Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19489 del 23/09/2011

Cassazione civile sez. II, 23/09/2011, (ud. 23/06/2011, dep. 23/09/2011), n.19489

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA GAVORRANO 12, presso lo studio dell’avvocato GIANNARINI

MARIO, rappresentato e difeso dagli avvocati GURRIERI GIOVANNI,

GURRIERI PATRIZIA;

– ricorrente –

contro

CO.CA., O.E., CA.GI.;

– intimati –

sul ricorso 1126-2006 proposto da:

O.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA COLA DI RIENZO 111, presso lo studio dell’avvocato D’AMATO

DOMENICO, rappresentato e difeso dall’avvocato SALANITRO NICCOLO;

– controricorrente ricorrente incidentale –

contro

CA.GI. (OMISSIS), CO.CA.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI GACCHI 187, presso lo

studio dell’avvocato MAGNANO SAN LIO GIOVANNI, rappresentati e difesi

dagli avvocati DI CATALDO VINCENZO, CASSI’ CRISCIONE PAOLO;

– controricorrenti –

e contro

C.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1096/2004 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 11/11/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/06/2011 dal Consigliere Dott. CESARE ANTONIO PROTO;

udito l’Avvocato DI CATALDO Vincenzo difensore dei resistenti che ha

chiesto di riportarsi alle difese scritte;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele che ha concluso per l’accoglimento del primo

motivo e rigetto del secondo e del terzo motivo del ricorso

principale; rigetto del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 3/6/1998 Ca.Gi. e C. C. convenivano in giudizio C.G. e O. E. per sentirli condannare al risarcimento dei danni provocati dall’iscrizione di una ipoteca non dichiarata su un bene immobile da essi acquistato dalla STAI s.r.l.; al primo erano addebitate dichiarazioni rese in veste di vice amministratore della società che aveva loro venduto, in data 6/11/1992, l’immobile; si assumeva che il venditore non aveva dichiarato il gravame ipotecario e, anzi, aveva garantito che il bene era libero da ipoteche; il C., a sua volta aveva rassicurato gli acquirenti dell’inesistenza di qualsiasi gravame; al secondo, quale notaio che aveva predisposto il contratto di vendita era addebitata responsabilità professionale per negligenza e imperizia nell’espletamento dell’incarico di assistenza al contratto.

In ordine al danno subito, gli attori affermavano che, a distanza di sei anni dall’acquisto e precisamente in data 23/4/1998, avevano ricevuto una diffida dal creditore ipotecario per il pagamento del debito della STAI s.r.l. di L. 105.000.000 per il quale il creditore aveva iscritto ipoteca prima della vendita del bene; individuavano il danno nella somma dovuta al creditore ipotecario, oltre interessi e spese e reclamavano anche danni per la forzata inalienabilità del bene.

Il C., costituendosi, eccepiva il decorso del termine quinquennale di prescrizione, essendo stata esercitata azione per responsabilità extracontrattuale; in via subordinata chiedeva il rigetto della domanda in quanto gli attori, a suo dire, erano a conoscenza dell’ipoteca e perchè non avevano provato il danno direttamente subito.

L’ O., costituendosi, eccepiva la prescrizione dell’azione risarcitoria e l’insussistenza di una propria responsabilità professionale essendosi limitato ad autenticare le sottoscrizioni.

Il Tribunale di Ragusa, espletata l’istruttoria, con sentenza del 24/7/2001 condannava i convenuti in solido a pagare agli attori la somma di L. 107.828.491 e ogni altro importo che fossero tenuti a pagare al creditore ipotecario per le ragioni fatte valere nel processo.

L’ O. proponeva appello; il C. proponeva appello incidentale; entrambi chiedevano il rigetto delle domande attoree.

Gli appellati si costituivano e chiedevano il rigetto degli appelli.

