Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19506 del 18/09/2020

Cassazione civile sez. III, 18/09/2020, (ud. 04/03/2020, dep. 18/09/2020), n.19506

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27773-2019 proposto da:

H.R., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

ANTONIO CESARINI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1180/2019 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 23/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/03/2020 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1.- H.R. propone ricorso, articolato in quattro motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno – Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Brescia, avverso la sentenza n. 1180/2019 della Corte d’Appello di Brescia, pubblicata in data 23.7.2019, non notificata, con la quale si è confermato il diniego di tutte le varie forme di protezione internazionale richieste.

2. – Il Ministero intimato ha depositato dichiarazione di disponibilità a partecipare alla discussione in pubblica udienza.

3. – Il ricorso è stato avviato alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.

4. – Il ricorrente, proveniente dal Bangladesh, ripercorre nel ricorso tutta la sua vicenda, esposta dettagliatamente nella sentenza impugnata e ritenuta inidonea dal giudice di merito a fondare il diritto ad una qualsiasi forma di protezione internazionale: l’estrema povertà familiare, l’abbandono del lavoro dei campi da parte del padre malato per aprire un negozio, la simpatia del padre per il partito BNP, le percosse subite dal ricorrente da parte degli esponenti di un partito avversario e la distruzione del negozietto, unica fonte di sostentamento familiare, i timori di persecuzione da parte di altro partito politico, la fuga attraverso la Libia con passaporto, sequestrato in Sudan, e l’arrivo in Italia, il successivo apprendimento dell’italiano, l’inserimento sociale e lavorativo in Italia.

5. – La corte d’appello, conformemente a quanto già deciso dalla Commissione territoriale e dal tribunale, ha escluso che il ricorrente possa essere ritenuto un perseguitato politico, ritenendo non credibile ed enfatizzata la parte della storia personale concernente le minacce politiche.

6. – Ha escluso altresì il diritto alla protezione sussidiaria, ritenendo sulla base di fonti ufficiali, che la situazione sicuramente di aspro contrasto e critica quanto al rispetto dei diritti umani esistente in Bangladesh non possa essere definita nè di violenza indiscriminata nè di conflitto armato.

7. – Quanto alla protezione umanitaria, mette in rilievo che il ricorrente ha adeguatamente dimostrato il pregevole percorso di integrazione intrapreso, ma ritiene che ciò non sia sufficiente alla concessione della protezione minore, alla luce dei parametri di legge come interpretati da Cass. n. 4455 del 2018, non emergendo alcun altro elemento individualizzante di vulnerabilità, indicato dalla difesa o rilevabile d’ufficio, essendo l’ H. persona ormai di 25 anni, nella piena maturità, con evidenti capacità lavorative e con un forte legame con la terra di origine dove ha ancora tutta la famiglia.

8. – Con il primo motivo, il ricorrente deduce la radicale carenza di motivazione della sentenza impugnata in relazione a tutte le domande formulate, deduce che la motivazione sia esclusivamente de relato, modalità in sè consentita, ma meramente apparente perchè in realtà non frutto di un autonomo processo valutativo da parte della corte d’appello, ma fondata solo su clausole di stile e che si limita a recepire la convinzione negativa formatasi in capo ai precedenti giudici.

9. – Il motivo è infondato, in quanto la motivazione richiama le precedenti decisioni, il cui esito condivide, ma ne motiva la condivisione con valutazione autonoma, in maniera nè formalistica nè apparente.

10. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5 per non aver la corte d’appello applicato il principio dell’onere probatorio attenuato, come affermato già da S.U. n. 27310 del 2008, per non aver valutato la credibilità del richiedente facendo uso dei parametri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, per non aver valutato l’applicabilità al caso di specie del principio del non refoulement.In particolare, evidenzia che la corte d’appello si è ancorata, per tutte e tre le forme di protezione, alla mancanza di credibilità soggettiva del richiedente, ritenendo che ciò escluda per tutte le forme di protezione l’obbligo di un approfondimento istruttorio officioso, in particolare sulla situazione in Bangladesh, e sul rischio al quale sarebbe assoggettato il ricorrente nell’eventualità di un suo ritorno in patria. Segnala inoltre che nel 2018 si sarebbe verificato un disastro ambientale nella zona di Naria, di sua provenienza, che avrebbe minato, in caso di rimpatrio, la capacità del ricorrente di far fronte ai bisogni più basilari della vita.

