Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19499 del 04/08/2017


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Cassazione civile, sez. III, 04/08/2017, (ud. 09/05/2017, dep.04/08/2017),  n. 19499

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22285/2014 proposto da:

R.F. in qualità di Amministratore unico delle società

GARDENIA SRL e SELENE SRL, elettivamente domiciliate in ROMA, VIA

COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE PLACIDI,

rappresentati e difesi dall’avvocato MARIA GRAZIOSI giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI BOLOGNA in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ORTI DELLA FARNESINA 126, presso lo studio

dell’avvocato GIORGIO STELLA RICHTER, che lo rappresenta e difende

unitamente, agli avvocati GIULIA CARESTIA BASSI, ANTONELLA TODDE

giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

sul ricorso 17993/2015 proposto da:

GARDENIA SRL, SELENE SRL in persona dell’amministratore unico Sig.

R.F., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA COSSERIA 2, presso

lo studio dell’avvocato GIUSEPPE PLACIDI, rappresentate e difese

dall’avvocato MARIA GRAZIOSI giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

COMUNE BOLOGNA in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA ORTI DELLA FARNESINA 126, presso lo studio

dell’avvocato GIORGIO STELLA RICHTER, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati GIULIA CARESTIA BASSI, ANTONELLA TODDE

giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 133/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 19/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/05/2017 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Comune di Bologna propose opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso ad istanza delle società Gardenia s.r.l. e Selene s.r.l. per il pagamento dell’indennità di occupazione relativa ad un immobile locato dalle intimanti al Comune, in ordine al quale era sorta controversia sui tempi e sulle modalità di rilascio.

L’opponente dedusse che le locatrici avevano ingiustificatamente rifiutato la restituzione dell’immobile, mentre le opposte assunsero che il Comune era rimasto inadempiente all’obbligo di restituire l’immobile nello stato in cui l’aveva ricevuto, avendo realizzato abusi edilizi e non avendo fornito documentazione attestante l’avvenuta regolarizzazione.

Il Tribunale revocò il decreto opposto, ma accertò un credito di oltre 77.900,00 Euro a favore delle locatrici, a fronte del costo degli interventi di ripristino non effettuati dal conduttore.

Con sentenza n. 133/2014, la Corte di Appello ha rigettato il gravame delle locatrici, che avevano insistito per la condanna del Comune al pagamento dell’indennità di occupazione dal 1 ottobre 2008 al 3 dicembre 2010 (data di effettiva riconsegna dell’immobile, dopo che il 29.10.2009 era stato consegnato al sequestratario nominato ad istanza del Comune).

La sentenza è stata impugnata per cassazione dalla Gardenia s.r.l. e dalla Selene s.r.l., sulla base di tre motivi; ha resistito il Comune di Bologna con controricorso.

Avverso la sentenza di appello, le società locatrici hanno proposto anche ricorso per revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4, sul rilievo che la Corte aveva posto a fondamento della decisione un fatto pacificamente inesistente, ovvero l’avvenuta prescrizione degli abusi edilizi compiuti dal Comune di Bologna sull’immobile.

Pronunciando su tale ricorso (con sentenza n. 2461/2014), la Corte di Appello ha ritenuto sussistente l’errore, ma ne ha escluso la decisività, rigettando pertanto la richiesta di revocazione.

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione la Gardenia s.r.l. e la Selene s.r.l., affidandosi a due motivi; ad esso ha resistito il Comune con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con la prima sentenza (n. 133/2014), la Corte di Appello ha affermato che il primo giudice aveva correttamente individuato nella condotta “ondivaga e non definita” delle locatrici al momento della scadenza del contratto “il principale fattore causale determinante la mancata restituzione dell’immobile nello status quo ante ovvero secondo la richiesta poi precisata dalle locatrici”.

Ha rilevato, infatti, che il Comune aveva provveduto, in tempo utile rispetto alla data di prevista riconsegna, a sollecitare ripetutamente le locatrici a dichiarare se intendevano accettare l’immobile nello stato in cui si trovava alla fine della locazione o nello status quo ante; che, ove “la proprietà avesse manifestato sin dall’inizio le proprie intenzioni in maniera chiara e precisa (…) il Comune avrebbe potuto dar corso tempestivamente ai lavori di ripristino e alla consegna dell’immobile nella situazione ex ante visto che le difformità interne riscontrate realizzate dal conduttore, così come la mancanza di adeguamento di parte degli impianti, erano comunque rimuovibili ed in ogni caso non sanzionabili”; che “l’avere le appellanti collegato il comportamento equivoco da esse tenuto sulla restituzione del bene alla negligente condotta del Comune di Bologna, cui veniva imputato di non avere consegnato la documentazione relativa allo stato dell’immobile (per la presenza di abusi e difformità), (era) in definitiva da valutarsi quale mero pretesto per allungare i tempi previsti per la riconsegna”.