Con sentenza depositata in data 11/11/2004 la Corte di Appello di Catania, in riforma della sentenza, dichiarava il diritto degli attori-appellati al risarcimento del danno senza, peraltro, emettere pronuncia di condanna al pagamento di somme di denaro; condannava inoltre gli appellati, in quanto soccombenti, al pagamento delle spese dei due gradi. La Corte di Appello riteneva:

– che non era maturata la prescrizione quinquennale in quanto la prescrizione decorre non dal momento del compimento dell’illecito o dal momento del verificarsi del danno, ma dal momento in cui il danno si manifesta diventando oggettivamente percepibile e conoscibile e, nel caso di specie, gli attori erano venuti a conoscenza dell’ipoteca (integrante il danno) solo il 23/4/1998, a distanza di meno di due mesi dall’esercizio dell’azione;

che, pur non essendo stato conferito al notaio O. l’incarico di predisporre e redigere il contratto di compravendita immobiliare, egli, tuttavia aveva prestato attività di consulenza apponendo una postilla la cui mancanza avrebbe invalidato l’atto, aveva spiegato alle parti il significato delle altre postille, aveva chiarito che non v’era accollo di mutuo e, quindi, nell’ambito di tale attività di consulenza, retribuita con un compenso eccedente rispetto all’onorario dovuto per la semplice autenticazione della sottoscrizione, avrebbe dovuto consigliare alle parti di effettuare le visure ipotecarie perchè egli stesso aveva rogato il contratto di mutuo ipotecario e aveva provveduto, in data 20/11/1991 al suo frazionamento;

che il C. dichiarando, contrariamente al vero, che l’immobile era libero da ipoteche, aveva posto in essere un comportamento doloso o colposo che aveva cagionato il danno denunziato;

– che tuttavia non era provato un pregiudizio concreto non essendo provato nè il pagamento del debito ipotecario, nè il promuovimento di azioni del creditore ipotecario nei confronti degli attori, nè altri danni subiti in conseguenza dell’iscrizione ipotecaria;

– che pertanto non si era verificato un danno attuale risarcibile, ma un pericolo di danno che non consentiva la condanna al pagamento di somme di denaro, ma soltanto la declaratoria del diritto degli attori al risarcimento del danno.

Il C. propone ricorso fondato su tre motivi. Resistono con controricorso Ca. e Co.. L’ O. propone ricorso incidentale fondato su quattro motivi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi vanno riuniti in quanto proposti avverso la stessa sentenza.

1. Il ricorrente principale C. censura la sentenza deducendo:

a) con il primo motivo violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 278 c.p.c. per avere la Corte di Appello separato il giudizio sull’an debeatur da quello sul quantum senza alcuna espressa domanda degli attori.

b) con il secondo motivo, violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. e vizio di motivazione in quanto, essendosi esclusa l’esistenza di un danno in concreto, ed essendosi ravvisato solo un pericolo di danno come tale non risarcibile, non sussisteva neppure il nesso causale tra il fatto illecito e il danno, come richiesto dall’art. 2043 c.c..

c) con il terzo motivo violazione e falsa applicazione degli artt. 2947, 2935 e 2827 c.c. perchè la corte d’appello aveva ritenuto che il termine di prescrizione decorresse dal momento in cui gli acquirenti erano venuti a conoscenza dell’iscrizione ipotecaria anzichè da quello nel quale avrebbero potuto averne conoscenza consultando i pubblici registri.

2. Il motivo sub a) è inammissibile per carenza di interesse dei ricorrenti: la Corte di Appello ha ritenuto sussistente il danno (v.

