Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19496 del 23/08/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 19496 Anno 2013
Presidente: FINOCCHIARO MARIO
Relatore: GIACALONE GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 23475-2007 proposto da:
CASSA RISPARMIO TERNI E NARNI S.P.A. 00627710551, in
persona del Presidente e legale rappresentante Prof.
TERENZIO MALVETANI, elettivamente domiciliata in
ROMA,

VIA

NOMENTANA

dell’avvocato
2013
1354

rappresenta

323,

CALDARA
e

GIAN

difende

presso

lo

ROBERTO,

unitamente

studio
che

la

all’avvocato

ZINGARELLI LUIGI giusta delega in atti;
– ricorrente contro

BICCHI ALFIO, BORIA IVANA, elettivamente domiciliati

1

Data pubblicazione: 23/08/2013

ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’Avvocato
RANALLI GIOVANNI giusta delega in atti;
– controricorrenti

avverso la sentenza n.

249/2006 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/06/2013 dal Consigliere Dott. GIOVANNI
GIACALONE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

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di PERUGIA, depositata il 23/06/2006 R.G.N. 183/2004;

21) R.G. n. 23475/2005
IN FATTO E IN DIRITTO
1.— Con contratto del 12.11.1992, rogato dal notaio Sbrolli di
Terni, Alfio Bicchi vendeva a Ivana Boria, per il prezzo complessivo
di lire 60 milioni, tutti i diritti dei quali era titolare (pari al 50%) su
alcuni immobili siti nel comune di Amelia. La Cassa di Risparmio di

giudizio costoro dinanzi al Tribunale di Terni, chiedendo che venisse
dichiarata la simulazione assoluta o relativa dell’atto o, in subordine,
che ne venisse dichiarata l’inefficacia nei suoi confronti ai sensi
dell’art. 2901 c.c.. Sosteneva che il Bicchi, amministratore e
fideiussore del Molino Cooperativo Intercomunale di Amelia, allorché
aveva iniziato ad essere palese lo stato di insolvenza del Molino,
aveva cercato di mettere i propri beni al riparo dalle prevedibili azioni
che la Cassa di Risparmio avrebbe potuto intraprendere per conseguire
il pagamento del proprio credito, quale risultava dal decreto ingiuntivo
emesso in data 26.4.1993, per l’importo di oltre un miliardo di lire, nei
confronti dei fideiussori del Molino Cooperativo, tra i quali appunto il
Biechi. La cronologia degli avvenimenti (la cessione dei diritti sugli
immobili era avvenuto nella imminenza di ricevere la notificazione del
decreto ingiuntivo e quando ormai erano ben note le tristi vicissitudini
del Molino Cooperativo) consentiva – a dire dell’attrice – di ritenere
certo che i convenuti fossero quanto meno consapevoli del pregiudizio
che l’atto aveva arrecato alle ragioni di credito della Cassa di
Risparmio. I convenuti, costituendosi in giudizio, contestavano le
domande della banca: sia perché difettavano i presupposti dell’azione
di simulazione, come pure di quella revocatoria, dal momento che il
credito di cui al decreto ingiuntivo nei confronti del Biechi era sorto
successivamente alla stipulazione del contratto di compravendita; sia
perché con legge n. 237 del 19.7.1993 (art. I, comma I bis), di
conversione con modificazioni del D.L. n. 14911993, era stata
disposta l’assunzione da parte dello Stato delle garanzie concesse dai
soci delle cooperative agricole in favore delle cooperative stesse.
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Terni e Narni s.p.a., con citazione del 6.11.1997, conveniva in

Facevano presente che, comunque, essendo pendente l’opposizione al
decreto ingiuntivo, era necessario quanto meno sospendere il giudizio
in attesa della definizione dell’opposizione.
1.1. Il Tribunale accoglieva la domanda dell’attrice, dichiarando la
simulazione del contratto di compravendita e condannando i convenuti
al pagamento delle spese processuali, sussistendo tutti i presupposti
previsti per l’azione di simulazione. Quanto alla sussistenza del