2. Con la sentenza resa nel giudizio per revocazione (n. 2461/2014), la Corte ha ritenuto sussistente il denunciato errore di fatto, ma ha escluso che esso presentasse il requisito della decisività; ha rilevato, infatti, che alla data di prevista riconsegna (30.9.2008), “i lievi abusi imputabili al Comune coesistevano (…) con quelli di maggiore gravità realizzati dalle odierne ricorrenti” e che dunque “la situazione di abusività non poteva essere addotta quale giustificazione del rifiuto di riconsegna dell’immobile sia perchè tale situazione era emersa nella sua completezza solo in corso di causa all’esito delle indagini peritali, sia perchè la proprietà non poteva dolersi di una situazione di illiceità edilizia imputabile a sè medesima, sotto i profili di maggior rilievo; ha concluso pertanto che “l’aver ritenuto prescritti gli abusi commessi dal Comune in una data antecedente a quella effettiva non (andava) ad incidere sulla motivazione nel suo complesso”.

3. Va preliminarmente disposta la riunione dei due ricorsi, contemporaneamente pendenti in sede di legittimità, dovendosi dare continuità al principio secondo cui “i ricorsi per cassazione contro la decisione di appello e contro quella che decide l’impugnazione per revocazione avverso la prima vanno riuniti in caso di contemporanea pendenza in sede di legittimità nonostante si tratti di due gravami aventi ad oggetto distinti provvedimenti, atteso che la connessione esistente tra le due pronunce giustifica l’applicazione analogica dell’art. 335 c.p.c., potendo risultare determinante sul ricorso per cassazione contro la sentenza di appello l’esito di quello riguardante la sentenza di revocazione, che deve, pertanto, essere esaminato con precedenza” (Cass. n. 16435/2016; cfr. anche Cass. S.U., n. 10933/1997, Cass. n. 1814/2004, Cass. n. 21938/2006, Cass. n. 23445/2014, Cass. n. 10534/2015 e Cass. n. 11898/2015).

Motivi del ricorso avverso la sentenza sulla revocazione n. 2461/14.

4. Il primo motivo denuncia la “violazione e falsa applicazione degli artt. 1590,1591,1375 e art. 1218 c.c., per aver ritenuto l’irregolarità edilizia della porzione locata non sufficiente a rendere legittimo il rifiuto della riconsegna da parte delle locatrici”: le ricorrenti rilevano che era pacifica la circostanza che il Comune non aveva consegnato, nè prima nè dopo la data prevista per la riconsegna, la documentazione attestante la regolarità delle opere realizzate nell’immobile ed assumono che “l’eventuale presenza di una ulteriore difformità edilizia ascrivibile alle proprietarie, non solo non (valeva) a “neutralizzare” il pacifico inadempimento dell’obbligo di riconsegna previsto dall’art. 1590 c.c., ma non (aveva) alcuna rilevanza causale nell’esaminare la legittimità del rifiuto della riconsegna”.

4.1. Il motivo è inammissibile in quanto non investe adeguatamente la ratio decidendi basata sulla non decisività dell’errore percettivo, per non avere costituito tale errore motivo essenziale e determinante della pronuncia impugnata per revocazione.

Premesso che il giudizio sulla decisività o meno dell’errore costituisce un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se sorretto da congrua motivazione, non inficiata da vizi logici e da errori di diritto (cfr. Cass. n. 25376/2006), deve rilevarsi che le ricorrenti non hanno censurato in modo specifico l’affermazione della Corte circa l’inidoneità dell’errore “ad incidere sulla motivazione nel suo complesso”, contestando – singolarmente – l’idoneità delle altre ragioni a rendere stabile la decisione nonostante il venir meno dell’argomento basato sull’erronea percezione.

5. Col secondo motivo, le ricorrenti denunciano “la violazione e falsa applicazione dell’art. 194 c.p.c., in relazione all’affermazione dell’esistenza di presunti abusi addebitabili alle proprietarie, nullità della relazione di consulenza sul punto e conseguente nullità della sentenza”: deducono che l’affermazione del c.t.u. esulava del tutto dal tenore del quesito sottopostogli, era “sfuggita ad ogni tipo di contraddittorio” e non era basata su alcun documento o verifica presso il Catasto o il Comune.

5.1. La censura, già di per sè inammissibile per il fatto di introdurre una questione nuova in quanto non affrontata nel giudizio di revocazione, è inconferente per essere estranea agli errori logico-giuridici sui quali avrebbe dovuto basarsi la contestazione della non decisività dell’errore.

Motivi del ricorso avverso la sentenza di appello n. 133/2014.

6. Il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1590,1591,1375,1362,1363 e 1366 c.c. e censura la Corte per “aver ritenuto equivoco il comportamento delle locatrici e conseguentemente illegittimo il loro rifiuto”.

