Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19494 del 23/07/2018


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 19494 Anno 2018
Presidente: ORICCHIO ANTONIO
Relatore: SCARPA ANTONIO

ORDINANZA
sul ricorso 708-2015 proposto da:
ROMEI MARCO, ROMEI MARIA LUISA, rappresentati e difesi
dall’avvocato GIUSEPPINA PANTALISSI;
– ricorrenti contro

ANTONINI MARIA GIOVANNA, ANTONELLI FERNANDO,
rappresentati e difesi dagli avvocati MICHELA BARGAGNA,
MICHELE CIONI;
– controrkorrenti –

avverso la sentenza n. 755/2014 della CORTE D’APPELLO di
FIRENZE, depositata 1’8/05/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 28/03/2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Data pubblicazione: 23/07/2018

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Marco Romei e Maria Luisa Romei, quali eredi di Rita Giorgi,
hanno proposto ricorso articolato in due motivi avverso la
sentenza n. 755/2014 della Corte d’Appello di Firenze,
depositata 1’8 maggio 2014.

Fernando Antonelli.
I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380
bis.1 c.p.c.
Pronunciando sull’appello formulato da Maria Giovanna
Antonini e Fernando Antonelli contro la sentenza resa in primo
grado dal Tribunale di Pisa in data 26 settembre 2011, la Corte
d’Appello di Firenze ha confermato la pronuncia del Tribunale,
volta a condannare Maria Giovanna Antonini e Fernando
Antonelli a demolire il terrazzino di loro proprietà realizzato in
violazione della distanza ex art. 905 c.c. dalla proprietà
dell’attrice Rita Giorgi, a spostare la ringhiera per evitare la
veduta ed a chiudere una porta di accesso, subordinando
tuttavia tale riduzione in pristino alla mancata adozione da
parte degli appellanti, entro il termine di sei mesi dalla
pubblicazione della sentenza, degli accorgimenti idonei a
precludere affaccio e veduta verso la proprietà Giorgi.
Il primo motivo del ricorso di Marco Romei e Maria Luisa Romei
deduce la “violazione ed errata applicazione delle norme di
diritto”, evidenziando come il terrazzino fosse stato realizzato
ad una distanza di cm. 92 dal confine, senza perciò osservare
l’art. 905 c.c.
Il secondo motivo di ricorso allega la “omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione su un punto decisivo”, per il
condizionamento della condanna imposto dalla Corte d’Appello
alla mancata installazione sul terrazzino di ripari fissi
Ric. 2015 n. 00708 sez. 52 – ud. 28-03-2018
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Resistono con controricorso Maria Giovanna Antonini e

dell’altezza di metri 2, in violazione della corrispondenza fra il
chiesto ed il pronunciato.
Si impone un rilievo pregiudiziale.
I ricorrenti hanno espressamente allegato che la sentenza
impugnata, pubblicata 1’8 maggio 2014, è stata loro notificata il

della stessa (la cui conformità all’originale digitale è stata
attestata dal difensore ai sensi dell’art. 16-bis, comma 9-bis,
del d.l. n. 179 del 2012), priva quindi della relata di
notificazione (cfr. art. 369, comma 1 e comma 2, n. 2, c.p.c.).
Va esclusa la possibilità di applicazione della sanzione della
improcedibilità, ex art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c., essendo
comunque la previsione di tale onere di deposito funzionale al
riscontro, da parte della Corte di cassazione – a tutela
dell’esigenza pubblicistica (e, quindi, non disponibile dalle
parti) del rispetto del vincolo della cosa giudicata formale della tempestività dell’esercizio del diritto di impugnazione, il
quale, di regola, una volta avvenuta la notificazione della
sentenza, è esercitabile soltanto con l’osservanza del
cosiddetto termine breve (cfr. anche Cass. Sez. U,
02/05/2017, n. 10648).
Nel caso in decisione, la sentenza della Corte d’Appello di
Firenze risulta notificata in data 18 luglio 2014 al procuratore
costituito di Rita Giorgi, avvocato Giuseppina Pantalissi, nel
domicilio eletto di Via Niccolini 9, Firenze, presso lo studio
dell’avvocato Romagnoli. Questa notifica segnerebbe il
riscontro della tempestività dell’impugnazione del rispetto del
termine breve di impugnazione ex art. 325, comma 2, c.p.c.,
essendo stato il ricorso notificato il 23 dicembre 2014 a fronte
della notificazione della sentenza eseguita il 18 luglio 2014. E’
stato tuttavia dedotto dai ricorrenti, e documentato mediante
Ric. 2015 n. 00708 sez. 52 – ud. 28-03-2018
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18 luglio 2014, pur limitandosi a produrre una copia autentica

produzione del certificato di morte, che Rita Giorgi fosse
deceduta il 4 agosto 2014. Verificatasi la morte della parte (o
altro evento interruttivo) dopo la notificazione della sentenza, i
termini per impugnare sono allora disciplinati esclusivamente
dall’art. 328 c.p.c., secondo cui il termine per impugnare è

