Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19505 del 19/07/2019

Cassazione civile sez. III, 19/07/2019, (ud. 06/02/2019, dep. 19/07/2019), n.19505

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19301/2017 proposto da:

C.L., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

MARIO PIETRO MAZZUCCO;

– ricorrente –

contro

T.E.;

– intimata –

nonchè da:

T.E.M., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

MAURILIO BERTONI, GIUSEPPE BERTONI;

– ricorrente incidentale –

contro

C.L.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 223/2017 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 16/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/02/2019 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso in

subordine rigetto, assorbito l’incidentale condizionato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

C.L. convenne, con. atto di citazione del 15/9/2004, davanti al Tribunale di Genova, i coniugi G.L. ed T.E. per sentirli condannare al risarcimento dei danni, di tipo biologico, morale ed esistenziale, e patrimoniale conseguente all’anticipato pensionamento, patiti a causa del comportamento persecutorio posto in essere dai convenuti nei suoi confronti: comportamenti illeciti, anche di rilevanza penale, che avevano procurato all’attore una sindrome depressiva, eziologicamente riconducibile ai contrasti sulla divisione di un immobile acquistato in comunione tra le parti e, più in generale, a comportamenti violenti posti in essere dai convenuti.

Nel contraddittorio con i medesimi, venne disposta una prima CTU medico-legale sulla persona dell’attore al fine di accertare la sussistenza di tali patologie e la loro riconducibilità ai fatti di causa, all’esito della quale il Tribunale di Genova, con sentenza n. 1617/2010, individuò tre distinti titoli della pretesa risarcitoria: uno, derivante da una sentenza del giudice penale di Genova che aveva condannato il G. per minacce a mano armata nei confronti della parte civile, da liquidarsi in separato giudizio; un altro costituito dalla condanna della T. per calunnia ed un terzo titolo per il comportamento complessivamente persecutorio posto in essere nei confronti del C.. Il Tribunale, ritenendo accertati sia la sindrome ansioso-depressiva sia il nesso causale tra i suddetti comportamenti e la detta sindrome, accolse la domanda e condannò i convenuti in solido a pagare, a titolo di danno non patrimoniale, la somma di Euro 45.129,60, oltre rivalutazione monetaria ed interessi, in applicazione delle Tabelle milanesi.

La Corte d’Appello di Genova, adita dalla T. in via principale e dal C. in via incidentale, disposta una seconda consulenza tecnica medico-legale sulla persona del C., che aveva confermato integralmente la perizia svolta in primo grado ha, con sentenza n. 223 del 16/2/2017, parzialmente accolto l’appello principale e rigettato l’incidentale. Il Giudice ha ritenuto confermato lo stato patologico di depressione cronica patito dal C., il nesso causale tra i comportamenti degli appellanti e detta sindrome, ha rigettato il motivo di appello relativo alla condanna degli appellanti al risarcimento del danno in via solidale ai sensi dell’art. 2055 c.c. (in ragione dell’unicità del fatto dannoso) mentre ha ridotto del 50% la quantificazione del risarcimento, in ragione della presenza di uno stato d’ansia del C. sviluppatosi per cause naturali ed endogene prima dei fatti oggetto del giudizio. Tenuto conto di tali elementi endogeni la Corte d’Appello ha ridotto l’importo risarcitorio ad Euro 22.564,80, oltre rivalutazione ed interessi.

Il Giudice ha poi rigettato l’appello incidentale del C. con il quale si chiedeva di riconoscere il risarcimento del danno conseguente all’attuazione del dispositivo della sentenza penale di Genova: il rigetto è stato motivato con riguardo al principio sancito dalla giurisprudenza di questa Corte secondo il quale resta salvo il potere del Giudice della liquidazione di escludere l’esistenza stessa di un danno risarcibile o causalmente collegato all’illecito, ove la parte interessata non fornisca la prova del danno (Cass., n. 7695 del 2008).

Avverso la sentenza C.L. propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, illustrati da memoria. T.E. resiste con controricorso e propone due motivi di ricorso incidentale condizionato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorrente tenta di scardinare l’impugnata sentenza con una serie di motivi con i quali richiede un riesame, prevalentemente in fatto, della statuizione con la quale il giudice d’appello ha ridotto il quantum del risarcimento del 50% in ragione di una tendenza depressiva intrinseca al carattere del danneggiato.

1. Con il primo motivo – nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, sul punto dell’accoglimento del V motivo di appello principale, in materia di quantificazione del danno – il ricorrente assume che la statuizione di rigetto dei primi quattro motivi di appello sarebbe incompatibile con la statuizione di accoglimento del quinto motivo, essendo detto accoglimento logicamente inconciliabile con l’impianto complessivo della sentenza.

Ad avviso del ricorrente le statuizioni in ordine alla piena condivisione delle risultanze di entrambe le CTU, sia per quel che attiene al nesso causale sia per la quantificazione del danno renderebbero del tutto illogico l’accoglimento del quinto motivo di appello, con il quale si era chiesto ed ottenuto di decurtare, dall’importo dovuto quale risarcimento del danno, una percentuale ascrivibile ad una componente ansiosa del carattere del C., preesistente ai fatti generatori del presente giudizio. La presupposizione della preesistenza di uno stato ansioso-depressivo sarebbe, ad avviso del ricorrente, smentita dalle due CTU che avrebbero entrambe collegato il disturbo post-traumatico ai fatti di causa, mentre le valutazioni relative alla preesistenza di fattori per dir così genetici sarebbero prive di qualunque fondamento.

