Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19493 del 23/07/2018


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 19493 Anno 2018
Presidente: MATERA LINA
Relatore: VARRONE LUCA

ORDINANZA

sul ricorso 4626-2014 proposto da:
PRIS PUBLIC RELATIONS & INTERNATIONAL SERVICE SRL
elettivamente domiciliato in ROMA, C.SO VITTORIO EMANUELE II
269, presso lo studio dell’avvocato ROMANO VACCARELLA, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato VITTORIO DOTTI;
– ricorrenti contro

EDIZIONI GRAFICHE MAZZUCCHELLI SRL , elettivamente domiciliato
in ROMA, PIAZZALE DELLE BELLE ARTI 6, presso lo studio
dell’avvocato BELLINO ELIO PANZA, rappresentato e difeso dagli
avvocati ANNARITA DE VITTO, MASSIMO PELUSO;
– controricorrenti –

Ric. 2014 n. 4626 sez. S2 – ud. 23-03-2018

Data pubblicazione: 23/07/2018

avverso la sentenza n. 2770/2013 della CORTE D’APPELLO di
MILANO, depositata il 05/07/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
23/03/2018 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE;
FATTI DI CAUSA

P.R.I.S., nei confronti della s.r.l. Edizioni Grafiche Mazzucchelli della
s.p.a. Grafiche Mazzucchelli e del signor Pierluigi Guerrini per
ottenere la declaratoria di illegittimità del recesso della s.r.l. Edizioni
Grafiche Mazzucchelli dal contratto di consulenza commerciale
stipulato in data 2 gennaio 2003, nonché il pagamento dei compensi
maturati, il rimborso delle spese sostenute e l’indennizzo di
€.416.527,29 per i tre anni di contratto restanti, oltre al risarcimento
dei danni – dichiarava la carenza di legittimazione passiva della s.p.a.
Grafiche Mazzucchelli, respingeva le domande proposte nei confronti
degli altri due convenuti e condannava l’attrice alle spese di lite.
2. Avverso tale sentenza la società soccombente proponeva
appello nei confronti della sola s.r.l. Edizioni Grafiche Mazzucchelli,
chiedendo, in accoglimento delle proprie domande, la riforma della
sentenza, e la rifusione delle spese del doppio grado.
3.

La Corte d’Appello di Milano respingeva l’appello e

confermava la sentenza del Tribunale.
Il giudice del gravame richiamava il contenuto della clausola
numero 8 del contratto intercorso tra le parti secondo cui

:«Il

presente contratto avrà durata di 3 anni, dalla data del 2 gennaio
2003, sarà automaticamente rinnovato per analogo periodo, salvo
disdetta per colpa grave da comunicarsi a mezzo lettera
raccomandata da consegnare alle poste almeno sei mesi prima della
scadenza.

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1. Il Tribunale di Milano – nella causa promossa dalla s.r.l.

Con lettera del 12 maggio 2005 la società convenuta comunicava
la formale disdetta dal contratto a partire dal 3 gennaio 2006, data di
scadenza del triennio.
3.1 La Corte d’Appello riteneva infondata la tesi dell’appellante
secondo cui la suddetta clausola prevedeva che la disdetta del

grave e, in assenza di tale colpa grave, la disdetta doveva ritenersi
priva di qualsiasi validità ed il contratto doveva ritenersi rinnovato per
il triennio successivo.
Secondo i giudici del gravame dovevano condividersi le
argomentazioni spese dalla sentenza di primo grado in relazione
all’interpretazione del contratto non limitata al senso letterale delle
parole, non essendo chiara l’effettiva volontà delle parti.
3.2 La clausola n.8 lungi dal rivelare con assoluta evidenza che la
volontà comune delle parti fosse quella riferita dall’appellante
viceversa doveva interpretarsi nel senso opposto. Altrimenti, anche
nel caso di colpa grave sussistente sin dall’inizio della vigenza del
contratto, la committente sarebbe stata obbligata a subirne
l’esecuzione sino al 2 gennaio 2006 e, nel caso di colpa grave
commessa dopo l’inizio del sesto mese antecedente a tale data, fino
al 2 gennaio 2009.
La clausola, pertanto/ non poteva interpretarsi nel senso che la srl
GM avesse inteso autorizzare l’appellante ad avere impunemente per
anni comportamenti gravemente colposi.
Inoltre la facoltà di recedere dal contratto per gravi
inadempienze è già prevista dalla legge e dunque la clausola non
avrebbe avuto alcun significato. Si trattava infatti di una disdetta e
non di un recesso e risultava chiara la volontà delle parti di stabilire la
durata del contratto in tre anni con la possibilità di disdetta prima
della scadenza.

