Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19502 del 23/08/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 19502 Anno 2013
Presidente: FINOCCHIARO MARIO
Relatore: AMBROSIO ANNAMARIA

SENTENZA

sul ricorso 27050-2007 proposto da:
GATTOLINI GIAMPAOLO, elettivamente domiciliato ex
lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato
RAENGO FRANCESCO giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2B COSTRUZIONI CICLI DI BANDIZOL BARBARA & C. S.N.C.,
in persona di BARBARA BANDIZIOL, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA G.FERRARI 11, presso lo
studio dell’avvocato VALENZA DINO, che la rappresenta

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Data pubblicazione: 23/08/2013

e difende unitamente all’avvocato CALLEGARO LUCIANO
giusta delega in atti;
– controrícorrente

avverso la sentenza n. 294/2007 della CORTE D’APPELLO
di TRIESTE, depositata il 05/05/2007 RR.GG.N. 82/06 e

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/06/2013 dal Consigliere Dott.
ANNAMARIA AMBROSIO;
udito l’Avvocato FRANCESCO RAENGO;
udito l’Avvocato DINO VALENZA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PIERFELICE PRATIS che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

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102/06;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto 21 novembre 1992 Giampaolo Gattolini conveniva in
giudizio, innanzi al Tribunale di Pordenone, la 2B Costruzioni
Cicli di Bandiziol Barbara & C. s.n.c. (di seguito,
brevemente, società 2B Costruzioni Cicli), esponendo che in

Giovanni Battista e Angelina Gattolini un complesso
immobiliare costituito da casa agricola con orto pertinenziale
per il prezzo di E 42.000.000 in violazione del diritto di
prelazione spettante a esso attore quale coltivatore diretto,
proprietario di fondi confinante; dichiarava, dunque, di voler
esercitare il riscatto del descritto compendio e, in
subordine, chiedeva che fosse accertato il proprio diritto di
prelazione quantomeno relativamente a parte dei descritti beni
e, in particolare rispetto al mappale 431 e a parte del
mappale 449, per una estensione catastale di mq. 1085 circa,
con esclusione della rimanente porzione (di mq. 685) perchè
ricadente in zona omogenea Bl.
Costituitasi in giudizio la convenuta resisteva alla
avverse pretese rilevandone la infondatezza, atteso che quanto
al mappale 449 di mq. 665, il riscatto non poteva essere
esercitato perchè ricadente in zona omogenea Bl, mentre
• l’intero mappale 431 e la residua parte del mappale 685,
ricompresi in zona E 5.2, non avevano mai avuto destinazione
agricola (costituendo pertinenza di altra area e non essendo
suscettibili di autonomia colturale).
Con sentenza non definitiva 27 maggio – 9 luglio 1998 il
Tribunale di Pordenone accoglieva la domanda subordinata del

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data 4 maggio 1992 la società convenuta aveva acquistato da

Gattolini, dichiarando che lo stesso era subentrato alla
società acquirente limitatamente al mappale 431 e a porzione
del mappale 449 ricadenti in zona agricola E 5.2; disponeva,
quindi, la rimessione della causa in istruttoria per la
determinazione del prezzo dovuto dall’attore.

Cicli la Corte di appello di Trieste con sentenza 28 febbraio
2001-24 gennaio 2002 rigettava il gravame; ma tale pronunzia
era cassata con rinvio con sentenza n. 11193 del 26 maggio
2005, con la quale questa Corte di legittimità accoglieva il
primo motivo di ricorso della società 2B Costruzioni Cicli,
assorbiti gli altri.
Riassunta la causa innanzi alla Corte di appello di
Trieste, il Giudice del rinvio, con sentenza in data 31 maggio
2007, in accoglimento dell’appello della società 2B
Costruzioni Cicli, ha rigettato la domanda proposta da
Giampaolo Gattolini, condannandolo al pagamento delle spese
dell’intero giudizio.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione
Giampaolo Gattolini, svolgendo tre motivi, illustrati anche da
memoria.
Ha resistito la società 2B Costruzioni cicli, depositando
controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I giudici del rinvio – preso atto che la precedente
sentenza di legittimità imponeva di motivare in ordine alla
sussistenza dei requisiti soggettivi e oggettivi del diritto
di riscatto, avendo riguardo all’interpretazione dell’art. 8