a pag. 16 della sentenza: “… è stato accertato un fatto potenzialmente dannoso cui consegue il diritto degli attori al risarcimento del danno, che è in re ipsa e trova la sua causa diretta e immediata nelle illegittime condotte di entrambi gli appellati…”) , ravvisandolo nel gravame ipotecario non dichiarato che esponeva l’acquirente del bene ipotecato al rischio di dovere pagare il creditore iscritto o dì dovere rilasciare il bene;

tuttavia la Corte territoriale ha ritenuto che non potesse pronunciarsi condanna al pagamento delle somme richieste per carenza probatoria (quest’ultima statuizione non ha formato oggetto di impugnazione) e, quindi, ha concesso agli attori qualcosa di meno rispetto a quanto avevano richiesto; la soluzione offerta dalla Corte territoriale, in sostanza, rigetta la domanda di condanna al pagamento delle somme richieste, pur affermando l’esistenza del danno (potenziale quanto alle voci di danno oggetto delle specifiche richieste risarcitorie degli attori). Pertanto i ricorrenti difettano di interesse ad impugnare questa decisione che accorda alla loro controparte qualcosa di meno rispetto a quanto avevano chiesto, tenuto conto che in ordine al danno la Corte territoriale non ha omesso o riservato la decisione, nè ha separato la decisione sull’an dalla decisione sul quantum, ma ha deciso accertando il diritto al risarcimento e rigettando la domanda di condanna per mancanza della prova sul danno in concreto in relazione alla voci di danno oggetto di domanda.

3. Il motivo sub b), concernente la pretesa assenza di nesso causale tra fatto illecito e danno, è infondato perchè la Corte dì Appello non ha escluso il danno, ma ha accertato, con statuizione non censurata, la sussistenza del danno pur difettando la prova necessaria per la liquidazione delle specifiche voci di danno dedotte dagli attori.

La Corte territoriale non si è uniformata a quella giurisprudenza per la quale il pericolo concreto di conseguenze economiche pregiudizievoli (nella specie, la perdita del bene a seguito di espropriazione o la necessità di pagare i creditori iscritti) integra un danno immediatamente risarcibile se il suo verificarsi appaia così probabile da risolversi in una sostanziale certezza (v.

Cass. sez. 327/4/2010 n. 10072 in identica fattispecie; per l’affermazione di analoghi principi, fondati sul criterio della attendibilità del danno in base alla normalità dello sviluppo causale, v., ex multis, Cass. 1637/2000; 1336/1999, 495/1987).

Tuttavia, anche in questo caso, rileva l’affermazione del giudice del merito per la quale il danno sussiste; tale affermazione è coerente con il principio di comune esperienza per cui ogni gravame esistente su un bene ne riduce il valore; l’accertamento sull’esistenza del danno è esplicitato dal passaggio motivazionale (pag. 16 della sentenza) per il quale gli attori hanno diritto al risarcimento del danno che è in re ipsa (pur nell’improprietà della punteggiatura, è chiaro che con la frase “consegue il diritto degli attori al risarcimento del danno, che è in re ipsa…” i giudici di appello intendevano che non il diritto al risarcimento, ma il danno è in re ipsa).

Non occorre qui ripercorrere le problematiche in materia di ammissibilità di presunzioni assolute di danno perchè nella sentenza impugnata non è affermato il principio che il risarcimento deve essere accordato per il solo fatto del comportamento lesivo (così risolvendosi in una pena privata) ed anzi, il risarcimento è stato negato, ma si è accertato che per colpa dei convenuti gli attori avevano pagato un immobile ipotecato come se fosse libero da ipoteche e che per tale motivo gli attori avevano subito un danno risarcibile; tuttavia la Corte territoriale, invece di procedere alla liquidazione dei danni (eventualmente secondo i criteri residuali di cui all’art. 1226 o, per la responsabilità extracontrattuale, di cui art. 2056 c.c.), si è limitata a rilevare che le voci di danno reclamate dagli attori, allo stato, non avevano ancora avuto incidenza sul loro patrimonio perchè il bene non era ancora perso e perchè essi non avevano ancora pagato il creditore ipotecario.

Ne discende l’infondatezza, in fatto, della censura per la quale per la quale mancherebbe il nesso causale tra il fatto illecito e il danno; dal rigetto della domanda di condanna al pagamento delle somme richieste dagli attori (statuizione sulla quale gli attori non hanno proposto impugnazione e per la quale gli odierni ricorrenti non hanno interesse a dolersi) non deriva, nel caso concreto, l’inesistenza del danno tenuto conto che il danno è stato espressamente e fondatamente ritenuto sussistente dalla Corte di Appello.