11. – Con il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 sostenendo che la corte d’appello sia incorsa in errore di fatto nel consultare le fonti in base alle quali dice di aver acquisito le informazioni (rapporto Amnesty International 2015/2016) perchè quello stesso rapporto è stato valutato diversamente da numerosi giudici di merito che vi hanno tratto, al contrario della corte di Brescia, il convincimento che il contesto politico sociale in Bangladesh sia in realtà molto grave, molto più grave rispetto a quello che ricostruisce la corte nella sentenza impugnata. Lamenta comunque una valutazione assai superficiale, che non tiene conto nè del dovere di cooperazione istruttoria, nè dell’onere probatorio attenuato, e segnala che la corte territoriale non ha fatto buon governo della notoria circostanza che per molti non sia agevole, neppure psicologicamente, raccontare quanto hanno subito.

12. – Con il quarto ed ultimo motivo il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007 art. 14, lett. c) per non aver la sentenza ritenuto la sussistenza di una minaccia grave alla vita del cittadino straniero derivante da una situazione di violenza indiscriminata come definita dalla sentenza della Corte di giustizia Elgafaji: situazione di violenza fuori controllo nel paese, che non necessita della individuazione di una minaccia individualizzata. Critica altresì la sentenza impugnata laddove ha negato la protezione umanitaria pur in presenza di un giudizio ampiamente positivo sul buon grado di integrazione sociale del ricorrente, e per aver sottovalutato che la condizione di vulnerabilità del soggetto possa essere anche conseguenza di una situazione geopolitica che non offra alcuna garanzia di vita all’interno del paese di origine, non solo a causa di situazioni di violenza allargate, ma anche per cause naturali o geopolitiche (siccità, carestie e situazioni di povertà inemendabili), quali l’inondazione da lui segnalata, parametri anch’essi indicati dalla sentenza n. 4455 del 2018, richiamata dalla sentenza impugnata ma non presa in considerazione nella portata complessiva dei principi di diritto espressi.

13. – I motivi 2, 3 e 4 possono essere esaminati congiuntamente perchè trattano sia della mancata concessione della protezione sussidiaria che della protezione umanitaria.

14. – Quanto alla protezione sussidiaria, la corte d’appello non ha messo in discussione la veridicità dei fatti narrati dal ricorrente, ha tuttavia escluso, con sentenza ampiamente motivata sul punto e facendo riferimento a fonti ufficiali aggiornate al momento della decisione, che nel paese di provenienza del ricorrente, il Bangladesh, pur interessato da episodi sanguinosi di terrorismo, fosse in atto al momento della decisione quella situazione di violenza indiscriminata in situazioni diconflitto armato interno o internazionale atta a costituire una minaccia grave alla vita o all’integrità fisica della persona, legittimante, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) il riconoscimento della protezione sussidiaria.

15. – In tema di protezione sussidiaria, l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, di cui all’art. 14, lett. c), del D.Lgs. n. 251 del 2007, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. n. 32064 del 2018) e nel caso di specie la motivazione sul punto, benchè la conclusione cui perviene non sia l’unica possibile, e infatti non è condivisa da tutti i giudici di merito, non è nè meramente apparente nè totalmente contraddittoria. In riferimento alla mancata concessione della protezione sussidiaria (motivi 2, in parte, e 3) il ricorso va pertanto rigettato.

16. – Diverso è il discorso in relazione alla protezione umanitaria, di cui principalmente al motivo 4 ed in parte anche al motivo 2. In riferimento ad essa, infatti, deve ritenersi che la motivazione, pur dettagliata, non sia rispettosa dei principi di diritto elaborati da questa Corte in materia, e sia radicalmente contraddittoria. Essa va pertanto rinnovata.

Vanno richiamati i seguenti principi di diritto, già affermati da questa Corte e rilevanti nel caso di specie:

a.Il rilascio del permesso di soggiorno per protezione umanitaria (nella disciplina previgente al D.L. n. 113 del 2018, conv., con modif., in L. n. 132 del 2018) costituisce una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica (“status” di rifugiato o protezione sussidiaria), non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità (v. Cass.23604 del 2017; Cass. n. 13096 del 2019).

b.Il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, deve essere frutto di valutazione autonoma caso per caso, non potendo conseguire automaticamente dal rigetto delle altre domande di protezione internazionale, essendo necessario considerare la specificità della condizione personale di particolare vulnerabilità del richiedente, da valutarsi anche in relazione alla sua situazione psico-fisica attuale ed al contesto culturale e sociale di riferimento (v. cass. n. 28990 del 2018; Cass. n. 13088 del 2019).

c. La condizione di vulnerabilità è una condizione personale del richiedente, che deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della vita privata del richiedente in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, per verificare la sussistenza e la consistenza del rischio di essere immesso nuovamente, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto sociale, politico o ambientale capace di determinare una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti inviolabili (v. Cass. n. 7599 del 2020).

