Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19484 del 08/07/2021

Cassazione civile sez. I, 08/07/2021, (ud. 17/03/2021, dep. 08/07/2021), n.19484

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26573/2019 R.G. proposto da:

L.E., rappresentato e difeso dall’Avv. Uljana Gazidede, con

domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della

Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

PREFETTO DI TARANTO, e QUESTORE DI TARANTO;

– intimati –

avverso l’ordinanza della Corte di cassazione n. 6068/19, depositata

il 28 febbraio 2019;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 marzo 2021

dal Consigliere Dott. Guido Mercolino.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ordinanza del 28 febbraio 2019, la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso per cassazione proposto da L.E. avverso il decreto emesso il 22 marzo 2018, con cui il Giudice di pace di Taranto aveva dichiarato inammissibile, in quanto presentato dopo la scadenza del termine di cui al D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 18, comma 3, il ricorso proposto dal L. avverso il decreto di espulsione emesso dal Prefetto di Taranto il 2 agosto 2013.

A fondamento della decisione, questa Corte ha ritenuto corretta la statuizione impugnata, rilevando che il ricorso era stato depositato il 9 agosto 2017, mentre il decreto di espulsione era stato notificato il 9 maggio 2017, e confermando pertanto l’assorbimento delle altre questioni sollevate dal ricorrente: ha escluso in particolare che l’asserita difformità tra il testo del decreto di espulsione redatto in italiano e la sintesi tradotta ed inserita nel provvedimento comportasse l’inesistenza del provvedimento o impedisse il decorso del termine per l’impugnazione, affermando che si trattava piuttosto di un’ipotesi di nullità.

Ha ritenuto invece inammissibili le censure riguardanti la dichiarazione d’inammissibilità della richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, osservando che tale statuizione era impugnabile con l’opposizione prevista dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 170 da proporsi dinanzi al capo dell’ufficio giudiziario competente.

2. Avverso la predetta ordinanza il L. ha proposto ricorso per revocazione, articolato in due motivi. Gl’intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, il ricorrente censura l’ordinanza impugnata nella parte in cui ha confermato l’inammissibilità della domanda, escludendo la difformità della traduzione del decreto di espulsione dal testo in italiano, senza pronunciarsi in ordine ai motivi d’impugnazione con cui erano stati dedotti il difetto o l’apparenza della motivazione della decisione di primo grado in ordine alla predetta questione e la mancata sottoscrizione del decreto da parte del Prefetto o del Vice Prefetto Vicario. Premesso di aver proposto le predette censure al fine di ottenere la rimessione in termini o la dichiarazione d’inefficacia del decreto e del mancato decorso del termine per l’impugnazione, osserva che le stesse sono state impropriamente dichiarate assorbite, non essendo comprese tra quelle segnalate nella nota di trasmissione del fascicolo alla Prima Sezione civile, e non risultando incompatibili con il percorso logico-giuridico seguito nella motivazione. Aggiunge che il ritenuto assorbimento della questione riguardante la sottoscrizione del decreto di espulsione implicherebbe il riconoscimento della validità della sottoscrizione apposta dal Vice Prefetto aggiunto, nonostante la mancanza di una delega o di un richiamo alla stessa nel corpo del provvedimento e la mancata effettuazione di un accertamento al riguardo da parte del Giudice di pace. Precisa che l’esame della censura era imposto anche dal principio della ragione più liquida, trattandosi di una questione non solo assorbente, ma anche di più agevole e rapido scrutinio rispetto a quelle proposte con gli altri motivi di ricorso, in quanto rilevabile ictu oculi.

1.1. Il motivo è inammissibile.

Com’e’ noto, infatti, l’impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione è ammessa nell’ipotesi di errore compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, errore che presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e dai documenti di causa: il rimedio in esame è pertanto esperibile, ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, per l’errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità per aver omesso di pronunciare su uno o più motivi di ricorso, dovendosi a tal fine avere riguardo al capo della domanda riproposta all’esame del giudice dell’impugnazione, con la conseguenza che il vizio in esame dev’essere escluso ogni qualvolta la pronuncia su tale capo vi sia stata, sia pure con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte come motivi di censura sul punto, dal momento che in tal caso viene dedotto non già un errore di fatto (quale svista percettiva immediatamente percepibile), bensì un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto del ricorso, e quindi un errore di giudizio (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. Un., 27/11/2019, n. 31032; Cass., Sez. I, 18/10/2018, n. 26031; Cass., Sez. VI, 15/02/2018, n. 3760).