contratto di compravendita, trovando origine nella prestazione della
fideiussione e senza che fosse necessaria la sua esigibilità; non
assumeva, pertanto, alcuna rilevanza il fatto che il decreto ingiuntivo
fosse stato nel frattempo revocato in sede di opposizione, tanto più
perché comunque gli opponenti erano stati condannati al pagamento
delle spese processuali, rimanendo così, almeno in parte, debitori
dell’istituto. Negava poi che il debito fosse da ritenersi estinto per
effetto della legge n. 237/1993 dal momento che l’intervento dello
Stato doveva essere ricondotto alla figura dell’adempimento da parte
del terzo, con la conseguenza che non avrebbe potuto assumere alcuna
rilevanza fino a che non fosse stato provato l’effettivo pagamento da
parte dello Stato, prova non fornita nel caso in esame. Quanto al
pregiudizio, esso derivava dal fatto che, con la cessione dei diritti
sugli immobili, il Bicchi aveva sostanzialmente sottratto tutti i propri
beni immobili alla garanzia del credito della Cassa di Risparmio, la
quale non avrebbe potuto più esperire utilmente un’eventuale
esecuzione; e che di tale pregiudico doveva essere consapevole anche
la Boria, acquirente, considerate le particolari circostanze ed il
rapporto tra loro intercorrente (la Boria è la suocera del Bicchi), come
pure la notorietà della situazione in cui versava il Molino Cooperativo.
2. Con la sentenza oggetto della presente impugnazione,
depositata il 29 giugno 2006, la Corte di Appello di Perugia riformava
la sentenza di primo grado e rigettava la domanda della Cassa di
Risparmio, essendo venuto meno, a seguito dell’intervento statale, il
credito della stessa nei confronti del Bicchi, con assorbimento di ogni
altro motivo di gravame.
2.1. Osservava la Corte territoriale che l’assunzione da parte dello
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credito in capo all’attrice, essa era anteriore alla stipulazione del

Stato delle garanzie prestate dai soci di cooperative agricole, prevista
dall’art. 1, comma Ibis, del D.L. 20.5.1993 n. 449, come convertito
con legge 19.7.1993 n. 237, comportava, anche senza necessità di
alcuna accettazione da parte del creditore, la liberazione di tutti i
garanti, anche di quelli che, pur rispondendo in solido con il garante la
cui posizione sia stata assunta dallo Stato, non fossero stati
espressamente menzionati nel decreto che aveva determinato

da parte dello Stato del tutto particolare, al quale non possono essere
applicate tutte le disposizioni in materia di accollo, trovando puntuale
disciplina nella legge citata e nei decreti di attuazione della stessa. In
realtà, l’art. 1, comma 1 bis, citato non prevede espressamente né la
liberazione del garante originario, né quella degli altri garanti tenuti in
solido con il medesimo, conseguenze che sono, invece, previste dai
decreti di attuazione di tale disposizione (Ministero delle Risorse
Agricole e Forestali 2.2.1994 e 2.1.1995), ma tali conseguenze devono
essere ritenute del tutto legittime, in quanto rappresentano soltanto
l’esplicitazione da parte della nonna regolamentare di criteri necessari
a soddisfare le esigenze sottese alla disposizione legislativa, essendo
stata la finalità della disposizione proprio quella di contemplare gli
opposti interessi, del creditore da un lato e dei garanti dall’altro,
ritenuti entrambi meritevoli di tutela. Inoltre, la liberazione dei garanti
è effetto dell’assunzione delle garanzie da parte dello Stato e non
dell’avvenuto pagamento delle somme eventualmente dovute a fronte
di tale garanzie, come è dato evincere dalla lettera della nonna che
tratta delle “Garanzie concesse…” e dalla considerazione che l’istituto
dell’accollo richiamato nei decreti di attuazione è del tutto diverso da
quello dell’adempimento della obbligazione da parte di un terzo. In
punto di fatto era pacifico che lo Stato (con decreto del Ministro delle
Risorse Agricole. Alimentari e Forestali del 13.11.1995, G.U. Rep.
2.1.1996) aveva determinando così la liberazione dei soci dalle
garanzie prestate, considerato che la Cassa di Risparmio si era difesa
sul punto non negando il fatto nella sua materialità, ma contestando
l’esattezza dell’interpretazione della normativa proposta dalle
appellanti e condivisa dalla Corte territoriale.
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l’assunzione della garanzia, trattandosi di una tipologia di intervento

