Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19494 del 23/08/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 19494 Anno 2013
Presidente: FINOCCHIARO MARIO
Relatore: GIACALONE GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 23769-2007 proposto da:
AGENZIA MARITTIMA FANFANI S.R.L. 00393480496, in
persona del suo Amministratore Delegato e legale
rappresentante, Sig. GUIDO FANFANI, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA SALARIA 292, presso lo
studio dell’avvocato TUTTI ARNALDO, rappresentata e
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2013
1337

difesa dagli avvocati SACCA’ ANTONINO, CANEPA LUCIANO
giusta delega in atti;
– ricorrente contro

DB DENIZ NAKLIYATI T.A.S., in persona dei sig.ri

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Data pubblicazione: 23/08/2013

BURHAN DEVAL e NECDET AKSOY n.q. di direttori,
elettivamente domiciliata ex lege in ROMA, presso la
CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata
e difesa dall’Avvocato BORGHI CARLO con studio in
LIVORNO, Via dei Fulgidi, 12, giusta procura speciale

5/10/1961;
– resistenti con procura speciale

avverso la sentenza n. 1285/2006 della CORTE
D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 13/06/2006 R.G.N.
546/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 13/06/2013 dal Consigliere Dott. GIOVANNI
GIACALONE;
udito l’Avvocato GIOVANNA SIGNORE per delega;
udito l’Avvocato CARLO BORGHI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

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tradotta ai sensi della Convenzione dell’Aja del

IN FATTO E IN DIRITTO
I. L’Agenzia Marittima G. Fanfani & c. S.n.c. (ora Fanfani S.r.l.) conveniva
in giudizio davanti al Tribunale di Livorno la compagnia di navigazione D. B.
Deniz Nakliyati T.A., per sentirla dichiarare tenuta e condannare al pagamento
della somma di USD 407.900, ovvero della somma maggiore o minore che
fosse risultata in corso di causa, a titolo di differenze sulle commissioni

della cessazione del rapporto di agenzia intercorso tra l’odierna ricorrente e la
compagnia di navigazione di nazionalità turca. Si costituiva in giudizio detta
compagnia, sostenendo di non aver mai avuto un rapporto di agenzia con
l’agenzia attrice, in quanto questa avrebbe operato in qualità di sub-agente della
Agenzia Marittima Volpe & C. di Napoli. Il Tribunale di Livorno respingeva la
domanda.
2. Con la sentenza oggetto della presente impugnazione, depositata il
13.06.2006,

la Corte di Appello di Firenze respingeva l’appello

dell’agenzia, osservando che la tesi di questa, secondo cui, pur formalmente
sub-agente, avrebbe in realtà svolto l’incarico di agente era smentita
dall’inequivoco tenore della documentazione epistolare in atti, passata in
rassegna nella motivazione dell’impugnata sentenza; dato il chiaro
significato delle espressioni ripetutamente usate dall’agenzia, doveva
considerarsi pienamente dimostrata la sua mera qualità si sub-agente,
confermata dalla sua pressante richiesta di accedere all’instaurazione di un
rapporto diretto di agenzia con la società turca. Né elementi in contrario
potevano desumersi: a. dall’intestazione delle fatture direttamente alla
società turca, perché esse erano sempre appoggiate all’agente della stessa
A. M. Volpe di Napoli, apertamente denominata “agents”; b. dal fax del
6.9.1989, perché il chiaro tenore letterale dello stesso, facente seguito alla
corrispondenza precedente passata in rassegna dalla Corte territoriale,
dimostrava che esso obbediva all’opportunità di fugare ogni residua
aspettativa circa la costituzione di un diretto rapporto di agenzia. Il fatto,
infine, che il diniego del conferimento dell’incarico di agente fosse stato
motivato dalla “insufficienza della vostra passata attività”, non significava
evidentemente riconoscimento della qualità di agente ma esprimeva solo
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percepite, mancato preavviso, indennità di fine rapporto dovuti al momento

una valutazione negativa circa l’operato trascorso della sub-agente , di cui
la preponente non era ignara.
3. L’Agenzia propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi; la
controparte ha prodotto procura.
La società ricorrente deduce:
3.1. — Violazione e falsa applicazione dell’art.290 cod. nav. in
relazione all’art.1751 c.c. ed omessa motivazione, perché, quanto al