4. Il motivo sub c), concernente il decorso della prescrizione del diritto al risarcimento da fatto illecito, è infondato.

Nel motivo, come detto, si assume che gli attori avrebbero avuto la possibilità di prendere conoscenza del gravame ipotecario consultando i pubblici registri immobiliari.

Risulta dalla sentenza impugnata, gli acquirenti si erano recati presso lo studio del notaio per sottoscrivere in sua presenza un atto predisposto dal venditore il quale dichiarava il bene libero da ipoteche.

Ciò premesso, si osserva che, in diritto,. è corretto il principio enunciato dalla corte d’appello, secondo il quale il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito “decorre dal momento in cui il danno si manifesta all’esterno divenendo oggettivamente percepibile e conoscibile; il principio affermato è conforme alla giurisprudenza di questa Corte (Cass. nn. 5913/2000 e 12666/2003) secondo la quale “Qualora la percezione del danno non sia manifesta ed evidente, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito cosi come di quello dipendente da responsabilità contrattuale sorge non dal momento in cui il fatto del terzo determina ontologicamente il danno all’altrui diritto, bensì dal momento in cui la produzione del danno si manifesta all’esterno, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile”; lo stesso principio è stato applicato, in identica fattispecie, da Cass. 23/4/2010 n. 10072, già citata.

Pertanto non sussiste la denunciata violazione di legge.

In punto di fatto e con riferimento alla censura relativa al vizio di motivazione, occorre preliminarmente richiamare il principio per il quale l’accertamento della decorrenza della prescrizione costituisce indagine di fatto demandata al giudice di merito (cfr. ex plurimis, Cass. n. 17157/2002).

Ciò premesso, si osserva che il giudice di appello ha rilevato che il C. non aveva dato alcuna prova in ordine alla preventiva conoscenza dell’esistenza dell’ipoteca gravante sull’immobile da parte degli attori (pag. 16 della sentenza) e che gli attori erano venuti a conoscenza dell’esistenza dell’ipoteca il 23/4/1998 a distanza di poco meno di due mesi dall’esercizio del diritto di azione e precisamente (pag. 19 della sentenza); tale data di decorrenza è collegata al fatto che il 23/4/1998 gli attori avevano ricevuto diffida di pagamento dal legale del creditore ipotecario che li informava della procedura espropriativa (pag. 4 della sentenza impugnata).

Pertanto la decisione è adeguatamente motivata, mentre la censura oggetto del motivo di gravame introduce una problematica (la rilevanza, nel caso concreto e con riferimento al danno oggetto della domanda, dell’iscrizione dell’ipoteca nei pubblici registri) che non risulta trattata nelle fasi di merito, mentre non prende in considerazione alcuna la motivazione del giudice di appello.

5. Il ricorrente incidentale censura la sentenza:

a) con il primo motivo per violazione e falsa applicazione di legge (senza indicazione delle norme violate) , per vizio di motivazione e per extra petizione perchè la Corte di Appello avrebbe qualificato come attività di consulenza un’attività che tale non era (essendo stata limitata alla spiegazione del contenuto del contratto), perchè aveva ricondotto l’attività del notaio ad una attività di consulenza senza che ciò fosse dedotto dagli attori;

b) con il secondo motivo per violazione e falsa applicazione di norma di legge (senza specificare quale) e per vizio di motivazione, perchè il compenso ricevuto dal notaio non era eccedente l’onorario dovuto per la semplice autenticazione della scrittura (mancanza di autosufficienza e genericità) nonchè per ultrapetizione perchè gli attori avevano dedotto di avere corrisposto un compenso per la redazione di un atto e non per l’autenticazione della scrittura;

c) con il terzo motivo per violazione e falsa applicazione di legge e per vizio di motivazione perchè ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno affermando contemporaneamente che il danno era potenziale con ciò escludendo lo stesso danno;

d) con il quarto motivo per violazione e falsa applicazione di norma di legge in relazione all’art. 2935 c.c. perchè il termine prescrizionale doveva essere fatto decorrere dalla data della sottoscrizione della scrittura privata di vendita in quanto l’ipoteca risultava dai pubblici registri immobiliari e quindi era conoscibile.