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committente sarebbe stata possibile solo in presenza di una colpa

3.3 Anche la facoltà di recesso subordinata ad una colpa grave
non corredata da alcuna individuazione dei comportamenti specifici o
delle modalità di contestazione sarebbe stata talmente generica da
essere, comunque, lasciata alla discrezionalità del recedente in
quanto non suscettibile di verifica e controllo in base a criteri

In conclusione essendo chiarissime, logiche coerenti le previsioni
della clausola quanto a scadenza del contratto, disdetta anticipata di
sei mesi rispetto alla prima scadenza e proroga automatica per un
altro triennio in difetto di tempestiva disdetta, doveva escludersi che
dall’inciso in discussione potesse con sufficiente chiarezza desumersi
la comune volontà delle parti di condizionare la disdetta alla colpa
grave.
La Corte d’Appello rilevava che i successivi i motivi di appello
relativi alle altre domande non dipendenti all’interpretazione della
clausola n. 8 del contratto erano inammissibili in quanto generici.
4. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per
Cassazione la Public relation and International Service SRL, in
persona del legale rappresentante Roberto Albini, sulla base di 4
motivi di ricorso.
5 Si è costituita con controricorso s.r.l. Edizioni Grafiche
Mazzucchelli in persona del legale rappresentante Pietro Gherardi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato decisione su
domanda basata su causa petendi diversa da quella fatta valere dalla
parte, violazione dell’articolo 112 c.p.c., in relazione all’articolo 360,
n. 4, c.p.c.
Secondo la società ricorrente la sentenza impugnata si basava su
una ragione non coincidente con quella allegata. Infatti l’attrice non
aveva sostenuto che, in caso di colpa grave, il contratto dovesse

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predeterminati dalla comune volontà dei contraenti.

comunque proseguire e che, anche laddove la colpa fosse stata
commessa dopo l’inizio del sesto mese antecedente la scadenza
triennale, fosse esclusa qualsiasi possibilità per il committente di far
cessare il rapporto.
La ricorrente aveva sostenuto che la clausola dovesse essere

presenza di colpa grave e, dunque, i giudici di merito avrebbero
arbitrariamente esaminato una domanda diversa da quella proposta
dalla parte basata su una causa petendi non coincidente con quella
allegata dall’attrice contravvenendo il disposto dell’articolo 112 c.p.c.
2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa
applicazione degli articoli 1453 – 1460 – 2224 – 2227 – 1363 del
codice civile, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.
Secondo il ricorrente la sentenza impugnata si discosta dalla
portata letterale della clausola n. 8 del contratto, incorrendo in
evidenti errori di diritto in quanto il contratto era disciplinato dagli
articoli 2222 e seguenti c.c. (contratto d’opera) esplicitamente
richiamati dalle parti senza perciò alcuna deroga a detta disciplina.
Dunque doveva applicarsi anche l’articolo 2224 c.c. che consente al
committente, in qualsiasi momento dell’esecuzione del contratto, di
recedere in caso di persistente inadempimento del prestatore d’opera
e, dunque, non solo in caso di colpa grave ma di qualsivoglia condotta
inadempiente. Parimenti era applicabile al contratto anche la generale
previsione di cui all’art. 1453 c.c. con possibilità per il committente di
risolvere il contratto per inadempimento e, ancor più semplicemente,
il committente poteva avvalersi delle eccezione di inadempimento ex
articolo 1460 c.c., sospendendo i pagamenti.
Alla luce di tali rilievi risulterebbe evidente l’infondatezza
dell’assunto del giudice di merito secondo il quale il contratto nei
termini convenuti produceva l’effetto di impedire al committente

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interpretata nel senso che il recesso fosse ammesso soltanto in

legittime reazioni e tutele a fronte di condotte colpose, costringendolo
a mantenere in vita il rapporto nonostante la colpa grave del
prestatore d’opera.
3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa
applicazione degli articoli 1176, 1322, 1353 c.c. in relazione

