Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19499 del 23/08/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 19499 Anno 2013
Presidente: FINOCCHIARO MARIO
Relatore: AMBROSIO ANNAMARIA

SENTENZA

sul ricorso 25968-2007 proposto da:
STANGA IDILIO PALMIRO, elettivamente domiciliato in
ROMA, LARGO GEN. GONZAGA DEL VODICE 2, presso lo
studio dell’avvocato PAZZAGLIA ALESSANDRO, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato
NICOLINI MASSIMO giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
1357

contro

ALBERGONI ANDREANA, elettivamente domiciliata in
ROMA, V.APPIANO N. 22, presso lo studio dell’avvocato
INFANTE LUIGI, rappresentata e difesa dagli avvocati

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Data pubblicazione: 23/08/2013

BERNOCCHI SILVANA, PIZZOCCARO GIOVANNI giusta delega
in atti;
– controricorrente nonchè contro

PROCGEN CODAPPELLO BRESCIA , PROCGEN CASSA ;

avverso la sentenza n. 726/2007 della CORTE D’APPELLO
di BRESCIA, depositata il 20/09/2007 R.G.N. 431/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/06/2013 dal Consigliere Dott.
ANNAMARIA AMBROSIO;
udito l’Avvocato ALESSANDRO PAZZAGLIA;
udito l’Avvocato SILVANA BERNOCCHI;
udito l’Avvocato GIOVANNI PIZZOCCARO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PIERFELICE PRATIS che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

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– intimati –

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Decidendo, con l’intervento del P.M., sulla domanda di
risoluzione di affitto agrario proposta da Andreana Albergoni
relativamente al fondo rustico di sua proprietà denominato
Cascina Adelaide in Comune di Montodine (CR) per la scadenza

incidentale dal resistente Idilio Palmiro Stanga e sulla
domanda riconvenzionale di pagamento di indennizzo per
migliorie proposta dal medesimo resistente in via
subordinata, l’adito Tribunale di Crema, sez. agraria, con
sentenza in data 20.12.2006/25.01.2007, rigettava la querela
di falso; dichiarava che il contratto di affitto era scaduto
alla data del 10.11.2005 e condannava lo Stanga al rilascio
immediato del fondo; rigettava inoltre la riconvenzionale.
La decisione, gravata da impugnazione da parte dello
Stanga, era confermata dalla Corte di appello di Brescia, sez.
agraria, la quale con sentenza in data 20.09.2007 rigettava
l’appello e condannava l’appellante al pagamento delle spese
processuali.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione
Idilio Palmiro Stanga, svolgendo quattro motivi.
Ha resistito Andreana Albergoni, depositando controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE

l. La Corte di appello ha motivatamente condiviso le
valutazione del Tribunale secondo cui la querela di falso
proposta dal ricorrente era meramente pretestuosa, atteso che
i quattro originali del contratto a disposizione delle parti e

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del 10.11.2005, nonché sulla querela di falso proposta in via

delle rispettive associazioni erano assolutamente uguali e che
la mancanza del timbro “Libera Associazione Agricoltori” e
della firma del rappresentante sulla copia presentata per la
registrazione, dovuto a mera “sbadataggine”, non consentiva di
ipotizzare un’alterazione dei contenuti dell’atto; ha altresì

dell’assistenza prestata allo Stanga dal dott. Spadari,
rappresentante della categoria dei coltivatori diretti, con
conseguenza validità del patto in deroga alla durata del
contratto; ha, infine, confermato la statuizione di rigetto
della domanda riconvenzionale per pretese migliorie, rilevando
che l’istanza di prova formulata in primo grado non era
ammissibile in considerazione della sua genericità.
2. Il ricorso – avuto riguardo alla data della pronuncia
della sentenza impugnata (successiva al 2 marzo 2006 e
antecedente al 4 luglio 2009) – è soggetto, in forza del
combinato disposto di cui al d.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40,
art. 27, comma 2 e della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58,
alla disciplina di cui agli artt. 360 cod. proc. civ. e segg.
come risultanti per effetto del cit. d.Lgs. n. 40 del 2006.
2.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione
o falsa applicazione dell’art. 221 cod. proc. civ. (art. 360
n.3 cod. proc. civ.) per avere i giudici del merito negato
fondatezza alla querela di falso, nonostante la non
corrispondenza della copia prodotta dalla Andreasi a quella
depositata presso l’Ufficio del Registro. Il motivo si
conclude con il seguente quesito:

«voglia la Suprema Corte

stabilire se nel decidere relativamente a una querela di

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evidenziato l’effettività formale e sostanziale

falso, proposta ai sensi dell’art. 221 c.p.c., avente ad
oggetto la genuinità e veridicità della copia di un contratto
di affitto dichiarata dalla parte che l’ha prodotta in
giudizio conforme al contratto registrato, il Giudice di
merito debba limitarsi a confrontare 11 documento impugnato

presso l’Agenzia delle Entrate ai fini ella registrazione o se
possa fare riferimento ad altre copie pure registrate del
contratto medesimo, ma difformi da quella depositata presso
predetta Agenzia. In altri termini si chiede alla Suprema
Corte di statuire se ai fini di una corretta applicazione
degli artt. 221 e 225 c.p.c. è necessario o meno che il
Giudice di merito limiti l’accertamento della conformità o
difformità del documento impugnato con quello che la stessa
parte che l’ha prodotto in giudizio ha dichiarato essere
conforme allo stesso o se possa estendere il confronto ad
altre copie del contratto medesimo».
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia
insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n.5 cod.
proc. civ.) per avere ritenuto irrilevante la circostanza
della mancata apposizione del timbro e della firma del
sindacalista sull’originale depositato presso l’Ufficio del
Registro.
2.3.

Con il terzo motivo di ricorso si denuncia

insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n.5 cod.
proc. civ.), rappresentato dalla effettiva assistenza del

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con la copia dello stesso contratto d’affitto depositato

rappresentante sindacale (per avere fatto riferimento a mere
allegazioni della appellata e non avere nel contempo ritenuto
ammissibile la prova articolata sul punto dall’appellante).
2.4. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto

proc. civ.), nonché violazione o falsa applicazione degli
artt. 244, 253, 175 cod. proc. civ. (art. 360 n.3 cod. proc.
civ.). Il motivo si conclude con il seguente quesito:

«voglia

la Suprema Corte stabilire se ai fini della ammissibilità
della prova testimoniale è necessario e sufficiente che i
fatti indicati nei capitoli siano adeguatamente sintetizzati,
mentre la precisazione dei dettagli del teste resta riservata
al sensi dell’art. 253 c.p.c. alla diligenza del Giudice e
delle parti durante l’espletamento del mezzo istruttorio,
potendo comunque il Giudice, avvalendosi dell’art. 175 c.p.c.
apportare rettifiche o integrazioni alla formula del capitolo
della prova testimoniale, per meglio datarla alle esigenze
della causa, fatto salvo il principio della disponibilità
della prova».
3. Questi i motivi del ricorso per cassazione, va
innanzitutto rilevato che da essi esula la questione di
competenza, tardivamente prospettata con la memoria prevista
dall’art. 378 cod. proc. civ. e, perciò, inammissibile. Invero
la funzione delle memorie di cui alla norma cit. è quella di
illustrare e chiarire le ragioni giustificatrici dei motivi
già debitamente enunciati nel ricorso e non già di integrarli.
Ciò premesso, il ricorso va dichiarato inammissibile per

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controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 n.5 cod.

violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ., applicabile alla
fattispecie per quanto esposto sub l, attesa l’univoca volontà
del legislatore di assicurare ultra-attività alla norma anche
dopo la sua formale abrogazione (per tutte, v. espressamente
Cass. 27 gennaio 2012, n. 1194). La norma richiede, in

dell’art.360, primo comma, cod. proc. civ., che ciascuna
censura, all’esito della sua illustrazione, si traduca in un
quesito, la cui formulazione deve essere funzionale, come
attestato dall’art. 384 cod. proc. civ., all’enunciazione di
un principio di diritto ovvero di un dictum giurisprudenziale;
mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui al n. 5
dell’art. 360 cod. proc. civ., è richiesta una illustrazione
che, pur libera da rigidità formali, si concretizzi nella
esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in
relazione al quale la motivazione si assume omessa o
contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta
insufficienza rende la motivazione inidonea a giustificare la
decisione (Cass. n. 4556/09).
3.1. Orbene, nel ricorso all’esame, il quesito a corredo
del primo motivo, denunciante violazione dell’art. 221 cod.
proc. civ., risulta al limite della comprensibilità e,
comunque, assolutamente inadeguato, in quanto muove da una
premessa assertiva se non arbitraria – e, cioè, che
l’originaria ricorrente avesse effettuato una dichiarazione di
“conformità” della copia prodotta con quella depositata presso
l’Ufficio del Registro – e, nel contempo, prescinde totalmente
dalle ragioni della decisione, nonché dall’accertamento ivi

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presenza dei motivi previsti dai numeri l, 2, 3 e 4

contenuto in ordine alla perfetta corrispondenza dei quattro
originali in possesso delle parti e dei loro rappresentanti,
derivandone l’irrilevanza dell’assenza della firma del
rappresentante di categoria nella copia depositata per la
registrazione.