avrebbe completamente omesso – non solo nella motivazione – sia la doverosa
valutazione delle circostanze di fatto sia il processo di sussunzione, cioè il
confronto tra la fattispecie contrattuale concreta e il tipo astrattamente definito
dalla norma per verificare se il primo corrispondesse al secondo;
3.2. — Insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso
decisivo per il giudizio, perché la Corte territoriale, oltre a non aver valutato i
documenti nel loro complesso, ma solo estrapolato espressioni usate in alcuni
telex, avrebbe contraddittoriamente motivato, perché pur avendo ammesso la
qualità di sub-agente della Fanfani e pur ritenendo assorbente tale rilievo,
avrebbe avvertito la necessità di esaminare alcuni degli ulteriori rilievi
dell’agenzia, così smentendo l’assorbenza del precedente riconoscimento,
fornendo, riguardo agli ultimi elementi, motivazioni meramente apparenti o del
tutto assenti.
3.3. – Omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso
decisivo per il giudizio, perché la Corte territoriale avrebbe
completamente omesso di analizzare e valutare fatti, documenti e prove
che la ricorrente aveva espressamente devoluto al suo esame: il
rapporto di raccomandazione che assumeva intercorso tra le parti,
nell’ambito del quale avrebbe dovuto accertarsi l’esistenza o meno di
un rapporto di agenzia ex art. 290 cod. nav.; i documenti e gli elementi
elencati alle lettere da a) ad i) (p. 26 e 27 del ricorso), su cui la Corte
avrebbe omesso qualsiasi valutazione, omettendo così di considerare i
fatti di maggior rilievo ai fini della qualificazione del contratto
intercorso tra le parti.
4. Preliminarmente, rileva la Corte che non vi è necessità di pronunciare
sull’eccezione relativa al vizio di instaurazione del contraddittorio nei
confronti della società intimata, formulata nella discussione odierna dal
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mancato riconoscimento della qualità di sub-agente, il giudice di merito

difensore della stessa, perché il ricorso è manifestamente inammissibile per
le ragioni che seguono.
Infatti, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il rispetto
del primario principio della ragionevole durata del processo, in presenza —
come nel caso di specie – di evidenti ragioni d’inammissibilità del ricorso,
impone di definire con immediatezza, attraverso la necessaria pronunzia di
inammissibilità, il ricorso stesso senza che si debba pervenire allo stesso

6826/2010; id. n. 690/2012; S. U. n.. 26373/2008), trattandosi di un’attività
processuale del tutto ininfluente sull’esito del giudizio.
5. – I motivi del ricorso si rivelano tutti inammissibili, per mancanza del
quesito di diritto in relazione al primo e dei momenti di sintesi in relazione
al secondo ed al terzo (peraltro, rispetto al terzo, avrebbe dovuto formularsi
un quesito, anziché un “momento di sintesi”, essendo stato sostanzialmente
dedotto con esso un error in procedendo, consistente nell’omessa
motivazione su specifiche doglianze in appello).
5.1. — L’art. 366-bis cod. proc. civ., nel testo applicabile ratione temporis
(la sentenza impugnata è stata depositata il 30.05.2007), prevede le modalità
di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, disponendo la
declaratoria d’inammissibilità del ricorso se, in presenza dei motivi previsti
dai numeri 1, 2, 3 e 4 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., ciascuna
censura, all’esito della sua illustrazione, non si traduca in un quesito di
diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come
attestato dall’art. 384 cod. proc. civ., all’enunciazione del principio di diritto
ovvero a dicta giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare
importanza; mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui al n. 5 dell’art. 360
cod. proc. civ. (il cui oggetto riguarda il solo iter argomentativo della
decisione impugnata), è richiesta un’illustrazione che, pur libera da rigidità
formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto
controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o
contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza
rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione (Cass. n. 4556/09).
5.2. – Orbene, nel caso in esame, rispetto al secondo motivo, che deduce
vizi motivazionali, non è stato formulato un “momento di sintesi”, che,
come da questa Corte precisato, richiede un quid pluris rispetto alla mera
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esito definitorio dopo aver integrato il contraddittorio (Cass. S. U. n.

illustrazione del motivo, imponendo un contenuto specifico autonomamente
ed immediatamente individuabile (v. Cass., 18/7/2007, n. 16002). Invero – a
parte le generiche deduzioni demolitorie di quanto affermato dalla Corte
territoriale sugli elementi esaminati dalla Corte, senza specificare perché
avrebbero dovuto esaminarsene altri o avrebbe dovuto desumersi una
diversa qualificazione del rapporto da quelli presi in esame – la censura non
contiene comunque la chiara indicazione delle ragioni per le quali la dedotta

