Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19505 del 04/08/2017


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Cassazione civile, sez. III, 04/08/2017, (ud. 17/05/2017, dep.04/08/2017),  n. 19505

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9172/2015 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, V. ENNIO QUIRINO

VISCONTI 99, presso lo studio dell’avvocato BERARDINO IACOBUCCI,

rappresentato difeso dagli avvocati NICOLA GRIPPA, PIETRO

MASTRANGELO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

REGIONE PUGLIA, in persona del Presidente della Giunta regionale,

Dott. V.N., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

BARBERINI 36, presso DELEGAZIONE DELLA REGIONE PUGLIA, rappresentata

difesa dall’avvocato VINCENZO D’AMATO giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 412/2014 della CORTE D’APPELLO SEZ. DIST. di

TARANTO, depositata il 21/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/05/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, che ha concluso per la parziale inammissibilità e

comunque rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato VANESSA VITALE per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. In data 29/09/2008 la Regione Puglia, in persona del dirigente dell’ufficio contenzioso amministrativo, ingiungeva a P.G. il pagamento di Euro 127.570,65 a titolo di recupero ai sensi del R.D. 639 del 2010, preannunciato il 26 maggio 2008, di maggiori somme coattivamente incassate per effetto di sentenza di primo grado – reintegra nel posto di lavoro – riformata in Corte di Appello con ordine di restituzione, confermato dalla Corte di Cassazione come specificato nella Det. Dirig. n. 559 del 2007, notificata in data 26 ottobre 2007.

Il P. interponeva opposizione dinnanzi al Tribunale di Taranto, che con sentenza n 2063 del 2010 la rigettava perchè il fatto costitutivo era provato mentre il P. aveva contestato genericamente il quantum senza prova alcuna.

2. Avverso la suddetta pronuncia proponeva appello il P. deducendo violazione dell’art. 2697 c.c., da parte dell’adito Giudice, il quale ritenendo fondata la prova del credito vantato dalla P.A. sul presupposto che l’intimazione contenesse tutti gli elementi identificativi del fatto costitutivo, avrebbe dispensato quest’ultima dal produrre gli atti del procedimento tra cui la determina dirigenziale e la quietanza.

La Corte d’Appello di Lecce, con sentenza n 412 del 21 ottobre 2014, rigettava l’impugnazione per difetto di prova di fatti modificativi o estintivi da parte dell’opponente, mentre nessuna contestazione specifica atteneva nè alle sentenze restitutorie nè alla determina dirigenziale, ma soltanto genericamente al quantum e condannava l’appellante alle spese di lite.

3. Avverso tale decisione, propone ricorso in Cassazione P.G. con tre motivi.

3.1 Resiste con controricorso la Regione Puglia.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta “nullità della sentenza per motivazione meramente apparente in violazione degli art. 132 c.p.c. e art. 111 Cost., il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dei principi relativi alla distribuzione dell’onere della prova, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Nullità della sentenza per violazione degli art. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”.

Censura l’apparente motivazione e dunque l’omesso esame delle questioni prospettate con l’atto di appello non avendo la Corte Territoriale risolto i problemi veri della controversià che sono stati sollevati, come risulterebbe dall’asimmetria tra le doglianze mosse alla statuizione di primo grado e i motivi della decisione di cui in questa sede si chiede di sindacarne la legittimità.

La Corte Salentina, al pari del primo Giudice, avrebbe disatteso nel caso de quo la corretta applicazione dell’onere probatorio di cui all’art. 2697 c.c. e dei principi di diritto elaborati da questa Corte con la sentenza n 3341 del 2009 richiamata dal ricorrente.

4.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta “violazione e falsa applicazione dell’art. 2126 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

La Corte d’Appello di Lecce avrebbe violato il disposto dell’art. 2126 c.c., travolgendo qualsiasi effetto della sentenza di primo grado, poichè la norma qui richiamata esclude che la nullità o l’annullamento del contratto di lavoro producano effetti per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, nella specie tra la sentenza del Giudice di prima istanza che disponeva la reintegrazione del P. e la Corte che invece ne riformava la pronuncia.

I due motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono entrambi inammissibili.

Ed infatti i giudici di merito hanno ampiamente argomentato sul fatto costitutivo dell’ingiunzione – determina dirigenziale, la cui notifica non è contestata, e sentenze emesse in un diverso processo di condanna alla restituzione di somme indebitamente percette – e sulla mancanza di allegazione dell’opponente di fatti estintivi e impeditivi successivi. Ne consegue innanzi tutto che la censura doveva esser formulata ai sensi dell’art. 112 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 4 e quindi doveva esser corredata, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, dell’indicazione dell’atto contenente le relative eccezioni e della fase processuale in cui era stato depositato.

Il secondo motivo è inammissibile per preclusione da giudicato esterno (cfr. sentenze richiamate nella determina trascritta nell’ingiunzione).

4.3. Con il terzo ed ultimo motivo si deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., L. 31 dicembre 2012, n. 247, art. 1, comma 3 e art. 13, comma 6, D.M. 10 marzo 2014, n. 55, art. 1, comma 3 e art. 13, comma 6 e delle tabelle ivi allegate relative ai parametri forensi dei giudizi dinnanzi alla Corte di appello, il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

La Corte salentina non avrebbe operato la liquidazione delle spese di lite secondo giustizia.

Il motivo è inammissibile.

In sede di ricorso per cassazione, la determinazione, del giudice di merito, relativa alla liquidazione delle spese processuali può essere censurata solo attraverso la specificazione delle voci in ordine alle quali lo stesso giudice sarebbe incorso in errore, sicchè è generico il mero riferimento a prestazioni, che sarebbero state riconosciute in violazione della tariffa massima, senza la puntuale esposizione delle voci in concreto liquidate dal giudice, (Cass. 10409/2016).

La Corte di Lecce ha correttamente fatto applicazione del criterio della soccombenza da applicarsi per la liquidazione delle spese di giudizio, parametrando le voci tabellari alle attività svolte, in cui certamente la soccombenza in entrambi i giudizi di merito è stata determinante nel calcolo del quantum.

5. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

 

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2017

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