Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19492 del 04/08/2017


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Cassazione civile, sez. III, 04/08/2017, (ud. 06/04/2017, dep.04/08/2017),  n. 19492

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27812-2015 proposto da:

I.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL

GESU’ 57, presso lo studio dell’avvocato FILOMENA MOSSUCCA,

rappresentato e difeso dall’avvocato ROBERTO VITA giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

K.K., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL SERAFICO

106, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE TORRE, rappresentata e

difesa dall’avvocato FRANCESCO D’ANGELO giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

e contro

I.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 651/2014 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 27/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/04/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA;

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2005, I.G. e M. richiesero la risoluzione per inadempimento dei contratti di locazione e di affitto di beni immobili e d’azienda (ristorante), stipulati in data 1 luglio 1993, per avere, la conduttrice K.K., realizzato trasformazioni degli immobili non autorizzate e ceduto l’azienda e i beni ad essa strumentali in violazione di espresso divieto. I ricorrenti chiesero inoltre la dichiarazione di inefficacia della cessione di azienda, la condanna di K.K. al rilascio degli immobili, al ripristino dello status quo ante ordinando i lavori necessari ovvero determinando l’importo necessario con conseguente condanna, oltre agli ulteriori danni per diminuito avviamento commerciale, pregiudizio all’ immagine aziendale e alla funzionalità e alienabilità dell’immobile, da liquidare anche in via equitativa.

Il Tribunale di Vallo della Lucania, con la sentenza n. 533/2011, dichiarò la cessazione della materia del contendere in relazione alla domanda di rilascio, poichè la convenuta aveva consegnato il bene controverso e dette atto della rinuncia alla domanda di inefficacia della cessione di azienda; espletata C.T.U. secondo la quale le innovazioni erano modeste e facilmente asportabili e quantificati in Euro 8.200,88 le spese occorrenti per il ripristino, rigettò le domande di risoluzione per inadempimento; accolse quindi la domanda di risarcimento del danno limitatamente ai costi di ripristino dopo aver evidenziato le innovazioni e perciò ravvisato la violazione della clausola n. 6 del contratto e condannò la K. al relativo pagamento in favore dei sig.ri I. della somma di Euro 8.200,00 oltre interessi, necessaria per il ripristino dello stato dei luoghi.

2. Ha proposto appello K.K. avverso la condanna al risarcimento in quanto non sussistevano le modificazioni contrattualmente inibite, ma solo addizioni e miglioramenti non dannosi, ed in ogni caso il risarcimento del danno non poteva comunque essere disposto con riferimento alla spesa occorrente per il ripristino, non essendo stata la domanda proposta in questi termini.

2.1. La Corte d’Appello di Salerno, con la sentenza n. 651 del 27 novembre 2014, ha ritenuto fondato il gravame cd ha riformato la sentenza di primo grado rigettando la domanda di risarcimento del danno proposta dagli appellati e condannato quest’ultimi al pagamento delle spese processuali.

Secondo la Corte le opere eseguite dall’affittuaria, accertate dalla consulenza tecnica esperita nell’ambito del giudizio di primo grado, non avevano apportato mutamenti alla natura e alla destinazione -ristorazione – dell’immobile, ma si sostanziavano in addizioni di modesta entità e facilmente asportabili. La Corte di Appello non ha dunque ravvisato alcuna violazione del contratto di affitto di azienda ed in particolare della clausola n. 6 su cui dà atto che insiste parte appellata osservando la non applicazione degli artt. 1592 – 1593 c.c. da parte del Tribunale, ma senza argomentare al riguardo, e, conseguentemente, ha ritenuto infondata l’istanza risarcitoria.

3. Avverso tale sentenza, propone ricorso per Cassazione I.G. sulla base di tre motivi.

3.1. Resiste con controricorso K.K..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione dell’art. 1587 c.c., n. 1 e art. 1590 c.c. nonchè dell’art. 2562 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Il ricorrente si duole che la C.A. abbia escluso la violazione della clausola contrattuale n. 6), perchè dopo aver premesso che la K. aveva ammesso di aver eseguito nel 1996 opere ex novo – che l’ufficio Tecnico aveva ordinato di demolire perchè abusive – ha poi ritenuto che tali opere non apportassero mutamenti alla destinazione dei locali (…) ma anzi erano pienamente coerenti alla destinazione predetta (…).