Le ricorrenti ribadiscono che il loro rifiuto a ricevere la restituzione dell’immobile “era perfettamente legittimo e giustificato ai sensi dell’art. 1590, sia perchè l’immobile non si trovava (pacificamente) nello stato in cui era stato consegnato, ma ancor più perchè era viziato da abusi edilizi ancora perseguibili ed era altresì sprovvisto delle certificazioni dei nuovi impianti”; evidenziano che, pur essendo interessata, in linea di massima, a ricevere il bene con le modifiche ed innovazioni apportate dal Comune, la parte proprietaria “intendeva previamente ottenere dal conduttore tutti i documenti attestanti quali erano state le modifiche e se erano state apportate nel rispetto della legge (anche edilizia)”; si dolgono pertanto che la Corte non abbia tenuto conto di tutte le comunicazioni inviate al Comune, limitandosi a considerare “un’unica frase avulsa dal restante testo del fax 17.7.08” e “ignorando le comunicazioni 18 e 23 settembre ed il successivo comportamento delle parti”, in tal modo violando i canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362,1363 e 1366 c.c..

6.1. Il secondo motivo censura la Corte, sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, per non avere spiegato “in alcun modo perchè il mancato invio dei documenti decisivi richiesti non (valesse) a giustificare la condotta delle locatrici”.

Le ricorrenti contestano che vi fosse possibilità di valutare le condizioni dell’immobile al momento in cui il Comune ne offrì la restituzione, giacchè la situazione effettiva (anche in ordine alla sanabilità degli abusi edilizi) era emersa solo successivamente, a seguito di quanto accettato in sede di ATP, ed evidenziano pertanto “l’illogicità e la totale erroneità della sentenza sul punto”.

6.2. I due motivi – da esaminare congiuntamente – sono inammissibili.

Quanto alla violazione o falsa applicazione di norme di diritto, non sono state specificamente individuate erronee affermazioni in iure, ma risulta prospettata una lettura alternativa dei fatti (ossia del comportamento delle parti) funzionale all’affermazione della legittimità del rifiuto delle locatrici di accettare la riconsegna dell’immobile, lettura che tuttavia comporta un apprezzamento rimesso al giudice di merito e che non è consentita in sede di legittimità.

Più precisamente, pur prospettando la violazione del principio secondo cui il locatore può legittimamente rifiutare di ricevere la restituzione del bene allorchè il conduttore abbia arrecato gravi danni all’immobile locato, o compiuto sullo stesso innovazioni non consentite, tali da rendere necessario per l’esecuzione delle opere di ripristino l’esborso di somme di notevole entità, le censure sono volte ad un sostanziale riesame delle ragioni per le quali la Corte di Appello ha ritenuto che il comportamento delle locatrici fosse stato equivoco e avesse indotto il Comune a ritenere che sarebbe stata accettata la riconsegna del bene “rebus sic stantibus”.

Va escluso, peraltro, che la violazione dei criteri ermeneutici risulti deducibile laddove non si tratti di interpretare il contenuto di un atto negoziale, ma di valutare la legittimità di una condotta (nel caso, il rifiuto di ricevere la restituzione del bene).

Infine, i fatti di cui è stato lamentato l’omesso l’esame difettano della necessaria decisività in quanto non appaiono univocamente idonei a determinare un diverso esito del giudizio.

7. Col terzo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 1590 c.c., nonchè degli artt. 1362,1363,1366 e 1367 c.c., in relazione all’interpretazione degli art. 4 e 6 del contratto di locazione e, altresì, omesso esame degli obblighi derivanti dall’art. 4 del medesimo contratto), le ricorrenti censurano la sentenza per “aver ritenuto che non fosse dovuto alle locatrici il costo della tinteggiatura delle pareti di tutti i locali oggetto della locazione” ed assumono che, al momento della riconsegna, il Comune avrebbe dovuto ritinteggiare tutti i locali, in quanto la clausola – prevista dall’art. 6 del contratto che faceva salvo il “deterioramento d’uso” non poteva incidere sugli obblighi scaturenti dall’art. 4 (concernenti anche la tinteggiatura).

7.1. Al riguardo, la Corte ha ritenuto che la tinteggiatura dovesse essere eseguita per le porzioni per le quali il deterioramento superava quello d’uso (pari al 15% del totale, stando alla stima del c.t.u.) e che fossero all’uopo sufficienti due mani di tinteggiatura; ha negato, inoltre, qualunque rilevanza alla nota manoscritta aggiunta all’art. 6 (in cui si dava atto di “tinteggiature nuove a 3 mani”), ritenendo che tale nota riguardasse esclusivamente la consegna dei locali all’inizio della locazione.

7.2. Il motivo è infondato, giacchè l’interpretazione del contratto compiuta dalla Corte risulta plausibile sulla base della lettera e della ratio delle clausole 4 e 6 del contratto e non evidenzia alcuna violazione dei criteri ermeneutici richiamati, in difetto di un’espressa previsione contrattuale che impegnasse il conduttore a riconsegnare l’immobile integralmente ritinteggiato (a prescindere dallo stato d’uso).

8. Le spese di lite seguono la soccombenza.

9. Trattandosi di ricorsi proposti successivamente al 30.1.2013, sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

 

La Corte riunisce il ricorso n. 17993/2015 a quello n. 22285/2014 e, pronunciando sui ricorsi riuniti, dichiara inammissibile il primo e rigetta il secondo, condannando le ricorrenti, in solido, a rifondere alla controricorrente le spese di lite, liquidate in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 400,00 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2017

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