Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19504 del 08/07/2021

Cassazione civile sez. I, 08/07/2021, (ud. 24/03/2021, dep. 08/07/2021), n.19504

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11696/2020 proposto da:

L.O., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Pietro

Mascagni 186, presso lo studio dell’avvocato Pitorri Iacopo Maria,

che lo rappresenta e difende come da procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza 5261/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

24/03/2021 da Dott. FALABELLA MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnata per cassazione la sentenza della Corte di appello di Roma, pubblicata il 17 dicembre 2019, con cui è stato respinto il gravame proposto da L.O. nei confronti dell’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c., comma 5, del Tribunale della capitale. La nominata Corte ha negato che al ricorrente potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato ed ha altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su cinque motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Nella pronuncia di appello è ricordato che l’istante aveva proposto gravame domandando che gli fosse riconosciuto lo status di rifugiato o che in subordine lo si ammettesse alla protezione sussidiaria. Il giudice distrettuale ha rilevato che la vicenda narrata dal richiedente, che si era dichiarato di religione cristiana – vicenda incentrata su motivi religiosi e sull’incendio, da parte di alcuni musulmani, della propria abitazione – risultava caratterizzata da genericità e da elementi di contraddittorietà che la rendevano nel complesso non credibile. La Corte di merito ha poi escluso, sulla base di precise fonti informative, indicate nel corpo del provvedimento, che il paese di provenienza fosse interessato da una situazione di conflitto armato generalizzato e rilevante, come tale, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

2. – I motivi di ricorso sono rubricati come segue.

Primo motivo: omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia; violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,7 e 8.

Secondo motivo: violazione ed errata applicazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, ratificata in Italia con L. n. 722 del 1954, nonché delle norme della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo delle libertà fondamentali, ratificata in Italia con L. n. 848 del 1955 e dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Terzo motivo: violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 11 e 17, nonché del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6; violazione dell’art. 115 c.p.c..

Quarto motivo: violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1; violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Quinto motivo: violazione ed errata applicazione della L. n. 1423 del 1956, art. 1, richiamato dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13 e dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

3. – Il ricorso è inammissibile.

Il primo motivo è generico e, in definitiva, non comprensibile: pertanto inammissibile.

L’istante si lagna del percorso logico seguito dalla Corte di merito, che risulterebbe “del tutto errato” e che “se correttamente applicato, avrebbe inevitabilmente portato a tutt’altra pronuncia”. La censura non risulta tuttavia adeguatamente circostanziata e nel corpo del ricorso viene addirittura prospettata una situazione differente rispetto a quella presa in considerazione dalla Corte di merito (“scontri occorsi nel villaggio per il petrolio e per la successione al governo del villaggio”: pag. 4).

Come è ben noto, i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa. Ciò comporta, fra l’altro, l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero delle lamentate carenze di motivazione (Cass. 25 settembre 2009, n. 20652; Cass. 6 giugno 2006, n. 13259).

Il secondo mezzo, con cui il ricorrente lamenta il vizio di istruttoria e il difetto di motivazione in quanto la pronuncia impugnata non avrebbe operato “alcuna valutazione circa l’esigenza di riconoscimento dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria o umanitaria” è parimenti inammissibile.

Esso, anzitutto, non coglie la decisione impugnata nella pienezza delle sue implicazioni. La Corte di appello, come si è accennato, ha basato il rigetto della domanda di protezione sussidiaria – con particolare riguardo alle ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e lett. b) – sulla non credibilità del ricorrente. Con riguardo a tali fattispecie, va osservato che l’esposizione dello straniero ai rischi ivi indicati deve rivestire un certo grado di individualizzazione (cfr.: Cass. 20 giugno 2018, n. 16275; Cass. 20 marzo 2014, n. 6503; cfr. pure Cass. 19 giugno 2020, n. 11936; Cass. 3 luglio 2020, n. 13756); in tale prospettiva si rivela non pertinente la doglianza circa la mancata spendita, da parte del giudice, dei noti poteri di cooperazione istruttoria che devono trovar spazio nelle controversie in tema di protezione internazionale: una acquisizione di informazioni generali sul paese di origine si manifesta inutile proprio in quanto il rischio prospettato dall’istante, siccome correlato a fatti non dimostrati, difetta di concretezza e non potrebbe comunque mai presentare il richiesto grado di personalizzazione. Per qual che concerne la fattispecie contemplata dall’art. 14, lett. c), è da osservare, invece, che – come sopra accennato – la Corte di merito si è fatta carico della verifica della situazione di violenza indiscriminata, in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, che dà titolo alla relativa forma di protezione. Da ultimo, non appare concludente quanto dedotto con riguardo al mancato riconoscimento della protezione umanitaria: emerge, infatti, dalla sentenza impugnata (pag. 2) che il giudice di appello non è stato investito di una domanda in tal senso; né, sul punto, l’istante fa questione del vizio di omessa pronuncia.

Il terzo motivo reitera doglianze che sono state formulate col secondo mezzo di censura, di cui, quindi, segue la sorte.

Il ricorrente prospetta, inoltre, il “rischio di venire ucciso (…) in ragione di una situazione etnico-religiosa esplosiva” (pag. 12 del ricorso) che, oltre a trovare smentita nell’accertamento compiuto dalla Corte di merito, sarebbe comunque inidoneo a giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria: protezione di cui – come si è detto – non si è dibattuto in appello.

Il quarto motivo è inammissibile. L’istante invoca la disposizione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, ma la norma, che ha riguardo al divieto di espulsione e di respingimento, è estranea alla materia devoluta al giudice di appello, che è stato investito di una decisione sul diritto del richiedente alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 1998, art. 14.

Il quinto motivo, con cui si lamenta che il provvedimento di diniego della protezione internazionale non sarebbe stato tradotto in lingua comprensibile per il richiedente, è parimenti inammissibile.

Ove con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430; Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675; cfr. pure: Cass. 28 luglio 2008, n. 20518; Cass. 26 febbraio 2007, n. 4391; Cass. 12 luglio 2006, n. 14599; Cass. 2 febbraio 2006, n. 2270). Per completezza, si osserva che oggetto della controversia in tema di protezione internazionale portata all’esame del tribunale non è il provvedimento negativo, emesso dalla commissione territoriale, ma il diritto soggettivo alla protezione internazionale invocata, sulla quale comunque il giudice deve statuire, non rilevando in sé la nullità del provvedimento ma solo le eventuali conseguenze di essa sul pieno dispiegarsi del diritto di difesa (Cass. 23 novembre 2020, n. 26576; Cass. 15 maggio 2019, n. 13086).

4. – Nulla deve statuirsi in punto di spese processuali.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 24 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2021

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