6. Il motivo di cui al precedente punto 4 a) è infondato: non esiste il vizio di extra petizione in quanto gli attori avevano dedotto il conferimento di un incarico professionale avente ad oggetto predisposizione e assistenza al contratto (v. pag. 5 della sentenza di appello dove si riporta il contenuto delle attoree domande); il giudice di appello, valutate le prove ha ritenuto di escludere che fosse stato conferito l’incarico di predisporre il contratto, ma ha ricondotto l’attività oggetto dell’incarico al più ridotto ambito della consulenza, ricompreso nell’ambito della attività di assistenza che era stata tempestivamente dedotta dagli attori.

Con riferimento al dedotto vizio di motivazione in ordine all’attività professionale prestata dal notaio, si osserva che la Corte di appello, con ampia e niente affatto contraddittoria motivazione, ha considerato univocamente significative tutte le circostanze emerse dalla espletata istruttoria, evidenziando che il notaio aveva dato lettura dell’atto, aveva illustrato le clausole e che pertanto aveva svolto attività di consulenza.

7. La censura di cui al precedente punto 4 b), concernente la valutazione dell’elemento di prova rappresentato dal compenso percepito dal notaio, è inammissibile per carenza dì interesse in quanto il giudice di appello ha dichiaratamente fatto riferimento all’importo richiesto per le prestazioni professionali solo ad abuntantiam, esplicitando che tale elemento era superfluo ai fini della prova della colpa del notaio; inoltre, l’accertamento sull’ammontare del compenso difetta di rilevanza perchè la prova dell’incarico di assistenza al contratto, negligentemente adempiuto, è fondata, secondo la sentenza di appello, sugli elementi costituiti dall’apposizione della postilla e dalla attività di illustrazione e spiegazione del contenuto delle clausole.

8. La censura di cui al precedente punti 4 c), relativa all’impossibilità di configurare un nesso di causalità tra condotta e danno laddove si ritenga che il danno sia solo potenziale, è infondata per quanto esposto al precedente paragrafo 3 laddove si è osservato sia che la Corte di Appello non ha escluso il danno, accertandone, al contrario, la sussistenza, sia che dal diniego di liquidazione del danno (per il quale non possono dolersi gli odierni ricorrenti), non può farsi discendere la sua inesistenza.

9. La censura di cui al precedente punto 4 d), relativa al diniego di declaratoria di prescrizione del credito per intervenuta prescrizione quinquennale è inammissibile in quanto il ricorrente incidentale, nella veste di notaio incaricato di attività di consulenza, è chiamato a rispondere per responsabilità contrattuale per la quale è prevista la prescrizione decennale (ex art. 2946 c.c.), mentre la prescrizione quinquennale di cui all’art. 2947 c.c. riguarda elusivamente il fatto illecito previsto dall’art. 2043 c.c. e segg.

che è fonte di responsabilità contrattuale e non riguarda l’inadempimento di obbligazioni derivanti da contratto.

10. In conclusione devono essere rigettati sia il ricorso principale che il ricorso incidentale; C.G., ricorrente principale e O.E., ricorrente incidentale, in quanto soccombenti, devono essere condannati in solido a pagare ai resistenti Ca.Gi. e Co.Ca. le spese di questo giudizio di Cassazione liquidati come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta e condanna in solido il ricorrente C.G. e il ricorrente incidentale O.E. a pagare ai resistenti Ca.Gi. e Co.Ca. le spese di questo giudizio di Cassazione che liquida in Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2011

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