2.2. La normativa suddetta non presenta, peraltro, sempre secondo
la Corte territoriale, i vizi d’illegittimità costituzionale prospettati
dalla Cassa di Risparmio in altri giudizi analoghi, dal momento lo
Stato, anziché procedere ad uno esproprio di un bene privato senza
indennizzo, ha, invece, apprestato, in una situazione di accertata
insolvenza del debitore principale, e dunque di sicura difficoltà per il
creditore di recuperare il credito, una soluzione idonea a soddisfare da

all’accollo delle garanzie e dunque del debito da parte dello Stato) il
proprio interesse, ma, dall’altro, quello di salvaguardare anche la
posizione dei soci garanti della cooperativa in considerazione della
ragioni per le quali erano state concesse le garanzie (di consentire lo
svolgimento del proprio lavoro, trattandosi sostanzialmente di soci
lavoratori) ed in conformità al principio di solidarietà che caratterizza
tutto l’ordinamento. Donde la manifesta infondatezza della questione
di costituzionalità prospettata.
2.3. Né si poteva sostenere che non avrebbe potuto ravvisarsi,
comunque, l’effetto liberatorio per la mancanza di prove nel presente
giudizio dell’assenza di procedimento penali a carico del Bicchi. L’art.
4 del Decreto 2.10.1995 pone a carico del Ministero l’obbligo di
accertare tale situazione prima di provvedere in merito all’istanza di
assunzione della garanzia, ma tale accertamento rimane poi assorbito
dal provvedimento che tale istanza abbia accolto, cosicché, una volta
emanato tale provvedimento, non può il creditore (fra l’altro anche per
mancanza di interesse) contestare in sede civile la mancanza di tale
accertamento.
2.4. 11 credito portato dal decreto ingiuntivo era il medesimo
credito derivante dalla fideiussione, cosicché valevano per il decreto
ingiuntivo le stesse considerazioni; il credito relativo alla condanna al
pagamento delle spese processuali nel giudizio di opposizione è
chiaramente successivo alla stipulazione del contratto di
compravendita, cosicché non valeva a legittimare l’azione di
simulazione o revocatoria.
3. – Propone ricorso per cassazione la Cassa di Risparmio, sulla
base di due motivi; resistono le controparti con controricorso e
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un lato il diritto del medesimo creditore di vedere soddisfatto (grazie

chiedono respingersi il ricorso, in quanto inammissibile o, comunque,
infondato. All’udienza del 7 maggio 2013, su concorde istanza delle
parti, la causa è stata rinviata all’udienza odierna pendendo trattative
di bonario componimento. La parte contro ricorrente ha fatto
pervenire a mezzo fax richiesta di ulteriore differimento, per bonario
componimento, alla quale la Corte ha ritenuto di non aderire stante
l’epoca del ricorso (2007).

applicazione dei principi in materia di accollo, di successione nel
credito e di regresso; violazione di legge; totale carenza di
motivazione in ordine a questione eccepita dalla parte e comunque
rilevabile d’ufficio, rilevante ai fini della decisione; erronea
interpretazione e violazione di legge con specifico riferimento alla
normativa speciale in materia di assunzione del debito di soci garanti
di cooperative agricole da parte dello Stato; mancata valutazione del
contrasto tra l’interpretazione normativa proposta e la carta
costituzionale (art. 1273 c.c., art.1299 c.c., art. 1 bis D.L. 149/93,
D.M. applicativi; art. 126 L. 388/00; artt. 3, 42, 43, 47 Costituzione;
art. 360 comma 1 n. 3 e 5 c.p.c.).
3.1.1. Sotto il profilo del vizio motivazionale, in relazione al
disposto dell’art 366 bis c.p.c., censura il fatto che la Corte di Appello
abbia omesso di valutare
a) nella sua interezza il disposto dell’art. 2 D.M. 2.2.94 del Ministero
delle Politiche Agricole,
b) la portata e gli effetti della ritenuta automatica liberazione dei socigaranti in relazione alle previsioni del contratto di fideiussione (in
particolare, di estensione della garanzia a debiti accertati
successivamente al pagamento da parte del debitore diretto, anche per
effetto di revocatorie),
c) ai fini dell’esclusione del dubbio di costituzionalità, tutte le
caratteristiche e gli effetti dell’asserito provvedimento esdebitativo,
d) la valenza e la natura della L. 388100 — art. 126, in specie -,
conseguentemente omettendo di motivare con riferimento a tali
elementi e circostanze, peraltro sottopostele espressamente dalla
banca.
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3.1. – Con il primo motivo, la ricorrente deduce erronea e falsa