d. Il giudizio di comparazione tra la situazione attuale, in cui il ricorrente risulta inserito in Italia, e la situazione in cui si ritroverebbe ove rimandato nel paese di provenienza, necessario al fine di apprezzare l’esistenza o meno della condizione di vulnerabilità del ricorrente, deve essere compiuto considerando globalmente e unitariamente i singoli elementi fattuali accertati e non in maniera atomistica e frammentata (Cass. n. 7599 del 2020).

e. In materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. n. 4455 del 2018, richiamata sul punto, quanto alla necessità di compiere il giudizio di comparazione secondo i criteri ivi indicati, da Cass. S. U. n. 29459 del 2019).

f. In tema di protezione internazionale, ove il richiedente il permesso di soggiorno per motivi umanitari affermi di essere emigrato (anche) a seguito di eventi calamitosi verificatisi nel paese di origine, occorre tener conto che il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 20 bis introdotto dal D.L. n. 113 del 2018, conv. con modif. dalla L. n. 132 del 2018, ancorchè non applicabile “ratione temporis”, ha espressamente previsto un particolare permesso di soggiorno da concedersi quando nel paese di origine dello straniero vi sia una situazione di contingente ed eccezionale calamità, così tipizzando una condizione di vulnerabilità già tutelabile. Ne consegue che ai fini della valutazione della vulnerabilità del richiedente, deve ritenersi rilevante anche la sussistenza della menzionata situazione di calamità (Cass. n. 2563 del 2020).

17. – La sentenza impugnata non ha rispettato i parametri normativi fissati dal T.u. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 così come esplicitati nella pur richiamata pronuncia n. 4455 del 2018, alla quale fa riferimento quanto alla necessità e ai criteri di svolgimento del giudizio di comparazione anche Cass. S.U. n. 29459 del 2019, in quanto, sebbene la sentenza riproduca il positivo percorso di integrazione compiuto dal ricorrente in Italia, sotto ogni profilo, sia linguistico, che di formazione, che di inserimento lavorativo, che costituisce il primo termine di comparazione, lo svaluta poi totalmente fino ad annullarlo, nel giudizio di comparazione, a fronte di un secondo termine di paragone, costituito dalla situazione del paese di origine in cui andrebbe a reinserirsi, all’interno del quale non introduce alcun elemento oggettivo, neppure quelli accertati in causa, al di fuori della esistenza di una famiglia di origine in patria. Ovvero la pronuncia non prende minimamente in considerazione – in un frazionamento atomistico degli elementi di valutazione non consentito – nè la realtà sociale ed economica, nè le condizioni geopolitiche (nessun riferimento alla denunciata calamità naturale sotto forma di inondazione che ha investito la zona di provenienza del richiedente) in cui si andrebbe a reinserire il soggetto.

18. – Ai fini della valutazione comparativa volta ad accertare la sussistenza o meno della condizione di vulnerabilità gli elementi oggettivi del contesto di provenienza del ricorrente accertati in giudizio (quali la condizione di miseria diffusa nel paese, l’instabilità politica, i ripetuti attacchi terroristici), se da un lato possono essere inidonei al raggiungimento della soglia particolarmente elevata della violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, necessaria per il riconoscimento della protezione sussidiaria, non possono essere completamente obliterati al fine della diversa ed autonoma valutazione della condizione di vulnerabilità del ricorrente, costituendo dati obiettivi da tenere in conto al fini del secondo termine di comparazione, ovvero della situazione che ritroverebbe in caso di ritorno in patria.

19. – Ai fini della valutazione comparativa, infine, la condizione soggettiva del ricorrente ed in particolare, il dato della particolare resilienza e capacità di affrontare le avversità dimostrate dal giovane ricorrente non può essere legittimamente utilizzato, all’interno del giudizio di comparazione, esclusivamente per dedurne che sarà in grado di adattarsi ovunque, a qualsiasi tipo di situazione, e che quindi la protezione può essergli negata, in tal modo ritorcendo a danno del richiedente le sue stesse qualità e rendendole il criterio prevalente per escluderne la vulnerabilità prescindendo dalla considerazione degli elementi oggettivi su citati.

20. – Si aggiunga che la sentenza risulta altresì viziata sotto il profilo della motivazione, in quanto totalmente contraddittoria proprio perchè, pur valutando in maniera estremamente positiva il primo termine di comparazione, esclude senza alcuna giustificazione logica la vulnerabilità sulla base degli stessi elementi che hanno portato il ricorrente a compiere un positivo percorso di integrazione.

In accoglimento del quarto motivo di ricorso e, per quanto di ragione, del secondo, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Brescia che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

PQM

Accoglie il quarto e per quanto di ragione il secondo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Brescia in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 4 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2020

 

 

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