Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19497 del 23/08/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 19497 Anno 2013
Presidente: FINOCCHIARO MARIO
Relatore: CARLUCCIO GIUSEPPA

SENTENZA

sul ricorso 24995-2007 proposto da:
VITALE CARMELO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA BELSIANA 71, presso lo studio dell’avvocato
OCCHIPINTI MARIO, che lo rappresenta e difende giusta
delega in atti;
– ricorrente contro

BOLLE LUCIANO, elettivamente domiciliato in ROMA,
2,

PIAZZA MARTIRI DI BELFIORE

presso lo studio

dell’avvocato PECORONE VALERIA, rappresentato e
difeso da se’ medesimo;

1

Data pubblicazione: 23/08/2013

- controricorrente

avverso la sentenza n. 19780/2006 del TRIBUNALE di
ROMA, depositata il 28/06/2006 R.G.N. 81244/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/06/2013 dal Consigliere Dott. GIUSEPPA

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PIERFELICE PRATIS che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

2

CARLUCCIO;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Carmelo Vitale propose opposizione all’esecuzione, promossa dall’Avv.
Luciano Bolle, per crediti professionali, con atto di pignoramento presso
terzi della pensione di invalidità erogata dall’INPDAP.
Il Tribunale di Roma rigettò il ricorso e condannò l’opponente alla spese
processuali (sentenza del 28 settembre 2006).
Avverso la suddetta sentenza, Carmelo Vitale propone ricorso per

Resiste con controricorso Bolle, eccependone preliminarmente
l’inammissibilità.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. La sentenza impugnata ha ritenuto che, correttamente, il giudice
dell’esecuzione aveva assegnato al creditore il quinto della parte

di

pensione eccedente l’importo impignorabile, pari a euro 525,89,
individuato estendendo analogicamente l’importo del reddito minimo
indispensabile a far fronte alle ordinarie incombenze della vita, secondo
l’art. 38 I. n. 448 del 2001 e l’art. 39 I. n. 289 del 2002, in mancanza di
una norma ad hoc. Tanto, dopo che la Corte costituzionale (sentenza n.
506 del 2002) aveva dichiarato l’illegittimità del regime di assoluta
impignorabilità delle pensioni dei dipendenti pubblici e ne aveva stabilito
la pignorabilità nella misura di un quinto dell’importo eccedente la parte
necessaria ad assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di
vita, fermo il potere discrezionale del legislatore di determinare l’importo
della assoluta impignorabilità. Statuizione che il tribunale ha ritenuto
applicabile anche alle pensioni di invalidità, in mancanza di norme
particolari che possano giustificare una diversa disciplina.
Inoltre, ha ritenuto che correttamente il giudice dell’esecuzione aveva
escluso dalla somma impignorabile quanto (euro 257,90) trattenuto
direttamente e mensilmente per il mantenimento della figlia sulla base
della sentenza di divorzio, non derivando tale trattenuta da
pignora mento.
Infine, ha ritenuto fondata la contestazione di alcune voci del precetto,
correttamente decurtate dal giudice dell’esecuzione dall’importo
assegnato.

3

cassazione con tre motivi.

2. Con il primo motivo di ricorso si deduce omessa e insufficiente
motivazione in ordine alla dedotta impignorabilità della pensione di
invalidità.
Nella parte esplicativa si sostiene che il giudice non ha spiegato perché
alle pensioni di invalidità abbia applicato la disciplina prevista, per
effetto della sentenza della Corte costituzionale cit., per le pensioni di
vecchiaia.
(o