Secondo il ricorrente la clausola in questione riguardava la
possibilità di limitare la facoltà di disdetta in un rapporto tacitamente
rinnovabile, condizionandola a determinati presupposti; che la
disdetta possa essere subordinata alla ricorrenza di particolari
condizioni è pacificamente ammesso (ad es. in materia di locazione) e
negare questa possibilità costituirebbe una palese violazione del
principio di autonomia negoziale ex art. 1322 c.c. anche con
riferimento alla possibilità di apporre una condizione al negozio ex
articolo 1353 c.c.
Dunque la condotta colpevole di una delle parti può essere il
necessario presupposto perché l’altra parte eserciti la facoltà di
disdetta, al fine di impedire il tacito rinnovo di un contratto. Si tratta
di una clausola del tutto lecita, essendo espressione dell’autonomia
delle parti, restando oltretutto in capo al committente tutte le tutele
offerte dagli altri istituti come detto con riferimento al secondo
motivo.
Anche l’affermazione secondo la quale il ricorso alla semplice
nozione di colpa grave nell’ambito di un regolamento contrattuale
costituisce criterio di impossibile applicazione, con conseguente
inefficacia della previsione, si porrebbe in aperto contrasto con le
regole dell’autonomia contrattuale e con i criteri di valutazione del
comportamento diligente del debitore.

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all’articolo 360, n. 3, c.p.c.

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa
applicazione degli articoli 1362, 1363, 1366, 1367, 1371 in relazione
all’art. 360, n. 3, c.p.c.
Il ricorrente ritiene violate le regole di ermeneutica contrattuale,
in particolare quella che impone di applicare in via prioritaria e

consentita una interpretazione ablativa di una parte delle stesse.
In conclusione nessuna contrarietà a buona fede ad equità si
profilava in relazione all’applicazione della clausola in oggetto, avendo
riguardo al complesso delle norme di legge richiamate e applicabili
alla fattispecie.
4.1 II quarto motivo di ricorso è fondato e il suo accoglimento
determina l’assorbimento degli altri.
Con

riguardo all’interpretazione del contenuto di

una

convenzione negoziale adottata dal giudice di merito costituisce
principio di diritto del tutto consolidato presso questa Corte quello
secondo cui l’invocato sindacato di legittimità non possa avere ad
oggetto la ricostruzione della volontà delle parti (Cass. n. 7927/2017,
in motiv.), essendo l’indagine ermeneutica in fatto, riservata al
giudice di merito, sicché l’interpretazione del contratto può essere
censurata in sede di legittimità solo per inadeguatezza della
motivazione, nei limiti in cui, trattandosi di sentenza depositata dopo
1’11/9/2012, è sindacabile ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., ovvero
per violazione delle relative regole di interpretazione (Cass. n.
2465/2015, in motiv.; Cass. n. 7927/2017, in motiv.).
Ciò premesso in tema di interpretazione del contratto, risponde
ad orientamento consolidato che, ai fini della ricerca della comune
intenzione dei contraenti, il primo e principale strumento è
rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni
utilizzate (Cass. n. 7927/2017, in motiv.).

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prevalente il senso letterale delle parole, mentre non sarebbe

Secondo la giurisprudenza di legittimità, tuttavia, «In materia
di interpretazione del contratto, sebbene i criteri ermeneutici di cui
agli artt. 1362 e ss. c.c. siano governati da un principio
di gerarchia interna in forza del quale i canoni strettamente
interpretativi prevalgono su quelli interpretativi-integrativi, tanto da

risulti da sola sufficiente a rendere palese la “comune intenzione delle
parti stipulanti”, la necessità di ricostruire quest’ultima senza
“limitarsi al senso letterale delle parole”, ma avendo riguardo al
“comportamento complessivo” dei contraenti comporta che il dato
testuale del contratto, pur rivestendo un rilievo centrale, non sia
necessariamente decisivo ai fini della ricostruzione dell’accordo,
giacché il significato delle dichiarazioni negoziali non è un prius, ma
l’esito di un processo interpretativo che non può arrestarsi al
tenore letterale delle parole, ma deve considerare tutti gli ulteriori
elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore»
Sez. 3, Sentenza n. 14432 del 15/07/2016.
4.2 A questo proposito la Corte d’Appello correttamente ha
ritenuto che l’interpretazione letterale da sola non fosse sufficiente a
ricostruire la reale volontà delle parti, in quanto l’espressione della
clausola “per colpa grave” cui era subordinata la disdetta dal
contratto al termine dei tre anni era ambigua e andava riempita di
contenuto mediante il ricorso anche agli altri criteri ermeneutici che
regolano l’interpretazione del contratto.
Dunque, nel caso di specie, era consentita un’interpretazione
adeguatrice dell’espressione “per colpa grave”, che ne chiarisse il
senso nei termini di una condizione oggettiva o soggettiva per
l’esercizio della facoltà di non rinnovare il contratto per ulteriori tre
anni.