Pertanto I. lamenta la violazione delle norme sopra indicate in quanto non solo il bene è diverso da quello originario, ma l’attività è illecita, sì che il locatore ha diritto di rifiutare l’offerta di riconsegna del bene, e la disciplina pattizia non prevede lo ius tollendi per cui gli artt. 1592 e 1593 c.c. sono inapplicabili.

Aggiunge anche che le opere eseguite non sono trascurabili, sono illecite e violano la clausola contrattuale n. 6 che impone il consenso scritto del locatore anche se l’autorizzazione amministrativa può talora esser chiesta dal locatario e, comunque, era stato effettuato un uso anormale della cosa locata, in violazione dell’art. 1587 c.c. idoneo a legittimare la risoluzione del contratto, la riduzione in pristino ed il risarcimento del danno.

5.2. Con il secondo motivo denuncia “l’erronea applicazione dell’art. 1593 in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

La Corte d’Appello avrebbe errato perchè ha riconosciuto il diritto dell’affittuaria di eseguire le opere sopra dette ed ha ravvisato nelle stesse natura di addizioni. Ha quindi ritenuto erroneamente applicabile all’affitto di azienda la disciplina delle addizioni di cui all’art. 1593 c.c.. Non ha considerato, invece, che nell’ affitto di azienda manca lo ius tollendi e si applicano l’art. 2561 c.c., comma 4, e art. 2562 c.c. (differenza delle consistenze di inventario). Inoltre manca il carattere dell’accessorietà e dell’individualità delle innovazioni che hanno profondamente alterato l’immobile e mutata la destinazione da ristorante a pizzeria. E per di più si tratta di interventi non assentiti dal ricorrente ed illeciti dal punto di vista urbanistico-edilizio.

5.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la “violazione e falsa applicazione degli artt. 1453,1218 e 2697 cod. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

La Corte di Appello rigettando la domanda risarcitoria avrebbe erroneamente applicato i principi di risarcimento dei danni e dell’onere della prova previsti dal codice civile.

Ed infatti, è pacifico che la locataria ha, senza consenso scritto, apportato le innovazioni descritte dal C.T.U. e di cui dà atto anche la sentenza impugnata. Sussiste, quindi, la violazione dell’art. 6 del contratto e comunque dell’obbligo del conduttore di non apportare modifiche, addizioni ed innovazioni senza il consenso del locatore, sì che deve sopportare oneri e costi della riduzione in pristino.

La Corte ritiene opportuno esaminare preliminarmente il secondo e terzo motivo sulla base della ragione più liquida.

Le censure, connesse, sono fondate per quanto di ragione.

E’ indubbio che sono incontroverse le addizioni e le modifiche apportate dalla conduttrice senza il consenso scritto del proprietario/locatario (clausola n. 6 del contratto, invocata in appello da parte appellata ai sensi dell’art. 346 c.p.c.). Ma la motivazione della Corte d’Appello, al riguardo afferma apoditticamente che “tale clausola presuppone una situazione diversa da quella delineata”. Essendo, pertanto, del tutto incomprensibile è meramente apparente e perciò inesistente (Cass. 9105/2017).

Inoltre, sussiste la violazione dell’art. 1590 c.c., comma 1.

Anche nell’ipotesi in cui si volesse escludere, per la modesta entità delle opere, la risoluzione per grave inadempimento, al proprietario spetterebbe in ogni caso il diritto risarcitorio in forma specifica o per equivalente, come riconosciuto in primo grado in accoglimento della relativa domanda del locatore. Infatti l’azione di risoluzione del contratto per inadempimento e la relativa azione risarcitoria hanno differenti presupposti applicativi, perchè la prima esige che l’inadempimento di una delle parti non sia di scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra, mentre l’azione risarcitoria presuppone che l’inesatta esecuzione della prestazione abbia prodotto al creditore un danno. Come appunto nel caso di specie.

Tutte le altre questioni risultano assorbite.

5. Pertanto la Corte accoglie il secondo e terzo motivo di ricorso, assorbiti gli altri motivi, cassa in relazione la sentenza impugnata, rinvia anche per le spese del grado alla Corte d’Appello di Salerno in diversa composizione.

PQM

 

la Corte accoglie il secondo e terzo motivo di ricorso, assorbiti gli altri motivi, cassa in relazione la sentenza impugnata, rinvia anche per le spese del grado alla Corte d’Appello di Salerno in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2017

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