Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19498 del 04/08/2017


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Cassazione civile, sez. III, 04/08/2017, (ud. 27/04/2017, dep.04/08/2017),  n. 19498

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18840-2015 proposto da:

CEDISA CENTRO DIAGNOSTICO SALERNITANO SPA, in persona dell’A.U.

C.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VALADIER 39,

presso lo studio dell’avvocato VINCENZO SABIA, che la rappresenta e

difende giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

USL (OMISSIS) MERCATO S. SEVERINO IN GESTIONE LIQUIDATORIA, in

persona del Commissario Straordinario e legale rappresentante p.t.

dell’ASL SA avv. P.A., in qualità di Commissario

Liquidatore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ALESSANDRIA 208,

presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO CARDARELLI,

rappresentata e difesa dagli avvocati EMMA TORTORA, GENNARO SASSO

giusta procura spcciale in calce al ricorso principale;

– controricorrente –

e contro

SUD FACTORING SPA IN LIQUIDAZIONE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 321/2014 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 28/05/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/04/2017 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato VINCENZO SABIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La USL n. (OMISSIS) di Mercato San Severino propose opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso ad istanza della CE.DI.SA. s.p.a. e della Società Sud Factoring s.p.a. per il pagamento della somma di oltre 10,7 miliardi di Lire a fronte di prestazioni di diagnostica e di laboratorio erogate in regime di convenzionamento esterno, nel periodo maggio-dicembre 1992, in favore degli assistiti del S.S.N..

Concessa la provvisoria esecuzione del decreto, il Tribunale di Salerno emise sentenza parziale n. 2466/2004 con cui individuò le tariffe applicabili alle prestazioni ecografiche e di TAC e determinò le condizioni per il riconoscimento del rimborso, disponendo l’ulteriore corso del giudizio per la quantificazione dell’importo dovuto.

Con sentenza definitiva n. 978/2011, il Tribunale estromise dal giudizio la Sud Factoring s.p.a, accolse l’opposizione, revocando il decreto ingiuntivo e rideterminando il debito della USL in poco più di 2,4 milioni di Euro, e condannò la CE.DI.SA. al rimborso della somma di oltre 3,1 milioni di Euro riscossa indebitamente.

La Corte di Appello di Salerno ha rigettato il gravame proposto avverso le due sentenze di primo grado. In particolare, la C.A. ha ritenuto la non incidenza del giudicato esterno costituito dalla sentenza del Consiglio di Stato 5951/2008 sulla spettanza dell’aggiornamento delle tariffe pretesa dalla CE.DI.SA., ribadendo l’inapplicabilità della Delib. Giunta Regionale 31 marzo 1981, n. 2840 – che aveva recepito l’accordo del 22 febbraio 1980 statuita con la sentenza non definitiva del 2004 di primo grado; e ciò in quanto le applicate convenzioni del 22 e del 26 marzo 1980, coeve al D.P.R. del 16 maggio 1980, prevedevano l’aggiornamento dal primo gennaio 1980 (con esclusione di ecografie e tac) sì da non giustificare ulteriori aumenti secondo la predetta Delib. di giunta del 1981; ha pertanto escluso che l’annullamento giurisdizionale amministrativo della Delib. del maggio 1981, n. 3751, di revoca della Delib. n. 583 del 1981, che prevedeva l’assistenza in forma indiretta con concorso delle spese dell’assistito, potesse influire sulle suddette convenzioni e sulle relative tariffe individuate.

Ricorre per cassazione la CE.DI.SA – Centro Diagnostico Salernitano s.p.a., affidandosi a cinque motivi illustrati da successiva memoria; resiste la Gestione Liquidatoria della U.S.L. n. (OMISSIS) di Mercato San Severino.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il terzo motivo (che si esamina preliminarmente in quanto propone una questione – pregiudiziale – di giurisdizione), la ricorrente denuncia la “violazione della L. n. 1034 del 1971, art. 5 (…) e art. 37 c.p.c. sul riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo (…) in quanto la controversia non riguarda solamente il mero pagamento di corrispettivi dovuti a seguito di prestazioni sanitarie erogate in base a convenzione esterna, ma si estende al contenuto e alla validità di questa, con pronuncia del giudice di primo grado confermata in appello sull’applicabilità di una convenzione (ex INAM ed ex ENPDEP) in luogo di altra (ATACS), pronunciandosi così su una materia attribuita alla giurisdizione del giudice amministrativo”.

Rileva la ricorrente che la controversia ha avuto come oggetto preliminare la verifica della validità e dell’applicabilità di più convenzioni stipulate con enti mutualistici e che tale accertamento, pregiudiziale a quello concernente il pagamento dei corrispettivi, rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo; ciò premesso e richiamato il principio espresso da Cass., S.U. n. 24883/08 (concernente la preclusione al rilievo della questione di giurisdizione conseguente a giudicato implicito determinato da una pronuncia sul merito che non sia stata impugnata per difetto di giurisdizione), la ricorrente ne contesta la fondatezza e chiede che la Corte lo disattenda o, in difetto, che sollevi la questione di legittimità costituzionale dell’art. 37 c.p.c., in relazione agli artt. 3,24,111 e 113 c.p.c..