3.1.2. In relazione al dedotto vizio di violazione di legge,
formulava i seguenti quesiti:
A) dica la Corte se i D.M. attuativi del D.L. 149/93 possano
introdurre o meno effetti immediatamente liberatori dei soci-garanti
nonostante la mancata esplicita previsione di tale effetto nel
menzionato D.L.;
B) dica la Corte se per effetto della promulgazione del D.L.

della L. 388/00, il debito dei soci-garanti di cooperative agricole
ammessi alle provvidenze di tali disposizioni di legge si sia
automaticamente estinto o se, per contro, tale effetto estintivo del
credito vantato nei loro confronti consegua solamente al pagamento di
esso da parte dello Stato (giusta art. 126 L. 388/00), rimettendo – in
difetto – gli atti alla Corte Costituzionale per contrasto tra le
disposizioni della L. 237/93 e della L. 288/00 e gli artt. 3, 42, 43 e 47
della Costituzione);
C) dica se sia compatibile con l’ipotesi d’immediata estinzione del
debito dei soci-garanti il fatto che le esecuzioni promosse nei loro
confronti in forza del credito ipoteticamente estinto debbano rimanere
sospese (anziché essere estinte) sino al pagamento da parte dello
Stato;
D) dica se sia conforme all’ordinamento che per effetto della L.
149/93 e 388/00 lo Stato subentri nelle ragioni dei creditori (ancorché
non ancora da esso soddisfatti) nei confronti dei garanti non soci di
cooperative agricole.
3.2. – Con il secondo motivo, la ricorrente deduce violazione e
falsa applicazione di disposizioni normative (legislative e
regolamentari) con riferimento alla L. 237193 e successivi
regolamenti applicativi; violazione e falsa applicazione di legge con
riferimento all’onere della prova; mancanza di valutazione in ordine ad
un punto essenziale della controversia prospettato dalle parti e
comunque rilevabile d’ufficio; motivazione contraddittoria (L. 237193
e relativi regolamenti; art. 360 comma 1 n. 3 e 5 c.p.c.). Assume
l’azienda di credito che un punto fondamentale ai fini
dell’accoglimento o meno delle eccezioni del Bicchi sarebbe stata la
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149/93 e della sua conversione in legge, e valutato anche il disposto

verifica della concreta possibilità, da parte sua, di avvalersi della
provvidenza statale; se cioè egli potesse, in concreto, invocare
l’accollo liberatorio (pubblico) del suo debito. In relazione a ciò
avrebbe acquisito rilievo centrale il tema del soggetto onerato di tale
prova e quello dell’acquisizione agli atti del giudizio di tale prova.
3.2.1. Quanto al dedotto vizio motivazionale, ed in relazione al
disposto dell’art. 366 bis c.p.c., censura il fatto che la Corte di Appello

a) espresso motivazione contraddittoria in relazione alla valenza
“estensiva” a tutti i soci-garanti della menzione anche di uno solo di
essi nel D.M. di concessione del beneficio ed in relazione all’asserita
esigenza che quel DM avrebbe dovuto essere preceduto dalla verifica
officiosa dell’inesistenza di procedimento penali nei confronti di tutti i
soci-garanti;
b) omesso di valutare le eccezioni e questioni in diritto sollevate dalla
Cassa, con specifico riferimento alla mancata esistenza agli atti di
copia del DM di concessione del beneficio e soprattutto di un
provvedimento che recasse menzione del Biechi,
c) omesso di valutare – e motivare — l’eccezione relativa alla mancata
dimostrazione da parte dell’interessato dell’inesistenza di condanne o
procedimenti penali, e con ciò la inapplicabilità al Biechi della
liberazione dalla garanzia
3.2.2. Quanto alle censure di violazione di legge, le stesse si
riferiscono all’interpretazione ed applicazione dei principi in tema di
onere della prova e d’individuazione di quelle concretamente acquisite
in atti ed utilizzabili ai fini della decisione ed all’interpretazione e la
valenza del D.M. 2.10.1995 del Ministero delle Risorse Agricole.
Formula, al riguardo, i seguenti quesiti:
A) dica la Corte se, al fine di poter fruire dell’accollo di cui alla L.
237/93 e successive modifiche ed integrazioni, sia necessario (o
meno) che il richiedente tale beneficio fornisca la prova della
sussistenza di tutti i requisiti, positivi e negativi, indicati dalla legge e
dei relativi D.M. applicativi;
B) dica se tale prova debba essere fornita anche mediante
tempestiva produzione in giudizio del D.M. contenente la sua
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di Perugia abbia:

indicazione nominativa;
C) dica se la verifica preliminare all’accollo delle garanzie di cui
all’ari 4 del decreto del Ministero delle Politiche Agricole del
2.10.1995 debba essere intesa come riferibile al momento
dell’effettiva erogazione delle somme da parte dello Stato e sia elusiva
della necessità che la parte interessata fornisca la prova della
inesistenza dei procedimenti penali menzionati nello stesso art. 4.

