Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19479 del 30/09/2016


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Cassazione civile sez. trib., 30/09/2016, (ud. 23/09/2015, dep. 30/09/2016), n.19479

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12450-2009 proposto da:

SIRACUSANA ELETTRICITA’ SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI GRACCHI 130,

presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI ZAPPULLA, rappresentato e

difeso dall’avvocato ALDO BURGIO con studio in SIRACUSA VIALE

TEOCRITO 129, (avviso postale ex art. 135), giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

MINISTERO ATTIVITA’ PRODUTTIVE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 10/2008 della COMM.TRIB.REG. della Sicilia

SEZ.DIST. di SIRACUSA, depositata il 26/03/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/09/2015 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per la rimessione alle SS.UU. in

subordine accoglimento del 1 motivo di ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 26.03.2008 n. 10 la Commissione tributaria della regione Sicilia ha rigettato l’appello proposto da Siracusana Elettricità s.r.l. e confermato la decisione di prime cure, dichiarando il difetto di giurisdizione del Giudice tributario sulla domanda di annullamento della cartella di pagamento notificata il (OMISSIS) alla predetta società dal Concessionario del servizio di riscossione per la provincia di Siracusa, ed avente ad oggetto il recupero dei contributi in conto capitale ed in conto interessi, erogati in via provvisoria dal Ministero delle Attività Produttive ai sensi dell’art. 69 del TU sugli investimenti industriali nel Mezzogiorno, e successivamente revocati con D. 29 novembre 1999.

La CTR rilevava che la società era titolare di una mera posizione di interesse legittimo di fronte al provvedimento di revoca ed alla pretesa di recupero dei contributi e pertanto non si configurava alcun rapporto di diritto tributario devoluto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2 alla giurisdizione tributaria.

Avverso la sentenza di appello non notificata, ha proposto rituale ricorso per cassazione la società, con atto consegnato all’Ufficiale giudiziario in data 11.5.2009 e notificato ex art. 149 c.p.c. al Ministero della Attività Produttive presso la Avvocatura Generale dello Stato in data 14.5.2009.

La parte intimata non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso per cassazione è palesemente infondato in relazione ad entrambi i motivi dedotti.

Con il secondo motivo, che va esaminato per primo per ragioni di priorità logica, investendo un presupposto processuale, la ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 2 e 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1), sostenendo che la giurisdizione del Giudice tributario veniva a radicarsi in base al tipo di atto (cartella) notificato ed impugnato dalla società, nonchè in base al “nomen juris” della pretesa riportato nella cartella (“tributi coattivi”).

Osserva il Collegio quanto segue.

Con il ricorso introduttivo la società ha impugnato avanti la Commissione tributaria provinciale di Catania la cartella di pagamento emessa dal Concessionario per la riscossione dei tributi per la provincia di Siracusa avente ad oggetto – secondo quanto riferito dalla stessa ricorrente – il recupero dell’importo di Lire 608.201.990 corrispondente al contributo in conto capitale (Lire 330.192.000) ed in conto interessi (Lire 265.764.305), oltre le spese della procedura di notifica, che era stato concesso in via provvisoria dal Ministero delle Attività Produttive, ai sensi del TU degli investimenti industriali nel Mezzogiorno approvato con D.P.R. n. 218 del 1978, art. 69 per la realizzazione di un nuovo impianto per l’assemblaggio di sistemi elettrici, e che era stato successivamente revocato con decreto n. 10/RC/4-080251 in data 29.11.1999 a causa della mancata attuazione del progetto, provvedimento impugnato dalla società nel giudizio proposto avanti il TAR di Catania e tuttora pendente.

La società assume di avere introdotto il giudizio tributario nei confronti del Ministero predetto deducendo la illegittimità della procedura di riscossione a mezzo ruolo utilizzata per il recupero dei contributi erogati, in difetto di alcun titolo avente efficacia esecutiva, nonchè la infondatezza delle contestazioni mosse dalla Amministrazione statale (e – sembra – anche la decadenza della pretesa restitutoria: ricorso, pag. 4).

Orbene, relativamente alle censure rivolte alla applicazione delle norme del D.P.R. n. 602 del 1973 e dunque alla illegittima emissione e notifica della cartella di pagamento, risulta evidente il difetto di legittimazione passivia del Ministero, trattandosi di atti riservati alla competenza esclusiva del Concessionario del servizio di riscossione: la questione non è stata oggetto di esame da parte dei Giudici di merito che si sono pronunciati esclusivamente sulla questione pregiudiziale di giurisdizione, e può e deve, pertanto, essere rilevata “ex officio” dalla Corte, nel giudizio di legittimità, trattandosi di condizione di ammissibilità della domanda.

