Cass. n. 4793/2007) secondo cui l’orientamento favorevole all’ammissibilità dell’appello incidentale proposto da difensore al quale sia conferita procura alle liti in calce all’atto d’appello notificato appare garantire maggiormente il diritto di azione e di difesa dell’appellato e soddisfa le esigenze di economia processuale, con ciò rappresentando un’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa processuale idonea a dare attuazione ai principi stabiliti dagli artt. 24 e 111 Cost..

Il motivo deve essere pertanto accolto.

3. Con il secondo motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., i ricorrenti sostengono che erroneamente la corte d’appello ha ritenuto nuova la domanda di risarcimento dei danni, in quanto basata sull’invocata applicazione dell’art. 1 del protocollo n. 1 della convenzione di Roma, così come interpretato dalla corte di Strasburgo, non tenendo conto che con l’atto introduttivo del giudizio è stato richiesto il risarcimento dei danni e che l’indicazione di una ragione giuridica diversa da quella dedotta con tale atto non immuta la domanda. Con il terzo motivo i ricorrenti, lamentano che con omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, la corte territoriale abbia ritenuto applicabile il criterio di stima sintetico – comparativo, pur mancando adeguati elementi di riferimento consistenti nell’indicazione di terreni di caratteristiche simili e di atti di compravendita compiuti in epoca prossima a quella rilevante (1978).

Inoltre erroneamente sarebbe stato disatteso il riferimento ai dati risultanti da un quotidiano specializzato, in funzione integrativa degli elementi desunti da pochi atti di compravendita riferiti ad epoca anteriore a quella rilevante.

I motivi restano assorbiti dalla cassazione della sentenza non definitiva perchè il giudice del rinvio dovrà esaminare la domanda di liquidazione dei danni, anche alla luce della nuova disciplina dettata con la L. n. 244 del 2007.

4. Con il primo motivo del ricorso incidentale la regione e l’ufficio regionale del Genio civile, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 2945 c.c., comma 3 e art. 2935, censurano la sentenza non definitiva per avere rigettato l’eccezione di prescrizione, affermando che la sospensione del giudizio civile in attesa della definizione di quello amministrativo non aveva impedito l’esercizio del diritto al risarcimento dei danni, in quanto l’atto d’esproprio impugnato davanti al t.a.r. poteva essere disapplicato dal giudice civile, perchè emesso in carenza assoluta di potere e successivamente all’acquisizione della proprietà del suolo. Con il secondo motivo si deduce l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’eccezione di difetto di legittimazione passiva, affermando che le domande dovevano essere rivolte solo nei confronti del comune di Bari, beneficiario dell’opera pubblica e delegato alla sua costruzione della L. n. 641 del 1967, ex art. 1. Ricostruito il quadro normativo relativo al trasferimento dallo Stato alle regioni delle funzioni amministrative in materia di espropriazione di aree per l’edilizia scolastica, la Regione osserva che l’emissione del decreto di occupazione provvisoria di urgenza da parte del presidente della giunta regionale non implica titolarità del potere di esproprio, avendo essa agito su delega dello Stato, cui tale potere spettava fino al definitivo trasferimento avvenuto solo con il D.L. n. 376 del 1975.

5. Il comune di Bari con il primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 2935 c.c., art. 2945 c.c., comma 3 e art. 2947 c.c. contesta le affermazioni della Corte di Appello circa gli effetti della sospensione del giudizio in relazione alla decorrenza della prescrizione, negando che in presenza di un decreto di espropriazione emesso da autorità incompetente e successivamente all’acquisizione della proprietà del suolo, l’impugnazione davanti al giudice amministrativo potesse giustificare la sospensione del giudizio civile per i danni.

Con il secondo motivo il comune deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 641 del 1967, artt. 13, 16 e ss. (come modificati dal D.L. 24 ottobre 1969, n. 701, convertito nella L. n. 952 del 1969), del D.M. 14 maggio 1968, del decreto del Provveditore alle O.O.P.P. del 31/01/1971, del D.P.R. n. 8 del 1972, art. 10 e del D.L. n. 376 del 1975, art. 17, comma 1, convertito nella L. n. 493 del 1975, dell’art. 2043 c.c. e dei principi di tema di responsabilità ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Il ricorrente incidentale contesta la propria legittimazione passiva non essendo responsabile per la mancata tempestiva emissione del decreto di esproprio, riferibile alla sola omissione della regione Puglia e del ministero dei lavori pubblici.