1.1. La censura è esaminabile da questa Sezione semplice, in quanto “per la rimessione della causa alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ai sensi dell’art. 374 c.p.c., non è sufficiente la mera prospettazione di una questione di giurisdizione se questa appare ictu oculi pretestuosa o, comunque, erronea” (Cass. n. 12561/2004; cfr. Cass. n. 3548/10) ovvero inammissibile (come nei casi esaminati da Cass. n. 17046/2013 e da Cass. n. 22097/2013).

Nello specifico, l’eccezione di difetto di giurisdizione è inammissibile in quanto formulata per la prima volta in sede di legittimità, e ciò alla luce del principio secondo cui “le sentenze di appello sono impugnabili per difetto di giurisdizione soltanto se sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito, operando la relativa preclusione anche per il giudice di legittimità” (Cass., S.U. n. 24883/2008) e tenuto conto che “il giudicato implicito sulla giurisdizione può formarsi tutte le volte che la causa sia stata decisa nel merito, con esclusione per le sole decisioni che non contengano statuizioni che implicano l’affermazione della giurisdizione” (Cass. cit.) e “le parti abbiano prestato acquiescenza, non contestando la sentenza sotto tale profilo” (Cass., S.U. n. 27531/2008).

Risulta, per altro verso, manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 37 c.p.c., giacchè – come ampiamente e condivisibilmente spiegato da Cass., S.U. n. 24883/2008 – la previsione secondo cui il difetto di giurisdizione è rilevato anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo deve essere letta alla luce dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, che implicano l’impossibilità di riesaminare la questione di giurisdizione quando sulla stessa si sia formato un giudicato implicito.

2. Il secondo motivo – da esaminare anch’esso in via prioritaria -deduce la violazione dell’art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c. e pone la questione del “contrasto fra il giudicato esterno dato dalla sentenza parziale n. 2181/96 emessa dal Tribunale di Salerno (poi posta a fondamento di altra sentenza parziale n. 2466/04 dello stesso Tribunale nel presente giudizio) ed il successivo e prevalente giudicato esterno formatosi a seguito della sentenza n. 5951/2008 emessa dalla Sezione 5^ Giurisdizionale del Consiglio di Stato (…) su una questione preliminare di preminente rilevanza decisoria afferente alla piena idoneità e legittimità del CEDISA a prestare assistenza sanitaria in forma diretta in tutte le branche dei servizi sanitari erogati, il cui pagamento veniva preteso con l’ingiunzione opposta, nonchè ad operare sulla base del convenzionamento ATACS preesistente al D.P.R. 16 maggio 1980, con estensione delle relative tariffe e delle riconosciute maggiorazioni previste dall’art. 13 dello stesso richiamato D.P.R. per le prestazioni di ecografia e TAC”.

Dedotta la “prevalenza dell’autorità di giudicato della pronuncia più recente”, la ricorrente si duole che la Corte di Appello non abbia rilevato il giudicato determinato dalla sentenza del giudice amministrativo” e censura, pertanto, la “mancata disapplicazione della sent. 2181/96 e della tariffazione in questa stabilita contra legem”, facendone derivare la “inutilizzabilità di entrambe le c.t.u.” e la necessità della loro rinnovazione.

2.1. Il motivo è inammissibile.

Le censure sono svolte in difetto di autosufficienza (cfr., da ultimo, Cass. n. 2617/2015, secondo cui “nel giudizio di legittimità, il principio della rilevabilità del giudicato esterno deve essere coordinato con l’onere di autosufficienza del ricorso, per cui la parte ricorrente che deduca il suddetto giudicato deve, a pena di inammissibilità del ricorso, riprodurre in quest’ultimo il testo della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il riassunto sintetico della stessa”) in quanto, pur essendo stati riportati alcuni passaggi della sentenza del Consiglio di Stato e – più ampiamente – della sent. n. 2181/1996 del Tribunale di Salerno, non risultano trascritti, nella misura necessaria a comprendere appieno la portata delle due sentenze, gli atti e le convenzioni in esse richiamate (nè sono state fornite indicazioni utili al loro reperimento nell’ambito degli atti processuali), cosicchè la Corte non è posta in condizione di comprendere, in base alla sola lettura del ricorso, i termini in cui la pronuncia del giudice amministrativo sarebbe intervenuta sulla materia dedotta nel presente giudizio.

Nè, per la stessa ragione, i rilievi svolti dalla ricorrente valgono a contrastare l’affermazione della Corte di merito sul fatto che l’inquadramento della questione compiuto dalla sentenza n. 2181/1996 del Tribunale di Salerno non risultava “superato” dalla pronuncia del Consiglio di Stato che “nulla (aveva) statuito circa le tariffe applicabili”. Essi si sostanziano, infatti, nel richiamo di uno stralcio della motivazione della sentenza del 2008 del Consiglio di Stato, con cui era stata annullata la Delib. n. 583 del 1981 (di approvazione di un elenco di prestazioni sanitarie non comprese nel tariffario del 1973 e di autorizzazione all’ assistenza diretta), poi revocata dalla Regione, da cui conseguirebbe l’applicabilità della Delib. n. 2840 del 1981, con cui sarebbe stato recepito l’accordo del marzo 1981 attuativo del D.P.R. 16 maggio 1980, a sua volta applicativo di altro accordo del gennaio 1980: si tratta, con tutta evidenza, di asserzioni assolutamente inidonee ad inficiare la ratio decidendi riassunta in narrativa.

3. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia “falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e contrarietà al principio generale di non contestazione”, per avere la Corte erroneamente ripartito l’onere della prova nell’ambito dell’opposizione a decreto ingiuntivo: assume che, in caso di mancata contestazione – da parte dell’opponente – dell’esecuzione della prestazione, “se questi eccepisce l’esistenza di vizi e difetti formali di alcuni documenti (impegnative) è onerato non solo dell’allegazione del fatto nell’atto introduttivo, ma anche della produzione del relativo documento contestato”; ne fa conseguire che erroneamente la Corte aveva onerato la CEDISA di integrare la documentazione prodotta a corredo del ricorso monitorio, senza considerare che la USL n. (OMISSIS) aveva assunto una “posizione difensiva incompatibile con la negazione dell’espletamento delle prestazioni, ammettendone per contro la sussistenza”; conclude che incombeva pertanto alla USL la prova delle circostanze impeditive o modificative dell’esigibilità del credito e rileva che le “impegnative pretesamente viziate (…) non erano più nella disponibilità della società opposta che le aveva debitamente trasmesse alla USL, in singoli originali”, evidenziando come risultasse “sbilanciata e lesiva del contraddittorio” la condotta del c.t.u. che, dopo aver visionato le impegnative, non aveva ritenuto di allegarle agli atti della sua relazione.

3.1. Il motivo è inconferente rispetto alla decisione impugnata che, una volta stabilito (correttamente) l’onere della prova del credito a carico dell’opposta, non ha tratto alcuna conseguenza sfavorevole per la CEDISA dalla mancata produzione delle impegnative contestate (rilevando che le stesse erano state comunque esaminate dal c.t.u., nel contraddittorio delle parti) e si è limitata a osservare che la CEDISA non aveva ragione di dolersi della mancata allegazione alla relazione di consulenza di quei documenti che proprio essa avrebbe dovuto produrre (in alternativa all’onere di chiederne l’esibizione alla USL).

4. Con il quarto motivo (che deduce la violazione degli artt. 101,115,191,194,198 c.p.c. e art. 111 Cost.), la ricorrente deduce la nullità e/o inutilizzabilità della seconda c.t.u. (e la necessità della sua rinnovazione) per avere il consulente esaminato “documentazione acquisita presso una parte processuale e senza che questa l’abbia prodotta in giudizio”.

4.1. A prescindere da ogni altra considerazione, il motivo è inammissibile in quanto non censura l’affermazione della Corte secondo cui, all’esito del deposito della relazione di consulenza e della scadenza del termine per il suo esame, il procuratore della CEDISA non aveva articolato “nessuna specifica contestazione (…) in ordine alla utilizzazione, ai fini dell’espletamento dell’incarico, delle impegnative relative alle prestazioni effettuate”; ciò comporta che, vertendosi in ipotesi di nullità relativa, la stessa – ove mai sussistente – sarebbe stata sanata a seguito del mancato tempestivo rilievo, ex art. 157 c.c., comma 2 (cfr., ex multis, Cass. n. 2251/2013).

5. Il quinto motivo denuncia “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. (…) in ragione del mancato scrutinio da parte della Corte di merito di uniformazione della fattispecie in esame alle clausole generali di correttezza e buona fede e al principio generale di divieto di abuso del diritto”: la ricorrente stigmatizza, siccome contrastante “con la più elementare regola di lealtà (…) il comportamento di contestazione avanzato da parte dell’USL (OMISSIS) che non ha tenuto conto della effettiva esecuzione delle prestazioni” ed evidenzia, in particolare, che la USL non aveva prodotto in giudizio le impegnative contestate e non le aveva neppure restituite al CEDISA per l’eventuale “regolarizzazione” e che la ricorrente era stata costretta a promuovere numerosissimi procedimenti monitori per ottenere il pagamento delle prestazioni eseguite, risultando pertanto integrati gli estremi dell’abuso del diritto a carico della USL.

5.1. A prescindere da evidenti profili di inammissibilità conseguenti alla genericità delle censure, il motivo è infondato in quanto non integra condotta contraria a correttezza e buona fede (nè – ovviamente – abuso del diritto) quella dell’ingiunto che si opponga alla pretesa avversaria sulla base di ragioni non meramente pretestuose e, anzi, risultate – all’esito del giudizio – in larga misura fondate.

6. Il controricorso è inammissibile in quanto privo di idonea procura, indicata come apposta in calce alla copia notificata del ricorso (cfr. Cass., S.U. n. 13431/2014); non deve pertanto provvedersi sulle spese di lite.

7. Trattandosi di ricorso proposto successivamente al 30.1.2013, sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

 

la Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a stesso art. 13.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2017

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