di diritto formulati in relazione ad essi, nonché dei “momenti di sintesi” in
relazione alla parti di essi che prospettano vizi motivazionali.
4.1. Infatti, l’art. 366-bis cod. proc. civ., nel testo applicabile ratione
temporis (la sentenza impugnata è stata depositata il 29.06.2006), prevede le
modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, disponendo la
declaratoria d’inammissibilità del ricorso se, in presenza dei motivi previsti
dai numeri 1, 2, 3 e 4 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., ciascuna
censura, all’esito della sua illustrazione, non si traduca in un quesito di
diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come
attestato dall’art. 384 cod. proc. civ., all’enunciazione del principio di diritto
ovvero a dicta giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare
importanza; mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui al n. 5 dell’art. 360
cod. proc. civ. (il cui oggetto riguarda il solo iter argomentativo della
decisione impugnata), è richiesta un’illustrazione che, pur libera da rigidità
formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto
controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o
contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza
rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione (Cass. n. 4556/09).
4.2. Rispetto ai motivi di ricorso, che deducono violazioni dell’art. 360
n. 3 e 4 c.p.c., i quesiti di diritto formulati si rivelano inidonei, dovendosi
ribadire che il quesito non può consistere in una domanda che si risolva in
una mera richiesta di accoglimento del motivo o — come nel cado in esame
nel’interpello della Corte in ordine alla fondatezza della censura così come
illustrata, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni illustrate nel
motivo e porre la Corte di cassazione in condizione di rispondere al quesito
con l’enunciazione di una regula iuris (principio di diritto) che sia
suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello
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4. I motivi si rivelano entrambi inammissibili, per inidoneità dei quesiti

sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata.
A titolo indicativo, si può delineare uno schema secondo il quale
sinteticamente si domanda alla Corte se, in una fattispecie quale quella
contestualmente e sommariamente descritta nel quesito (fatto), si applichi la
regola di diritto auspicata dal ricorrente in luogo di quella diversa adottata
nella sentenza impugnata (Cass. S.U., ord. n 2658/08). Una formulazione
del quesito di diritto idonea alla sua funzione richiede, pertanto, che, con

parte, dopo avere del medesimo riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed
averne indicato il modo in cui il giudice lo ha deciso, esprima la diversa
regola di diritto sulla cui base il punto controverso andrebbe viceversa
risolto, formulato in modo tale da circoscrivere la pronunzia nei limiti del
relativo accoglimento o rigetto (v. Cass., 17/7/2008 n. 19769; 26/3/2007, n.
7258). Occorre, insomma che la Corte, leggendo il solo quesito, possa
comprendere l’errore di diritto che si assume compiuto dal giudice nel caso
concreto e quale, secondo il ricorrente, sarebbe stata la regola da applicare.
4.3. – Non si rivelano, pertanto, idonei i quesiti formulati in relazione ai
due motivi del ricorso, dato che non contengono adeguati riferimenti in fatto
(circa l’oggetto della questione controversa, né circa la sintesi degli sviluppi
della controversia sullo stesso, né la precisa indicazione delle effettive
ragioni della decisione oggetto delle critiche dei ricorrenti), né espongono
chiaramente le regole di diritto che si assumono erroneamente applicate e,
quanto a quelle di cui s’invoca l’applicazione, essi si limitano ad
enunciazioni di carattere generale ed astratto che, in quanto prive di chiare e
specifiche indicazioni sul tipo della controversia e sulla sua riconducibilità
alla fattispecie in esame, non consentono di dare risposte utili a definire la
causa (Cass. S.U. 11.3.2008 n. 6420). Inoltre, il quesito di diritto non può
risolversi – come nella specie – in una tautologia o in un interrogativo
circolare, che già presuppone la risposta, ovvero in cui la risposta non
consente di risolvere il caso sub iudice (Cass. S.U. 2/12/2008 n. 28536;
Cass. 25/3/2009 n. 7197).
4.4. Inoltre, rispetto alle parti dei due motivi che deducono vizi
motivazionali, non è stato idoneamente formulato il “momento di sintesi”,
che, come da questa Corte precisato, richiede un quid pluris rispetto alla
mera illustrazione del motivo, imponendo un contenuto specifico
11