meno ndr) a pignoramento della pensione di invalidità percepita dal
Vitale.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Si deduce come vizio della quaestio facti una violazione che, nella stessa
prospettazione della parte nel contenuto esplicativo del motivo e nella
sintesi finale (certamente non una sintesi di difetto motivazionale) si
configura come violazione di legge, senza alcuna individuazione della
norma (delle norme) violata (e). Ne deriva l’assenza di una critica
riconducibile alla griglia individuata dal codice, in violazione degli artt.
366 n. 4 e 360 cod. proc. civ.
3. Con il secondo motivo deduce la violazione di norme di diritto in
relazione all’art. 545 quarto comma, cod. proc. civ.
Il motivo si conclude con l’interrogativo alla Corte se il giudice avrebbe
dovuto, o meno, tener conto – ai fini della individuazione del quinto
assegnato al creditore – della circostanza che un importo (euro 279,90)
era trattenuto alla fonte quale assegno di mantenimento alla figlia per
effetto della sentenza di divorzio.
Nella parte esplicativa si lamenta pure la mancata sottrazione dalla
somma eccedente il minimo vitale di altre obbligazioni contratte dal
debitore.
3.1. Il motivo è inammissibile.
Anche a non considerare, ai fini della mancanza di specificità del motivo,
la mancata corrispondenza tra parte esplicativa e parte finale, assunta
come quesito, il quesito è inadeguato.
Esso si risolve nell’interrogazione alla Corte sul rilievo da dare
all’esistenza di una trattenuta alla fonte. E’ assente ogni riferimento alla
argomentazione della sentenza impugnata, secondo la quale tale

4

Conclusivamente, individua il fatto controverso nella sottoponibilità

trattenuta non derivava da pignoramento; è assente ogni indicazione
sulle ragioni giuridiche per le quali cui questa somma dovrebbe essere
detratta da quella eccedente il minimo vitale sulla quale il quinto è
pig nora bile.
Infatti, secondo la giurisprudenza consolidata di legittimità, il quesito di
diritto deve essere formulato in modo tale da esplicitare una sintesi
logico giuridica della questione, così da consentire al giudice di
regula iuris suscettibile di applicazione

anche in casi ulteriori, rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata.
Esso deve comprendere: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di
fatto sottoposti al giudice di merito (siccome da questi ritenuti per veri,
mancando, altrimenti, la critica di pertinenza alla ratio decidendi della
sentenza impugnata) b) la sintetica indicazione della regola di diritto
applicata da quel giudice; c) la diversa regola di diritto applicabile che ad avviso del ricorrente – si sarebbe dovuta applicare al caso di specie.
Il quesito, quindi, non deve risolversi in una enunciazione di carattere
generico e astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo della
controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da
non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto
dal ricorrente; né si può desumere il quesito dal contenuto del motivo o
integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione della
norma.
4. Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art.
92, secondo comma, cod. proc. civ.
Il motivo si conclude con l’interrogativo se, essendo il ricorrente risultato
parzialmente vittorioso, poteva legittimamente essere condannato alla
totale refusione delle spese processuali.
Dalla parte esplicativa si comprende che la parziale vittoria è ricondotta
al riconoscimento della fondatezza della contestazione di alcune voci
contenute nel precetto e alla decurtazione dello stesso e alla
prospettazione della tesi che le spese processuali avrebbero dovuto
essere compensate.
4.1. Il motivo è inammissibile.

5

legittimità di enunciare una

Anche a considerare quale quesito l’interrogativo suddetto, evidente è
l’incompletezza dello stesso non essendo esplicitata la parziale vittoria e
non facendosi riferimento al potere di compensazione del giudice.
A parte la considerazione che, secondo la consolidata giurisprudenza di
legittimità, il mancato esercizio del potere di compensazione non può
essere dedotto come motivo di illegittimità della pronuncia di merito.
5. In conclusione, il ricorso è inammissibile. Le spese, liquidate sulla

soccombenza nei confronti del controricorrente.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE
dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in
favore del controricorrente, delle spese processuali del giudizio di
cassazione, che liquida in Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per spese,
oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 14 giugno 2013

Il consigliere estensore

base dei parametri vigenti di cui al d.m. n. 140 del 2012, seguono la

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