Ciò posto, si osserva che, nell’esaminare i motivi del ricorso per cassazione, l’ordinanza impugnata ha rilevato che il ricorrente aveva censurato la decisione di primo grado per violazione di legge o per mera apparenza della motivazione, nella parte in cui non aveva dichiarato la nullità del decreto di espulsione, nonostante la difformità della traduzione in lingua albanese dal testo originale in italiano e la sottoscrizione del provvedimento da parte di un organo non investito del relativo potere: nel pronunciare su tali censure, ne ha peraltro escluso la fondatezza, ritenendo che correttamente il Giudice di pace le avesse ritenute assorbite dalla dichiarazione d’inammissibilità del ricorso contro il decreto di espulsione, in quanto proposto successivamente alla scadenza del relativo termine. Sostiene invece il ricorrente che tali censure non avrebbero potuto essere considerate assorbite, dal momento che la nullità del decreto di espulsione era stata dedotta proprio al fine di ottenere la dichiarazione d’inidoneità dello stesso a far decorrere il termine per la proposizione del ricorso o quanto meno la rimessione in termini: in tal modo, tuttavia, pur lamentando che a causa della mancata considerazione di tale finalità l’ordinanza impugnata ha omesso di pronunciare in ordine alle censure da lui proposte con il ricorso per cassazione, egli non denuncia in realtà una falsa rappresentazione del contenuto dell’impugnazione, dipendente da una svista percepibile ictu oculi, ma un’errata interpretazione del motivo di ricorso, non deducibile ai sensi dell’art. 391-bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4. Risolutiva deve ritenersi, al riguardo, l’osservazione che l’ordinanza impugnata si è pronunciata in ordine al predetto motivo, dichiarandolo infondato, sia pure sulla base della portata da essa attribuita alle censure proposte dal ricorrente, che ha condotto questa Corte a ribadirne l’assorbimento, conformemente alla decisione di primo grado. Inconferenti risultano invece i rilievi formulati dal ricorrente in ordine all’impropria utilizzazione del concetto di assorbimento, certamente non desumibile da una mera annotazione apposta sul fascicolo in sede di sommario esame del ricorso presso la Sezione di cui all’art. 376 c.p.c., comma 1, non avente carattere vincolante ai fini della decisione, e comunque non configurabile come causa, ma al più come effetto dell’errore denunciato, al pari delle ulteriori implicazioni di ordine logico-giuridico che il ricorrente intenderebbe trarre dalla decisione impugnata. Quanto infine al principio della ragione più liquida, secondo cui la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata rispetto alle altre, è appena il caso di rilevare che la mancata applicazione dello stesso, oltre a non essere ascrivibile all’ordinanza impugnata, ma al decreto di primo grado, non comporta alcun vizio della decisione, né sotto il profilo fattuale né sotto quello giuridico, non trattandosi di una regola vincolante, ma di un modello decisorio ispirato ad esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, la cui adozione consente al giudice di privilegiare l’impatto operativo della soluzione rispetto alla coerenza logico-sistematica e di sostituire il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni stabilito dall’art. 276 c.p.c., comma 2, ma non può in alcun caso giustificare, come pretenderebbe il ricorrente, l’accoglimento di una domanda il cui esame nel merito risulta precluso per ragioni di ordine processuale.

2. Con il secondo motivo, il ricorrente censura l’ordinanza impugnata nella parte in cui ha dichiarato inammissibile il motivo d’impugnazione avente ad oggetto la dichiarazione d’inammissibilità della richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, sostenendo che questa Corte è incorsa in un errore di fatto per errore sull’interpretazione di una norma di legge, non avendo considerato che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 84 e 142 e del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 18, comma 4, l’opposizione prevista dal D.P.R. n. 115 cit., art. 170 è proponibile soltanto avverso il decreto di liquidazione del compenso dovuto al difensore, e non anche avverso il rigetto dell’istanza di ammissione proposta da un ricorrente già ammesso ex lege. Premesso che il Giudice di pace non aveva revocato un’ammissione già disposta, ma aveva erroneamente dichiarato inammissibile l’istanza, senza considerare che nella materia in esame è prevista un’ammissione ex lege, sostiene che, anche a voler escludere la configurabilità di un errore di fatto, dovrebbe ritenersi sussistente un contrasto giurisprudenziale, idoneo a giustificare la rimessione della questione alle Sezioni Unite, dal momento che i precedenti citati dall’ordinanza impugnata non tenevano conto delle modifiche normative sopravvenute, per effetto delle quali il Giudice adito si sarebbe dovuto limitare a verificare la sussistenza dei presupposti richiesti per l’ammissione al beneficio.

2.1. Il motivo è inammissibile.

Anche a voler ritenere che, come sostiene la difesa del ricorrente, l’errore addebitato all’ordinanza impugnata non abbia avuto ad oggetto l’individuazione dell’ambito applicativo del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 170 ma la riferibilità di tale disposizione alla fattispecie sottoposta all’esame di questa Corte, in quanto contraddistinta dall’ammissione al patrocinio a spese dello Stato per effetto non già di una specifica richiesta dell’interessato, ma del disposto del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 18, comma 4, deve in ogni caso escludersi l’applicabilità del rimedio di cui all’art. 391-bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4.

Quest’ultimo non è infatti esperibile nell’ipotesi in cui l’errore denunciato abbia ad oggetto norme giuridiche, la cui falsa rappresentazione, anche se indotta dall’errata percezione di interpretazioni fornite da precedenti indirizzi giurisprudenziali, non integra gli estremi dell’error facti, ma quelli dell’error juris, tanto nel caso di obliterazione delle predette norme, riconducibile all’ipotesi della falsa applicazione, quanto nel caso di distorsione della loro effettiva portata, riconducibile all’ipotesi della violazione (cfr. Cass., Sez. VI, 21/02/2020, n. 4584; 29/12/2011, n. 29922). A maggior ragione l’ammissibilità della revocazione dev’essere poi esclusa nell’ipotesi, prospettata dalla difesa del ricorrente, in cui l’errata interpretazione della norma giuridica sia stata determinata da un’oggettiva incertezza in ordine al suo significato o al suo ambito applicativo, dipendente dall’esistenza di contrastanti orientamenti giurisprudenziali o dall’intervenuto mutamento del quadro normativo in cui s’inserisce, la cui considerazione o pretermissione, riverberando i propri effetti sul risultato del procedimento ermeneutico, non può in nessun caso dar luogo ad un errore di fatto.

3. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo alla mancata costituzione degl’intimati.

Trattandosi di procedimento esente dal contributo unificato, non trova applicazione il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 17 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2021

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