riferimento ad ogni punto della sentenza investito da motivo di ricorso la

autonomamente ed immediatamente individuabile (v. Cass., 18/7/2007, n.
16002), non potendosi intendere per tali le assunte omissioni di valutazioni
indicate al termine della trattazione dei mezzi, formulate, quindi, senza
specificare né il fatto controverso, né le ragioni che renderebbero la
motivazione inidonea a sorreggere la decisione. Manca, quindi, in relazione
a dette censure, l’adeguata sintesi, che circoscriva puntualmente i limiti
della doglianza, in modo da non ingenerare incertezze nella formulazione

20603/2007 e 16528/2008; Cass. n. 27680/2009, ord.). L’individuazione dei
denunziati vizi di motivazione risulta, perciò, impropriamente rimessa
all’attività esegetica del motivo da parte di questa Corte (Cass. n. 9470/08),
che, invece, deve essere posta in condizione di comprendere dalla sola
lettura del quesito o del momento di sintesi quale sia l’errore commesso dal
giudice di merito (Cass. n. 24255/2011).
4.5. Senza contare che, oltre all’assenza di idonei riferimenti ai fatti e
dell’adeguata enunciazione delle ragioni per le quali si censura il
ragionamento del giudice d’appello, le doglianze non colgono nel segno
anche per le seguenti considerazioni:
4.5.1 quanto al primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata contiene
un’adeguata lettura del contesto normativo applicabile: la legge n. 237 del
19 luglio 1993, all’art. 1, comma I bis, di conversione, con modificazioni,
del D.L. 149/1993, ha disposto l’assunzione, da parte dello Stato, delle
garanzie concesse dai soci di cooperative agricole a favore delle
Cooperative medesime. La norma ha, dunque, introdotto l’accollo del debito
da parte dello Stato a l’art. 2 ultimo comma del D.M. del 2 febbraio 1994,
attuativo della L. n. 237/1993, in riferimento all’accollo di detto debito,
precisa “… pertanto, ne discende che 1 ‘accollo da parte dello Stato nei
confronti di un solo socio, di garanzia rilasciata in solido da più soci di una
stessa cooperativa, determinerà l’automatica liberazione di tutti i soci
garanti”. Il legislatore, con la Legge n. 388/2000), all’art. 126, ha
ulteriormente chiarito che: “A titolo di riconoscimento di somme già
maturate e dovute per le finalità di cui all’articolo 1, comma 1-bis, del
decreto-legge 20 maggio 1993, n. 149, convertito, con modificazioni, dalla
legge 19 luglio 1993, n. 237, è autorizzata la spesa di lire 230 miliardi per
l’anno 2001, fermo restando lo stanziamento finanziario già previsto dal
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del ricorso e nella valutazione della sua ammissibilità (Cass. S.U. n.

citato articolo I, comma 1-bis. 11 pagamento da parte dello Stato delle
garanzie ammesse per le finalità di cui all’articolo 1, comma 1-bis, del
decreto-legge 20 maggio 1993, n. 149, convertito, con modificazioni, dalla
legge 19 luglio 1993, n. 237, è effettuato secondo l’ordine stabilito
nell’elenco n. l di cui al decreto del Ministero delle risorse agricole,
alimentari e forestali 18 dicembre 1995, pubblicato nel supplemento
ordinario n. I alla Gazzetta Ufficiale n. I del 2 gennaio 1996, e sulla base