1.1 Il motivo è inammissibile. Il caso della nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, ricorre allorchè essa difetti totalmente dell’iter argomentativo idoneo a palesare le ragioni della decisione, mentre tale ipotesi non ricorre nella specie avendo la Corte d’Appello dato conto delle ragioni per le quali il rigetto dei primi motivi di appello non escludeva affatto la possibilità di disporre una decurtazione della cifra dovuta a titolo risarcitorio per effetto di una preesistente ed autonoma patologia del C.. Il Giudice d’appello ha corretto, in parte, la motivazione del giudice di prime cure, laddove ha ritenuto che il contenzioso civile incorso tra le parti non fosse più valutabile mentre nell’obbligo risarcitorio della T. erano state incluse conseguenze di fatti preesistenti, di guisa da dover rimodulare il risarcimento in considerazione della vicenda clinica e della concreta situazione della parte lesa. Peraltro, in punto di quantum, la Corte d’Appello ha dato espressamente atto che le risultanze degli accertamenti peritali erano comprensive dal danno preesistente ai fatti di cui è causa, al quale entrambe le CTU avevano fatto riferimento. Nè la statuizione della Corte di merito può essere censurata per avere il Giudice preso le distanze dall’accertamento tecnico del Dott. Ge. che aveva escluso la preesistenza di precedenti morbosi, in quanto l’apprezzamento svolto dal Giudice rientra nella sua discrezionalità, essendo egli peritus peritorum. La Corte d’Appello ha parzialmente disatteso le conclusioni peritali con un giudizio di merito non censurabile in questa sede, sorretto peraltro da idonea motivazione. Nè occorre svolgere un controllo del ragionamento seguito per avere il Giudice aderito pienamente ad una sola delle due consulenze tecniche d’ufficio in quanto il giudice di merito fa riferimento, genericamente, al fatto che entrambe le consulenze avevano certificato un danno preesistente ai fatti di causa; nè può accogliersi la censura del ricorrente relativa al quantum della decurtazione in base ad un criterio equitativo essendo logico che i valori tabellari costituiscano un criterio meramente indicativo che deve poi essere personalizzato in relazione alle circostanze del caso concreto.

2. Con il secondo motivo di ricorso – violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in materia di esame e valutazione del materiale probatorio acquisito nel processo, in particolare delle risultanze peritali, con riguardo all’art. 360 c.p.c., n. 3 – il ricorrente assume che la Corte d’Appello, nel dar vita ad una palese contraddizione tra il rigetto dei primi quattro motivi e l’accoglimento del quinto, avrebbe violato norme logiche e massime di esperienza, il cui vulnus va censurato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 La motivazione sarebbe, dunque, intrinsecamente contraddittoria tra le premesse e le conclusioni del ragionamento.

2.1 Il motivo è infondato. Premesso che la restrizione del perimetro applicativo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, conseguente alla riforma del 2012 non può essere superata invitando la Corte a valutare i vizi denunziati nella prima parte del ricorso sotto il profilo della violazione e falsa applicazione di norme di diritto, la rilevanza del vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, è ridotta ai soli casi in cui il vizio si converte in una violazione di legge costituzionalmente rilevante ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. L’omissione della motivazione deve, in altri termini, essere di tale gravità da produrre la nullità della sentenza, il che nel caso in esame deve essere escluso per quanto già esposto in relazione al primo motivo di ricorso al quale il secondo è, sostanzialmente, sovrapponibile.

3. Con il terzo motivo – omesso esame di più fatti decisivi, provati in causa, ed oggetto di contraddittorio sullo specifico punto ex art. 360 c.p.c., n. 5 – censura la sentenza per aver basato la decisione su elementi istruttori di valenza percipiente che hanno espressamente escluso le supposte “preesistenze” considerate invece nella decurtazione del risarcimento.

3.1 Il motivo è inammissibile in quanto, a seguito della novella del 2012, il vizio denunciabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, concerne il mancato esame di un fatto storico, principale o secondario, oggetto di discussione tra le parti ed avente carattere decisivo per il giudizio, nel cui perimetro non è inquadrabile l’esercizio del potere di apprezzamento delle prove da parte del Giudice del merito.

4. Con il quarto motivo – violazione di, legge sul capo di sentenza che ha rigettato l’appello incidentale dell’odierno ricorrente – censura la sentenza nella parte in cui ha rigettato la domanda risarcitoria formulata dal C., con riguardo ai comportamenti di cui alla sentenza di condanna penale del G., domanda, ad avviso del ricorrente, del tutto autonoma rispetto alla prima richiesta risarcitoria.

La conferma dell’impugnata sentenza avrebbe dovuto, secondo il C., essere accompagnata dalla liquidazione dell’ulteriore importo, oltre interessi e rivalutazione, mentre il giudice avrebbe sostanzialmente ignorato la richiesta, ritenendola sprovvista di prova.

4.1 La censura non coglie nel segno. Come appare evidente dalle conclusioni del C. formulate nel giudizio di primo grado, il Tribunale doveva pronunciarsi sulla domanda di risarcimento del danno biologico, morale ed esistenziale, complessivamente considerata e valutata con riguardo a tutti i fatti illeciti compiuti dai coniugi G. e T., senza che residuassero capi di domanda rimasti privi della corrispondente pronuncia. Ne consegue, pertanto, la piena esaustività del dictum del giudice di merito che non avrebbe avuto alcun titolo per procedere ad una separata quantificazione del danno.

5. Il rigetto del ricorso principale conduce ad una decisione di assorbimento dei motivi del ricorso incidentale condizionato e alle conseguenti statuizioni sulle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito l’incidentale e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 2.300 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%. Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 6 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2019

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