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Gravata tale pronunzia dalla soccombente 2B Costruzioni

della legge n. 590 del 1965 (e dell’art. 7 della legge n. 817
del 1971) fattane da questa Corte regolatrice, secondo cui «il
diritto di riscatto è configurabile esclusivamente in
relazione al trasferimento di fondi rustici, sì che al
riguardo, il giudice non può prescindere da un accertamento

particolare dalla verifica se il terreno oggetto di riscatto
sia ancora suscettibile di coltivazione agricola oppure abbia
perso in modo irreversibile la attitudine alla coltivazione,
ad esempio, perchè adibito a piazzali o a giardino (cfr. Cass.
10 agosto 1988, n. 4920, specie in motivazione, resa, come
nella specie, in presenza di aree pertinenziali di edificio)»
hanno ritenuto assorbente la considerazione che il
riscattante, pur a fronte delle specifiche contestazioni
dell’altra parte, non avesse fornito la prova che, all’epoca
del trasferimento (maggio 1992), in relazione al quale è stato
fatto valere il diritto di riscatto, i beni compravenduti,
anche solo per la parte ricadente nella zona E5 (di cui alla
domanda subordinata di riscatto parziale, accolta in prime
cure) fossero dei veri e propri fondi rustici ovvero
concretamente adibiti all’esercizio dell’attività di
coltivazione agricola o, comunque, suscettibili di tale
destinazione. In particolare la Corte territoriale ha
evidenziato, sulla scorta delle deposizioni testimoniali: che
solo in epoca risalente, rispetto alla data del trasferimento
(e precisamente sino alla fine anni 70- inizi anni 80) il
dante causa della convenuta, Giovanni Gattolini, aveva
destinato l’immobile, insistente sulla suddetta zona E5 ad

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della situazione di fatto alla data del trasferimento, e in

attività di vinificazione, peraltro neppure sicuramente
sussumibile nell’attività agricola, giacche non risultava che
l’attività ivi svolta venisse praticata con uve coltivate dal
Gattolini; che alla data dell’accesso del c.t.u. nel 1994 il
fabbricato era risultato privo di destinazione alcuna e di

piccola area, circostante l’edificio, completamente recintata
e adibita a giardino, di natura pertinenziale rispetto al
fabbricato.
2. Il ricorso – avuto riguardo alla data della pronuncia
della sentenza impugnata (successiva al 2 marzo 2006 e
antecedente al 4 luglio 2009) – è soggetto, in forza del
combinato disposto di cui al d.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40,
art. 27, comma 2 e della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58,
alla disciplina di cui agli artt. 360 cod. proc. civ. e segg.
come risultanti per effetto del cit. d.Lgs. n. 40 del 2006.
2.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n.5 cod.
proc. civ.) per avere la Corte di appello erroneamente
valutato le risultanze processuali.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia
violazione o falsa applicazione degli artt. 384 cod. proc.
civ., 7 legge n.817/1971 e 8 legge n.590/1965 (art. 360 nn.3 e
4 cod. proc. civ.) per avere la Corte di appello ritenuto che
un fabbricato rurale, con terreno di pertinenza, non sia
suscettibile di riscatto agrario. Il motivo si conclude con il
seguente quesito: «dica codesta Suprema Corte se sia possibile

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impianti di sorta; che, per il resto, si trattava di una

esercitare il riscatto agrario su di un fabbricato rurale, con
terreno di pertinenza, con destinazione agricola, di cui sia
stata accertata la concreta utilità per l’attività agricola
svolta dal retraente sugli altri fondi di sua proprietà».
2.3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione

sentenza impugnata ritenuto erroneamente che l’attore non
avesse assolto il proprio onere probatorio, senza tenere conto
anche del fallimento dell’onere della prova da parte del
convenuto. Il motivo si conclude con il seguente quesito:
«Dica codesta Suprema Corte se possa ritenersi provata una
circostanza, che il convenuto, che non si sia limitato ad una
generica contestazione della pretesa attorea, abbia offerto di
provare, assumendosi così il relativo onere, senza peraltro
riuscirci».
3. Il ricorso è inammissibile per inosservanza dell’art.
366 bis cod. proc. civ.. Invero, secondo i canoni elaborati da
questa Corte per la rilevanza dei quesiti, applicabili anche
dopo la formale abrogazione della norma, attesa l’univoca
volontà del legislatore di assicurare ultra-attività alla
medesima (per tutte, v. espressamente Cass. 27 gennaio 2012,
n. 1194), il quesito di diritto deve essere specifico e
riferibile alla fattispecie (cfr. Cass., Sez. Un., 5 gennaio
2007, n. 36), nonché risolutivo del punto della controversia,
tale non essendo la richiesta di declaratoria di un’astratta
affermazione di principio da parte del giudice di legittimità
(cfr. Cass., 3 agosto 2007, n. 17108).
In sostanza il quesito di diritto deve

