Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19497 del 04/08/2017


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Cassazione civile, sez. III, 04/08/2017, (ud. 27/04/2017, dep.04/08/2017),  n. 19497

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13305/2014 proposto da:

DBO SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ARCHIMEDE 143, presso lo

studio dell’avvocato FEDERICA PATELMO, rappresentata e difesa

dall’avvocato LORENZO COLEINE giusta procura speciale notarile;

– ricorrente –

contro

TELECOM ITALIA SPA (OMISSIS), in persona del procuratore speciale

C.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FRANCESCO

SIACCI, 38, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO GIUSSANI,

rappresentata e difesa dall’avvocato ALESSANDRO TUDOR giusta procura

speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 696/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 18/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

27/04/2017 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto;

udito l’Avvocato LORENZO COLEINE;

udito l’Avvocato ROBERTO GIUFFRIDA per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La D.B.O. s.r.l. convenne in giudizio la Telecom Italia s.r.l. per essere risarcita dei danni conseguenti alla mancata indicazione della propria denominazione sociale nell’elenco telefonico curato dalla convenuta, e ciò per quattro edizioni consecutive, dal 2002 al 2006.

Il Tribunale di Belluno condannò la Telecom al pagamento dell’importo di 27.000,00 Euro, stimato in via equitativa.

Accogliendo il gravame della Telecom, la Corte di Appello di Venezia ha rigettato la domanda della D.B.O. s.r.l., condannando l’appellata alla restituzione delle somme riscosse in esecuzione della sentenza di primo grado.

Ricorre per cassazione la D.B.O. s.r.l., affidandosi a tre motivi; resiste l’intimata a mezzo di controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La Corte di Appello ha ritenuto che non potesse “essere condiviso l’iter motivazionale che (aveva) condotto il Tribunale a procedere ad una liquidazione in termini equitativi del danno”; ha rilevato, al riguardo, che, dopo aver dato atto che “la società attrice non aveva provato la misura dei danni subiti con idonea documentazione fiscale o altrimenti”, il primo giudice “avrebbe dovuto radicalmente negare l’esistenza del danno stesso e non sopperire alla mancata ottemperanza all’onere della prova tramite l’applicazione di criteri equitativi”; ha evidenziato, infatti, che la liquidazione equitativa presuppone che sia provata l’esistenza dei danni e che la D.B.O. non aveva “prodotto alcun documento fiscale in grado dei corroborare sul piano probatorio il preteso decremento reddituale fra la non corretta inserzione della denominazione sociale negli elenchi telefonici e il prospettato pregiudizio patrimoniale ad esso correlato”, come pure non aveva dato “dimostrazione alcuna della perdita di clienti connessa all’illecito contrattuale denunciato”.

2. Il primo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e la “nullità della sentenza per omessa o insufficiente motivazione”.

La ricorrente si duole che la Corte non abbia considerato che la Telecom aveva “totalmente omesso l’inserzione “di diritto” del nominativo D.B.O. s.r.l., corrispondente alla denominazione sociale dell’abbonata, negli elenchi telefonici della Provincia di Belluno, per quattro edizioni annuali consecutive” e censura la sentenza per avere erroneamente individuato “l’inadempimento del Gestore telefonico nella non corretta menzione della denominazione sociale dell’attrice” anzichè nell’omissione totale di tale denominazione.

2.1. Il motivo è inammissibile nella parte in cui prospetta il vizio di omessa o insufficiente motivazione, non più deducibile ai sensi del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (applicabile ratione temporis); è, invece, infondato nella parte in cui denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo, in quanto la Corte ha mostrato di avere considerato il dato della mancata inserzione in elenco della denominazione sociale della società, ancorchè qualificando l’inadempimento in termini di non corretta menzione della denominazione sociale (in relazione al dato – pacifico – che in elenco risultava la dicitura “Trasporti Bribano D.B.O. s.r.l.”) anzichè di omissione totale, come prospettato dalla ricorrente.

3. Con il secondo motivo – che deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 1176,1218 e 2740 c.c. – la ricorrente evidenzia che la Telecom non aveva fornito la prova dell’asserito accordo in forza del quale l’inserzione dell’abbonata in elenco avrebbe dovuto avvenire sotto la dicitura “Trasporti Bribano D.B.O. s.r.l.” e conclude che “l’esatta applicazione dei principi di cui agli artt. 1176,1218 e 2740 c.c., avrebbe portato la Corte d’Appello al riconoscimento della sussistenza dell’obbligazione risarcitoria, quale mutamento dell’obbligazione primaria rimasta inadempiuta, e solo dopo tale statuizione, a stabilire in base al proprio apprezzamento una diversa modalità di quantificazione del danno”.

3.1. A prescindere dalla genericità delle doglianze, il motivo risulta “eccentrico” rispetto alla ratio della decisione, giacchè la Corte non ha negato che vi sia stato l’inadempimento della Telecom (cfr. a pag. 7: “a prescindere dalla responsabilità del Gestore correlata ad un inesatto inadempimento contrattuale”), astrattamente idoneo a giustificare la pretesa risarcitoria, ma ha escluso che fosse risultata provata l’esistenza del danno.