decisione, mancando, così, l’adeguata sintesi, che circoscriva puntualmente
i limiti delle doglianze, in modo da non ingenerare incertezze nella
formulazione del ricorso e nella valutazione della sua ammissibilità (Cass.
S.U. n. 20603/2007 e 16528/2008; Cass. n. 27680/2009, ord.).
L’individuazione dei denunziati vizi di motivazione risulta, perciò,
impropriamente rimessa all’attività esegetica del motivo da parte di questa
Corte (Cass. n. 9470/08), che, invece, deve essere posta in condizione di
comprendere dalla sola lettura del quesito o del momento di sintesi quale sia
l’errore commesso dal giudice di merito (Cass. n. 24255/2011).
5.3. Rispetto al primo ed al terzo motivo di ricorso (che deduce, sia pure
impropriamente, come si è detto, violazione dell’art. 360 n. 5, anziché 4,
c.p.c., non risulta formulato alcun quesito di diritto, dovendosi – invece ribadire che esso non può consistere in una domanda che si risolva in una
mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte in
ordine alla fondatezza della censura così come illustrata, ma deve costituire
la chiave di lettura delle ragioni illustrate nel motivo e porre la Corte di
cassazione in condizione di rispondere al quesito con l’enunciazione di una
regula iuris (principio di diritto) che sia suscettibile di ricevere applicazione
in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha
pronunciato la sentenza impugnata. A titolo indicativo, si può delineare uno
schema secondo il quale sinteticamente si domanda alla Corte se, in una
fattispecie quale quella contestualmente e sommariamente descritta nel
quesito (fatto), si applichi la regola di diritto auspicata dal ricorrente in
luogo di quella diversa adottata nella sentenza impugnata (Cass. S.U., ord. n
2658/08). Una formulazione del quesito di diritto idonea alla sua funzione
richiede, pertanto, che, con riferimento ad ogni punto della sentenza
investito da motivo di ricorso la parte, dopo avere del medesimo riassunto
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insufficienza della motivazione la rendesse inidonea a sorreggere la

gli aspetti di fatto rilevanti ed averne indicato il modo in cui il giudice lo ha
deciso, esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto
controverso andrebbe viceversa risolto, formulato in modo tale da
circoscrivere la pronunzia nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (v.
Cass., 17/7/2008 n. 19769; 26/3/2007, n. 7258). La Corte, leggendo il solo
quesito, deve poter comprendere l’errore di diritto che si assume compiuto
dal giudice e quale, per il ricorrente, sarebbe stata la regola da applicare.

ricorrente nella memoria del 162.2009, neppure dalla complessiva lettura
dei motivi di ricorso appare decifrabile quali siano i fatti decisivi posti al
fondo della doglianza di contraddittorietà della motivazione di merito (vale
a dire, quanto a quest’ultima, di compresenza di affermazioni in reciproca
elisione) e di insufficienza della stessa. Da un lato, difatti, quanto al secondo
motivo, non si apprezza alcuna contraddizione tra i due citati passaggi della
sentenza impugnata, essendo entrambi concorrenti ad esprimere la
valutazione del giudice d’appello in ordine all’insussistenza della
configurabilità, nella specie, di un rapporto di agenzia.
Dall’altro, quanto al primo ed al terzo motivo, l’intero argomentare della
parte ricorrente risulta esclusivamente e semplicemente finalizzato a
sostenere una conclusione distonica rispetto a quella con congrua e corretta
motivazione fatta propria dalla Corte territoriale.
7. – Ad ogni, modo, la tesi sostenuta nella citata memoria dall’agenzia
ricorrente non può essere condivisa con riguardo all’assunto in cui in effetti
si sostanzia, essendo contraddistinta da una distorta interpretazione della
ratio che sottende – quanto alle cause ancora a esso soggette – l’art. 366-bis
c.p.c. Tale ratio è associata alle esigenze deflattive del filtro di accesso alla
Corte. Serve, cioè, a far comprendere alla Corte, dalla lettura del solo
momento di sintesi o quesito (intesi appunto come sintesi logico-giuridica
della questione sottesa dal motivo di ricorso) quale sia l’errore,
rispettivamente motivazionale o di diritto, commesso dal Giudice di merito
(Cass. n. 24255/2011, in motivazione; 22481/2010; si veda anche Cass. n.
27680/2009, ord. che ha ritenuto manifestamente infondata la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 366 bis c.p.c. ratione temporis applicabile,
in relazione agli artt. 3, 24 e 111, comma settimo, Cost.). Ciò al fine di
accentuare la limitazione del sindacato all’esame della sola critica
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6. – Senza contare che — diversamente da quanto sostenuto dalla parte

determinata dal contenuto del quesito proposto. Pertanto il quesito
dev’essere presente in ogni caso – anche in forma di quesito di fatto, o, come
si dice, di “momento” di sintesi – ove venga in questione il vizio logico della
motivazione. E non è mai integrabile dal contenuto della doglianza.
8. – Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile per violazione dell’art.
366-bis c.p.c..
9. – Le spese processuali seguono la soccombenza, tenuto conto

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3.000,00=, di cui Euro
2.800,00= per compensi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 13 giugno 2013.

dell’attività difensiva effettivamente svolta.

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