congrua, in relazione alla sua funzione, richiede che risulti
individuata la discrasia tra la ratio decidendi della sentenza
impugnata, che deve essere indicata, e il diverso principio di
diritto da porre a fondamento della decisione invocata; di
conseguenza, con riferimento ad ogni punto della sentenza
investito dal motivo, la parte, dopo avere riassunto gli
aspetti di fatto rilevanti ed avere indicato il modo in cui il
giudice abbia deciso, è tenuta ad esprimere la diversa regola
di diritto sulla cui base il punto controverso andava
viceversa risolto, formulando il quesito in modo tale da
circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo
accoglimento o rigetto (confr. Cass. civ. 17 luglio 2008 n.
19769; Cass. civ. 26 marzo 2007, n. 7258), sicché la Corte,
leggendolo, possa comprendere immediatamente l’errore di
diritto che si assume compiuto dal giudice nel caso concreto e
quale, secondo il ricorrente, sarebbe stata la regola da
applicare. L’inidonea formulazione del quesito di diritto
equivale alla relativa omessa formulazione, in quanto nel
dettare una prescrizione di ordine formale la norma incide
anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al
ricorrente di fornire una sintesi originale ed autosufficiente
della censura, funzionalizzata alla formazione immediata e

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Si rammenta che una formulazione del quesito di diritto

diretta del principio di diritto e, quindi, al miglior
esercizio della funzione nomofilattica della Corte di
legittimità.
Orbene il quesito a corredo del motivo all’esame, lungi
dall’evidenziare la (diversa) regola di diritto applicabile al

del

confronto

tra

la

copia

prodotta

in

giudizio

dall’originaria ricorrente e quella depositata presso
l’Ufficio del Registro – assolutamente inconferente alla luce
della ricostruzione effettuata nella decisione impugnata e
dell’affermazione ivi contenuta della

«conformità degli

originali in possesso delle parti e del rispettivi
rappresentanti di categoria tutti recanti timbro della “Libera
associazione agricoltori’ e la firma del Dott. Spadari»

(cfr.

pag. 14 della sentenza).
2.2. Il secondo e il terzo motivo, denuncianti plurimi vizi
motivazionali, non si concludono e neppure contengono
chiara indicazione»,

«la

richiesta dalla seconda parte dell’art.

366 bis cod. proc. civ. in relazione al n. 5 dell’art. 360
cod. proc. civ., all’uopo occorrendo un momento di sintesi,
omologo del quesito di diritto, da cui risulti non solo «il
fatto controverso» in riferimento al quale la motivazione si
assume omessa o contraddittoria, ma anche – se non soprattutto
«la decisività» del vizio, e cioè le ragioni per le quali
la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a
giustificare la decisione (cfr. Sez. Unite, l ottobre 2007,
n.20603; Cass. ord., 18 luglio 2007, n.16002; Cass. ord. 7
aprile 2008, n.8897). Invero il c.d. quesito di fatto deve

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caso di specie, propone una questione di fatto qual è quella

consistere – come da questa Corte ripetutamente precisato – in
un elemento espositivo che rappresenti un quid pluris rispetto
alla mera illustrazione delle critiche alla decisione
impugnata, imponendo un contenuto specifico autonomamente e
immediatamente individuabile, volto a circoscrivere i limiti

ingenerare incertezze sull’oggetto della doglianza e sulla
valutazione demandata alla Corte (confr. Cass. 10 ottobre
2007, n. 20603).
2.3. Con riguardo al quarto motivo, contenente una duplice
censura in relazione ai nn. 3 e 5 dell’art. 360 cod. proc.
civ., si osserva che le Sezioni Unite – pur ritenendo
ammissibile, in via di principio, il ricorso per cassazione
nel quale si denunzino con un unico articolato motivo
d’impugnazione vizi di violazione di legge e di motivazione in
fatto – hanno precisato che a tali effetti occorre che il
motivo si concluda con una pluralità di quesiti, ciascuno dei
quali contenga un rinvio all’altro, al fine di individuare su
quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di
motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del
fatto (SS.UU. 31 marzo 2009, n. 7770). Invero la formulazione
del quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ.
deve avvenire in modo rigoroso e preciso, evitando quesiti
multipli o cumulativi.
Orbene, nel motivo all’esame, non è rinvenibile un apposito
quesito di fatto; mentre il quesito di diritto si risolve in
un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di
qualunque indicazione sulla questione controversa e sugli

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delle allegate incongruenze argomentative, in maniera da non

elementi di fatto sottoposti ad giudice del merito, tale da
non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel
senso voluto dal ricorrente, non potendosi desumere il quesito
dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo
(cfr. Cass. civ., Sez. Unite, 11 marzo 2008, n.6420). Peraltro

nella misura in cui pretende di rimettere in maniera
indiscriminata alla

«diligenza del Giudice»

il

compito di

apportare «rettifiche o integrazioni» si rivela anche errata,
alla luce del principio costantemente affermato da questa
Corte, secondo cui la facoltà del giudice di chiedere
chiarimenti e precisazioni ex art. 253 cod. proc. civ., di
natura esclusivamente integrativa, non può tradursi in
un’inammissibile sanatoria della genericità e delle deficienze
dell’articolazione probatoria. (Cass. 24 febbraio 2010, n.
4501; Cass. 12 febbraio 2008, n. 3280).
In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in
dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n. 140
del 2012, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte
ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione,
liquidate in C 4.200,00 (di cui C 200,00 per esborsi) oltre
accessori come per legge.
Roma 14 giugno 2013

la regola di diritto “suggerita” con il quesito in oggetto,

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