rinnovata la notificazione della sentenza; qualora manchi tale
rinnovazione l’impugnazione deve essere proposta nel termine
(di un anno, per la formulazione della norma applicabile ratione
temporis)

previsto dall’art. 327 c.p.c., decorrente dalla

pubblicazione della sentenza e non dall’evento interruttivo,
prevedendo l’art. 328, comma 3, c.p.c. una proroga di sei mesi
dal giorno dell’evento per il solo caso che questo intervenga
dopo sei mesi dalla pubblicazione della sentenza (così Cass.
Sez. 1, 29/09/1999, n. 10789; Cass. Sez. 1, 22/10/2008, n.
25583). Pur in difetto di produzione di copia autentica della
sentenza impugnata e della relata di notificazione della
medesima alla parte defunta durante la decorrenza del termine
di cui all’art. 325 c.p.c., il ricorso per cassazione deve,
pertanto, egualmente ritenersi procedibile, ove risulti che la
sua notificazione si sia poi perfezionata, in mancanza di
rinnovazione della notificazione della sentenza, ai sensi dell’art.
328, comma 1, c.p.c., entro il termine previsto dall’art. 327
c.p.c., decorrente dalla pubblicazione della sentenza.
I due motivi di ricorso, che possono essere esaminati
congiuntamente per la loro connessione, si rivelano
inammissibili, in quanto entrambi non superano lo scrutinio ex
art. 360-bis, n. 1, c.p.c. (cfr. Cass. Sez. U , 21/03/2017, n.
7155). La Corte d’Appello di Firenze ha deciso la questione di
diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte e

Ric. 2015 n. 00708 sez. 52 – ud. 28-03-2018
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interrotto e il nuovo termine decorre dal giorno in cui è

l’esame del ricorso non offre elementi per mutare tale
orientamento.
Maria Giovanna Antonini e Fernando Antonelli appellarono la
sentenza del Tribunale di Pisa, che aveva disposto la parziale
demolizione del terrazzino, chiedendo che venisse adottata una

senso ha quindi deciso la Corte d’Appello, la quale ha
condizionato la demolizione alla mancata installazione di idonei
ripari fissi alti almeno 2 metri su entrambi i lati del terrazzino,
in modo da evitare affaccio e veduta.
E’ principio consolidato quello secondo cui, allorquando il
soccombente nel giudizio in tema di distanze per l’apertura di
vedute impugni la sentenza del giudice di merito che lo abbia
condannato alla demolizione dei propri balconi realizzati a
confine in violazione dell’art. 905 c.c., deducendo che fosse
sufficiente, ai fini del rispetto delle predette distanze,
l’adozione di diversi specifici accorgimenti, deve affermarsi che
l’eliminazione delle vedute abusive può essere realizzata non
solo mediante la demolizione delle porzioni immobiliari per
mezzo delle quali si realizza la violazione di legge lamentata,
ma anche attraverso la predisposizione di idonei accorgimenti
che impediscano di esercitare la veduta sul fondo altrui, come
l’arretramento del parapetto o l’apposizione di idonei pannelli
che rendano impossibile il prospicere e l’inspicere in alienum.
Perché il giudice disponga, in alternativa alla demolizione,
l’esecuzione degli idonei accorgimenti di cui si è detto, è
unicamente necessario (come avvenuto nella specie ad opera
degli appellanti) che la parte interessata chieda al giudice
stesso l’esercizio di tale potere (cfr. Cass. Sez. 2, 27/06/2011,
n. 14194; Cass. Sez. 2, 29/01/2007, n. 1804; Cass. Sez. 2,

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misura meno incisiva, quale una tamponatura laterale. In tal

27/04/2006, n. 9640; Cass. Sez. 2, 14/02/2005, n. 2959;
Cass. Sez. 2, 24/02/1996, n. 1450).
Il secondo motivo di ricorso è d’altra parte inammissibile anche
perché, nel vigore del nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5,
c.p.c., introdotto dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con

configurabile il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta
attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo
per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti,
da indicare in ricorso nel rigoroso rispetto delle previsioni degli
artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c. (Cass.
Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).
Le spese del giudizio di cassazione vengono regolate secondo
soccombenza in favore dei controricorrenti, nell’ammontare
liquidato in dispositivo
Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1,
comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha
aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al
d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento,
da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione
dichiarata inammissibile.
P. Q. M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti
in solido a rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute nel
giudizio di cassazione, che liquida in complessivi C 2.400,00, di
cui C 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori
di legge.

Ric. 2015 n. 00708 sez. 52 – ud. 28-03-2018
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modifiche nella legge 7 agosto 2012, n. 134, non è più

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del
2002, inserito dall’art. I, comma 17, della legge n. 228 del
2012, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento,
da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda
sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 marzo
2018.
Il Presidente
Dott. Antonio Oricchio

Il

DEPOSITATO IN CANCELLERIA

Roma,

23 LUG. 2018

del comma 1-bis dello stesso art. 13.

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