6. E’ preliminare l’esame dell’eccezione di inammissibilità del ricorso incidentale della regione Puglia sollevata dal comune di Bari in quanto la procura rilasciata in data 12 settembre 2006 dal presidente della giunta regionale a margine del controricorso e ricorso incidentale di data 3 ottobre 2006 si riferisce solo all’impugnazione della sentenza definitiva ma non anche a quella della sentenza non definitiva.

Come è stato già osservato (Cass. n. 10539/2007, 28227/2005) la procura apposta in calce o margine del ricorso o del controricorso per cassazione, formando materialmente corpo con il ricorso o il controricorso al quale essa inerisce rende irrilevante l’eventuale errore materiale, facilmente riconoscibile, circa gli estremi della sentenza impugnata. Ora, nel caso di specie, è ben vero che nella procura a margine del controricorso e ricorso incidentale della regione Puglia e dell’Ufficio del Genio civile della stessa regione si fa riferimento alla sentenza n. 331/2006, che è la sentenza definitiva, ma a pag. 2 dello stesso atto, con il quale la procura fa corpo, i provvedimenti impugnati sono indicati oltre che con riferimento alla sentenza definitiva anche con quello alla sentenza non definitiva e il ricorso incidentale contiene censure a statuizioni della sentenza n. 127 del 2004. E’ pertanto evidente che la procura alle liti contiene un errore materiale che è irrilevante alla luce dei principi giurisprudenziali sopra richiamati.

7. Il primo motivo del ricorso incidentale della regione Puglia e il primo motivo del ricorso incidentale del comune di Bari pongono la stessa questione della prescrizione del diritto al risarcimento vantato dai privati e pertanto possono essere congiuntamente esaminati.

I motivi non sono fondati perchè trascurano la circostanza di fatto che il processo civile è stato effettivamente sospeso e che la sospensione è stata disposta su accordo o senza opposizione di tutte le parti. L’effetto sospensivo, pertanto, ha reso impossibile azionare il diritto al risarcimento dei danni, restando irrilevante l’eventuale illegittimità del provvedimento di sospensione che non è stata fatta valere dal comune. Del pari irrilevante è la natura radicale del vizio dell’atto amministrativo o il fatto che tale vizio fosse stato rilevato dopo che la proprietà dei suoli era già passata in testa all’ente pubblico, perchè stante la sospensione, il giudice ordinario non avrebbe comunque potuto esercitare alcun potere di cognizione (v. in senso conforme Cass. n. 9040/2008, 483/1999).

8. Sono anche infondati il secondo motivo del ricorso incidentale della regione e quello del comune che prospettano, in modo speculare, la questione del difetto della propria legittimazione passiva, perchè la corte territoriale ha correttamente osservato che la responsabilità concorrente di entrambi gli enti territoriali deriva dal fatto che il comune, sulla base di quanto disposto dalla L. n. 641 del 1967 sull’edilizia scolastica non universitaria, aveva la qualità di ente espropriante e in quanto tale aveva l’onere di sollecitare le autorità competenti all’adozione dei provvedimenti ablativi, mentre la regione, avendo già disposto il provvedimento di occupazione d’urgenza aveva anche l’onere di completare il procedimento con l’adozione del provvedimento di esproprio.

I ricorsi incidentali debbono, pertanto essere rigettati, ma la sentenza non definitiva deve essere cassata in relazione all’accoglimento del primo motivo del ricorso principale.

Il giudice del rinvio provvederà anche alla pronuncia sulle spese di questo giudizio.

P.Q.M.

La corte, riuniti i ricorsi, rigetta i ricorsi incidentali, accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla corte d’appello di Bari in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle sezioni unite civili, il 12 maggio 2009.

Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2010

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