agricole, alimentari e forestali, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 39 del
17 febbraio 1994, salve le successive modifiche conseguenti a pronunce
definitive in sede amministrativa o giurisdizionale. L’intervento dello Stato,
ai sensi dell’articolo 1, comma 1-bis, del decreto-legge 20 maggio 1993, n.
149, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 237, nei
confronti di soci, come individuati ai sensi del comma 2 del presente
articolo, che abbiano rilasciato garanzie, individualmente o in solido con
altri soci di una stessa cooperativa, determina la liberazione di tutti i soci
garanti”;
4.5.2. sicché, sempre conformemente a quanto ritenuto dalla Corte
territoriale, l’accollo da parte dello Stato comporta la liberazione di tutti i
soci garanti, con la conseguenza che questi perdono la qualità di soggetti
“debitori” e tale disciplina trova la sua ratio, nella necessità di bilanciare sia
gli interessi degli Istituti creditori (i quali grazie alla legge vedono garantito
il loro credito verso le Cooperative agricole cadute in liquidazione coatta
amministrativa) e dei singoli soci-garanti i quali sono stati vittime del
fallimento della Cooperative. Nel caso di specie, il D.M. 18 dicembre 1995,
pubblicato in G.U. 2 gennaio 1996, aveva approvato la graduatoria
definitiva relativa all’assunzione suddetta, ammettendo l’Antonini, quale
capofila dei garanti del Molino Cooperativo di Amelia, tra cui il Bicchi),
con conseguente definitiva liberazione di quest’ultimo nei confronti della
Cassa;
4.5.3. né la sentenza impugnata ha violato i principi in materia di
accollo, in quanto, la dichiarazione di adesione del creditore non costituisce
condizione essenziale per il perfezionamento dell’accordo. Parti necessarie
dell’accollo, infatti, sono l’accollante e l’accollato, mentre l’adesione del
creditore all’accollo o la sua dichiarazione di voler liberare il debitore
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dei criteri contenuti nel decreto 2 febbraio 1994, del Ministero delle risorse

originario non sono richieste per l’esistenza e la validità dell’accollo (Cass.
27 gennaio 1992 n. 861). Nella specie, si tratta di un particolare tipo di
accollo, espressamente “liberatorio”, disciplinato dalla legge (L. 237/93 e L
388/2000), nel quale, verificandosi un intervento diretto da parte dello Stato,
non possono trovare applicazioni tutte le disposizioni inerenti l’accollo in
contrasto con la normativa ora richiamata, avente natura speciale;
4.5.4. si rivela, infine, manifestamente infondata l’eccezione di

già ha avuto modo di esprimersi la Corte Costituzionale, la quale con
sentenza 29 dicembre 2004, n .438, ha dichiarato manifestamente infondata
la questione di legittimità costituzionale di dette disposizioni, con
riferimento agli artt. 3 e 45 della Cost. Del resto, tali norme, dl tutto
genericamente contestate nel caso in esame, si rivelano conformi al dettato
costituzionale. Esse sono, in primo luogo, volte alla tutela dei soci di società
cooperative che si trovino in stato di insolvenza. Normalmente, si tratta
infatti di soci lavoratori, che in alcun modo avrebbero le capacità di far
fronte personalmente al pagamento dei debiti assunti con istituti bancari.
Inoltre, le norme in questione sono in armonia con il dettato costituzionale,
con specifico riferimento all’art. 45 Cost., nel quale viene riconosciuta la
funzione sociale della società cooperative, promovendo e favorendone
l’incremento con i mezzi più idonei e tutelandone il carattere e le finalità;
4.5.5. il secondo motivo — con cui la Cassa censura la sentenza
impugnata nella parte in cui non sarebbe stata acquisita in giudizio la prova
relativa alla sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’accollo
liberatorio — si rivela inammissibile anche perché questa S.C. non può
fondare il proprio convincimento su circostanze diverse da quelle acquisite
al processo nelle pregresse fasi di merito (Cass., sez. un., 25 luglio 2001, n.
10089). Nella specie, è stato accertato che il Bicchi aveva diritto al
beneficio dell’accollo, in quanto ammesso il “capofila” Antonini;
4.5.6. né poteva assumere rilievo la presunta esistenza di procedimento
penale, trattandosi di elemento che — ove sussistente — avrebbe dovuto
essere valutato nell’ambito del procedimento amministrativo, che aveva
preceduto l’adozione del provvedimento richiamato, sicché il fatto stesso
dell’adozione di tale provvedimento assorbe, in questa sede giurisdizionale,
la questione della sussistenza di tutte le condizioni per l’adozione dello
14

incostituzionalità del D.L. 149/93 e della L. n. 388/2000). Sull’argomento

stesso e il creditore non avrebbe potuto contestare davanti al giudice civile
l’eventuale mancanza di detto accertamento. Pertanto, non sussisteva alcun
obbligo in capo al Bicchi di provare l’assenza di provvedimenti penali a suo
carico.
5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, tenuto
conto dell’attività difensiva svolta.
P.Q.M.

spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3.200,00=, di cui Euro
3.000,00= per compensi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 13 giugno 2013.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle

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