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comprendere

(tanto

e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. per avere la

che la carenza di uno solo di tali elementi comporta
l’inammissibilità del ricorso:cfr. Cass. 30 settembre 2008, n.
24339) sia la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto
sottoposti al giudice di merito; sia la sintetica indicazione
della regola di diritto applicata dal quel giudice; sia ancora

sarebbe dovuta applicare al caso di specie. Mentre «la chiara
indicazione» (c.d. quesito di fatto) richiesta dalla seconda
parte dell’art. 366 bis cod. proc. civ. in relazione al vizio
motivazionale deve consistere in una parte del motivo che si
presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, da
cui risulti non solo «il fatto controverso» in riferimento al
quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ma
anche – se non soprattutto – «la decisività» del vizio, e
cioè le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della
motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione
(cfr. Sez. Unite, l ottobre 2007, n.20603; Cass. ord., 18
luglio 2007, n.16002; Cass. ord. 7 aprile 2008, n.8897).
Dall’applicazione dei suddetti principi consegue la
necessità che ogni censura si traduca in un distinto quesito
di diritto, ovvero, nel caso di censure per vizi di
motivazione, in un momento di sintesi, costituente un

quid

pluris rispetto alla mera illustrazione delle critiche alla
decisione impugnata, volto a circoscrivere i limiti delle
allegate incongruenze argomentative, in maniera da non
ingenerare incertezze sull’oggetto della doglianza e sulla
valutazione demandata alla Corte (confr. Cass. 10 ottobre
2007, n. 20603). Inoltre la formulazione del quesito di

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la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si

diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. deve avvenire
in modo rigoroso e preciso, evitando quesiti multipli o
cumulativi.
4. Orbene nessuno dei motivi di ricorso risponde ai canoni
sopra precisati, posto che:
il

primo

motivo,

denunciante

plurimi

vizi

motivazionali, non si conclude e neppure contiene un momento
di sintesi, necessario ai fini della

«chiara indicazione»,

tralasciando non solo di specificare la natura del vizio
dedotto (omissione, insufficienza o contraddittorietà della
motivazione), ma anche gli argomenti logici per i quali
sarebbe stata necessaria una diversa valutazione; il che, del
resto, si rivela un indice del carattere surrettizio della
censura, sostanzialmente finalizzata ad un’inammissibile
revisione del ragionamento decisorio, nonché della genericità
del motivo, siccome focalizzato sul rilievo della destinazione
rurale dell’immobile in epoca di gran lunga antecedente alla
data del trasferimento, la quale ultima è stata, invece,
ritenuta rilevante dal giudice del rinvio ai fini del
riscatto, in applicazione del principio espresso dalla
sentenza rescindente;
4.2. il secondo motivo, denunciante violazione della legge
processuale

e

sostanziale, non contiene alcun quesito di

diritto in relazione alla censura di violazione dell’art. 384
cod. proc. civ., peraltro enunciata in termini meramente
assertivi e, comunque, manifestamente infondata, atteso che la
sentenza rescindente affidava al giudice del rinvio un
accertamento di fatto, senza altro vincolo che quello,

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4.1.

obiettivamente rispettato, di avere riguardo alla situazione
esistente alla data del trasferimento; per il resto, il motivo
è corredato da un quesito privo di decisività, concretandosi
in espressioni evocanti le tesi difensive non accolte o
muovendo da premesse assertive che non trovano riscontro nella

proposizione sopra testualmente riportata, per la prima parte,
muove dal presupposto che, nella specie, si tratti di un
«fabbricato rurale, con terreno di pertinenza, con
destinazione agricola»),

con la conseguenza che essa neppure

contiene un quesito, ma una mera affermazione di principio in
relazione alla quale la conclusione è scontata, ma anche
irrilevante ai fini della decisione (la risposta positiva,
resa in astratto, non comporterebbe, infatti,

il

riconoscimento del diritto di riscatto, atteso che, in
concreto, la destinazione agricola del fabbricato in oggetto è
stato esclusa dai giudici del merito); mentre, la seconda
parte poggia sull’assunto che fosse stata accertata la
«concreta utilità

(del suddetto fabbricato)

per l’attività

agricola svolta dal retraente sugli altri_ fondi di sua
proprietà»,

postulando un requisito che – prima che essere

estraneo alla decisione impugnata – è di per sé indifferente
ai fini del riscatto, di modo che il quesito, anche per tale
parte, è assolutamente inconferente;
4.3. anche il terzo motivo è corredato da un quesito
inadeguato, giacché è formulato in maniera generica, senza una
contestualizzazione rispetto alla fattispecie concreta,
peraltro calata nell’ambito della peculiare disciplina

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decisione impugnata e, anzi, sono da essa smentite; invero la

dell’azione di riscatto che impone al retraente di fornire la
prova di tutti i requisiti soggettivi e oggettivi del
riscatto, senza che la contestazione del convenuto possa
tramutarsi in eccezione in senso sostanziale e come tale
determinare l’inversione dell’onere della prova.
In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in
dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n. 140
del 2012, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte
ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione,
liquidate in C 2.400,00 (di cui 200,00 per esborsi) oltre
accessori come per legge.
Roma 14 giugno 2013

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