Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19501 del 13/09/2010

Cassazione civile sez. I, 13/09/2010, (ud. 01/06/2010, dep. 13/09/2010), n.19501

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

T.L., con domicilio eletto in Roma, via Quintino Sella n.

41, presso l’Avv. Burragato Rosalba che la rappresenta e difende

unitamente all’Avv. Claudio Defilippi, come da procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso, per legge, dall’Avvocatura generale dello

Stato, e presso gli Uffici di questa domiciliato in Roma, Via dei

Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

per la cassazione del decreto della corte d’appello di Milano

depositato il 5 agosto 2008.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 1 giugno 2010 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

T.L. ricorre per cassazione nei confronti del decreto in epigrafe della corte d’appello che, liquidando Euro 3.580 per anni sette e mesi sei ha accolto parzialmente il suo ricorso con il quale è stata proposta domanda di riconoscimento dell’equa riparazione per violazione dei termini di ragionevole durata del processo svoltosi in primo grado avanti al tribunale di Alessandria dal maggio 1994 al novembre 2000, definito in secondo grado nell’agosto 2003 e ancora pendente in cassazione alla data di proposizione della domanda (maggio 2008).

Resiste l’Amministrazione con controricorso.

La causa è stata assegnata alla camera di consiglio in esito al deposito della relazione redatta dal Consigliere Dott. Vittorio Zanichelli con la quale sono stati ravvisati i presupposti di cui all’art. 375 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Deve preliminarmente rilevarsi l’infondatezza dell’eccezione di tardività del ricorso sollevata dalla controricorrente e fondata sull’assunto secondo cui il rilascio di copia autentica del provvedimento impugnato sarebbe idoneo ad integrare una conoscenza dello stesso equivalente alla notifica del provvedimento stesso, essendo stato affermato il contrario principio secondo cui ai fini della decorrenza del termine breve per l’impugnazione, la notificazione della sentenza, cui fa riferimento l’art. 326 c.p.c. come “dies a quo” e che come tale opera anche nei confronti del notificante, non può essere sostituita da forme di conoscenza equipollenti. Ne consegue che deve escludersi che il termine possa decorrere dal momento in cui il notificante abbia ottenuto dalla cancelleria del giudice “a quo” il rilascio della copia autentica della sentenza impugnatà (Cassazione civile, sez. 3, 17 dicembre 2004, n. 23501; conformi, tra le altre, Cassazione civile, sez. un., 9 giugno 2006, n. 13431, e, di recente, Cassazione civile, sez. 2, 10 giugno 2008, n. 15359).

Quanto al primo motivo, la censura secondo cui vi sarebbe violazione di legge laddove, come nella fattispecie, il giudice parametri il risarcimento del danno solo sul periodo eccedente quello ritenuto ragionevole e non sull’intera durata del giudizio è manifestamente infondata alla luce del principio ripetutamente affermato secondo cui “In tema di diritto ad un’equa riparazione in caso di violazione dei termine di durata ragionevole del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, l’indennizzo non deve essere correlato alla durata dell’intero processo, bensì solo al segmento temporale eccedente la durata ragionevole della vicenda processuale presupposta, che risulti in punto di fatto ingiustificato o irragionevole, in base a quanto stabilito dall’art. 2, comma 3, di detta Legge, conformemente ai principio enunciato dall’art. 111 Cost., che prevede che il giusto processo abbia comunque una durata connaturata alle sue caratteristiche concrete e peculiari, seppure contenuta entro il limite della ragionevolezza. Questo parametro di calcolo, che non tiene conto del periodo di durata “ordinario” e “ragionevole”, non esclude la complessiva attitudine della L. n. 89 del 2001 a garantire un serio ristoro per la lesione del diritto in questione, come riconosciuto dalla stessa Corte europea nella sentenza 27 marzo 2003, resa sui ricorso n. 36813/97, e non si pone, quindi, in contrasto con l’art. 6, par. 1, della Convezione europea dei diritti dell’uomo” (Sez. 1, Ordinanza n. 3716 del 14/02/2008).

Ugualmente manifestamente infondato è il secondo motivo con il quale si deduce la violazione della L. n. 89 del 2001 e della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo per non avere il giudice a quo riconosciuto anche il danno patrimoniale benchè lo stesso “sia da comprendersi nella liquidazione eventualmente anche globale dell’equo indennizzo” dal momento che se quello morale può ritenersi conseguenza usuale e quindi presumibile dell’irragionevole durata del processo quello patrimoniale deve invece essere provato non essendo normalmente presente in base all’id quod plerumque accidit.

Il ricorso deve dunque essere rigettato con le conseguenze di rito in ordine alle spese.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese che liquida in Euro 1.000, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 1 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 settembre 2010

 

 

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