Le espressioni contenute a pag. 8 della sentenza fanno chiaramente intendere che la Corte ha ritenuto non provata la sussistenza del danno, costituente “presupposto indispensabile per una valutazione equitativa”: ha, infatti, affermato che l’attrice non aveva “prodotto alcun documento fiscale in grado di corroborare sul piano probatorio il preteso decremento reddituale fra la non corretta inserzione della denominazione sociale negli elenchi telefonici ed il prospettato pregiudizio patrimoniale ad esso correlato” e che “neppure è stata data dimostrazione alcuna della perdita di clienti connessa all’illecito contrattuale denunciato”.

Ne consegue l’inammissibilità delle censure non correlate a detta ratio.

4. Il terzo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1226 e 2056 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo.

La ricorrente rileva di aver sempre dedotto che, verificata la mancanza del proprio nominativo nell’elenco abbonati, aveva dovuto stipulare con Seat Pagine Bianche un contratto a titolo oneroso che le consentiva di apparire in elenco con la modalità del richiamo a fondo pagina; che, inoltre, aveva richiesto l’ammissione di una c.t.u. contabile per determinare la riduzione dei ricavi aziendali nel periodo in cui non era comparsa in elenco (producendo una nota del proprio contabile con indicazione dei ricavi della società negli anni dal 1997 al 2008) e aveva chiesto anche l’ammissione di prove per interpello e per testi; aggiunge che la circostanza che il mancato inserimento in elenco di una società commerciale comporti un danno costituisce una nozione di fatto che rientra nella comune esperienza, che la Corte avrebbe potuto porre a fondamento della decisione ex art. 115 c.p.c., comma 2; conclude pertanto che il giudice di appello “non avrebbe in alcun modo potuto negare in toto la richiesta risarcitoria formulata della D.B.O. s.r.l., essendo certa e provata la sussistenza del danno sotto il profilo dell’an debeatur”, e che avrebbe dovuto liquidare, oltre al danno emergente (documentato in 9.177,37 Euro per l’inserzione a pagamento), anche il lucro cessante, ricorrendo per quest’ultimo – al criterio equitativo, sulla base degli elementi già valorizzati dal primo giudice.

4.1. Il motivo è fondato nei termini che seguono.

Una volta accertato l’inesatto adempimento della Telecom, la Corte non avrebbe potuto omettere di considerare, sulla base di valutazioni che rientrano nella comune esperienza, che la mancata indicazione nell’elenco degli abbonati dell’esatta denominazione sociale della ricorrente non poteva non avere determinato, per la stessa, un’obiettiva limitazione della possibilità di essere reperita dai potenziali clienti, tanto più in considerazione del tipo di attività svolta e del fatto che, all’epoca (inizi anni 2000), non era ancora universalmente diffuso l’utilizzo della rete internet e pertanto l’elenco degli abbonati al telefono costituiva uno strumento di primaria importanza nello sviluppo dei rapporti commerciali.

Nè l’esistenza del danno può essere negata per il solo fatto rilevato dalla Corte – che non siano stati depositati documenti fiscali a dimostrazione del decremento reddituale tale omissione può certamente incidere sulla liquidazione del risarcimento, ma non consente di escludere che un danno vi sia comunque stato e che possa essere liquidato in via equitativa.

Neppure è dato comprendere come la ricorrente potesse dare la dimostrazione – richiesta dalla Corte – “della perdita di clienti connessa all’illecito contrattuale”: quello che rileva in caso di mancato o inesatto inserimento nell’elenco telefonico non è tanto la possibilità di continuare ad essere contattati da clienti già acquisiti, quanto il fatto non poter essere contattati da nuova clientela, rispetto alla quale nessuna prova della “perdita” può essere ragionevolmente pretesa, se non in termini di “possibilità”, e perdita di chances suscettibile anch’essa di valutazione equitativa.

La Corte ha, inoltre, del tutto omesso di prendere posizione sulla spesa che la D.B.O. assume di avere sostenuto per l’inserzione a pagamento, che – secondo la prospettazione della ricorrente – sarebbe conseguita all’inadempimento della Telecom e costituirebbe anch’essa posta risarcibile.

4.2. La sentenza va dunque cassata nella parte in cui ha ritenuto non provata l’esistenza di alcun danno senza avvalersi di criteri presuntivi e senza fare ricorso a nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza e, altresì, senza prendere posizione sulla spesa sostenuta dalla D.B.O. per l’inserzione a pagamento; il giudice di rinvio dovrà pertanto procedere ad un nuovo accertamento sul punto, alla luce dei rilievi sopra svolti.

5. Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese di lite.

PQM

 

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa e rinvia, anche per le spese di lite, alla Corte di Appello di Venezia, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2017

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