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escluderne la concreta operatività quando l’applicazione dei primi

4.3 L’errore in cui è incorsa la Corte d’Appello, invece,è stato
quello di ritenere che la suddetta espressione non avesse alcun
significato e che la facoltà di disdetta fosse liberamente esercitabile
dalla s.r.l. Edizioni Grafiche Mazzucchelli.
Questa interpretazione del contratto ha sostanzialmente privato

formulazione della clausola di subordinare il mancato rinnovo del
contratto alla sussistenza di determinate condizioni oggettive o
soggettive da ricostruirsi alla luce del complessivo contenuto
negoziale.
Ciò che risulta violata è la regola che impone di dare sia al
contratto sia alle singole clausole di esso un significato che gli
consenta di avere qualche effetto anziché un significato che non
consente loro di averne alcuno (articolo 1367 c.c.).
L’errore della Corte d’Appello non è stato quello di ricorrere a
criteri ulteriori rispetto a quello del senso letterale, perché come si è
detto gli uni possono soccorrere ed integrare l’altro, bensì quello di
giungere ad una interpretazione totalmente ablativa del significato
proprio della clausola contrattuale.
Questa Corte ha più volte affermato che: «In tema di
interpretazione del contratto, il criterio ermeneutico contenuto
nell’art. 1367 cod. civ. – secondo il quale, nel dubbio, il contratto o le
singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere
qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero
alcuno – va inteso non già nel senso che è sufficiente il
conseguimento di qualsiasi effetto utile per una clausola, per
legittimarne una qualsivoglia interpretazione pur contraria alle
locuzioni impiegate dai contraenti, ma che, nei casi dubbi, tra possibili
interpretazioni, deve tenersi conto degli inconvenienti cui può portare
una (o più) di esse e perciò evitando di adottare una soluzione che la

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di ogni significato la volontà chiaramente espressa dalle parti nella

renda

improduttiva

di

effetti».

Sez. 1, Sentenza n. 19994 del 07/10/2004.
4.4 In conclusione,quando il senso del contratto o della clausola
sia rimasto oscuro o ambiguo nonostante l’utilizzo dei criteri letterale,
logico e sistematico di indagine /deve trovare applicazione il principio

clausola, previsto dall’art. 1367 cod. civ.. Ne consegue che il giudice
di merito, una volta ritenute oscure ed inidonee a consentire
un’inequivoca interpretazione le espressioni contenute nel contratto,
deve comunque accertare se le contrapposte versioni delle parti siano
corredate da buona fede, valutandone il comportamento complessivo,
nonché verificare quali effetti la clausola produca. Detto criterio sussidiario rispetto al principale criterio di cui all’art. 1362, primo
comma, cod. civ. – condivide il limite comune agli altri criteri
sussidiari, secondo cui la conservazione del contratto, cui esso è
rivolto, non può essere autorizzata attraverso una interpretazione
sostitutiva della volontà delle parti, dovendo in tal caso il giudice
evitarla e dichiarare, ove ne ricorrano gli estremi, la nullità del
contratto Sez. 2, Sentenza n. 28357 del 22/12/2011.
5. il ricorso va accolto limitatamente al quarto motivo, assorbiti
gli altri, e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio ad altra
sezione della Corte d’Appello di Milano, la quale procederà ad un
riesame della causa uniformandosi al principio di diritto indicato in
motivazione e regolerà anche le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, assorbiti gli altri,
cassa l’impugnata sentenza e rinvia la causa ad altra sezione della
rt LA
Corte d’Appello di Nep-o-Li, che provvederà anche in relazione alle
spese del giudizio di cassazione.

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della conservazione degli effetti utili del contratto o di una sua

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione
seconda Civile, il 23 marzo 2018.
IL PRESIDENTE
Lina Matera

Giudi ziar io
NERI

DEPOSITO M C PACE.LLERIA

Roma, 23 LUG. 2018

I

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