Relativamente invece alla contestazione nel merito della pretesa restitutoria dei contributi pubblici conseguente alla revoca dei contributi pubblici, non pare dubbio che la stessa esuli dalla materia tributaria, in quanto il provvedimento di concessione TU n. 218 del 1978, ex art. 69 in ordine alla emissione del quale la società vanta un interesse legittimo, una volta adottato, costituisce in capo alla concessionaria un diritto soggettivo pieno al conseguimento dei contributi liquidati, e – perdurando l’efficacia del titolo predetto – eventuali controversie attinenti ai diritti ed alle obbligazioni sono devolute alla giurisdizione dell’AGO; laddove invece l’Amministrazione statale proceda ad una nuova valutazione discrezionale dell’interesse pubblico sotteso al provvedimento concessorio, come nel caso in cui si determini alla revoca verificando che l’interesse predetto non è stato o non può più essere utilmente perseguito, allora subentra la giurisdizione del GA (cfr. Corte Cass. Sez. U, Sentenza n. 12074 del 09/11/1992): ipotesi che ricorre nel caso di specie avendo impugnato la società per l’appunto il decreto ministeriale di revoca del provvedimento di concessione dei contributi pubblici. Ne segue che le doglianze mosse alla legittimità della revoca esulano – in ogni caso – dalla giurisdizione tributaria, la quale, anche dopo l’ampliamento delle materie elencate nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2 disposto dalla L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 12 il quale ha esteso la giurisdizione tributaria a tutte le controversie aventi ad oggetto tributi di ogni genere e specie, si configura come giurisdizione esclusiva a carattere generale, che si radica in base alla materia, e si arresta solo di fronte agli atti di esecuzione forzata (cfr. inter alias Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 6315 del 16/03/2009; id.Sez. U, Sentenza n. 17943 del 05/08/2009): pertanto deve ritenersi conforme a diritto la pronuncia della Commissione tributaria di secondo grado che ha dichiarato il difetto di giurisdizione tributaria, non dando luogo il provvedimento di concessione ad alcun rapporto di natura tributaria, e non potendosi evidentemente riconoscersi una controversia tributaria a fronte della impugnazione di un atto – la cartella di pagamento – da considerarsi del tutto “neutro” rispetto alla natura della pretesa (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 11498 del 09/05/2008 che in relazione alla impugnazione della cartella esattoriale emessa per il recupero di somme erogate a titolo di contributo per gli eventi sismici del novembre 1980 e del febbraio 1981, di cui al D.Lgs. 30 marzo 1990, n. 76, ha riconosciuto la giurisdizione AGO “a nulla valendo la circostanza che nella medesima cartella sia stato dato avviso della possibilità di ricorrere alle commissioni tributarie; la giurisdizione, infatti, non può essere fatta dipendere nè dallo strumento utilizzato per la riscossione del recupero nè, tanto meno, dall’errore nell’indicazione del giudice cui ricorrere, ma solo dall’oggetto della lite, che, nel caso di specie, riguarda la fase attuativa di un finanziamento, il cui rapporto attiene a diritti soggettivi tutelabili dinanzi al giudice ordinario”), e che si inserisce tra le modalità procedimentali della riscossione coattiva, non soltanto dei tributi ma anche delle “entrate patrimoniali di natura non tributaria” (D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, artt. 17, 18 e 29), palesandosi del tutto inconferente la equiparazione surrettiziamente effettuata dalla società ricorrente per radicare la giurisdizione avanti la CTP, tra cartella di pagamento e “materia tributaria” oggetto della controversia, sulla base della inidividuazione della prima tra gli atti impugnabili avanti il Giudice tributario (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1, lett. d), ed art. 21, comma 1), atteso che l’elenco degli atti impugnabili costituisce un “posterius” (rilevante per la verifica della proponibilità del ricorso: Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 24775 del 08/10/2008, osserva come la pronuncia con cui la Commissione tributaria provinciale dichiari l’inammissibilità del ricorso, ritenendo che il provvedimento impugnato non rientri tra quelli previsti del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 – impugnabili dinanzi al giudice tributario, non nega affatto la giurisdizione del giudice tributario ma, per necessità logica, implicitamente la presuppone) rispetto all’affermazione della giurisdizione tributaria che trova unico ed esclusivo fondamento nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2. Il generale criterio di riparto “per materia” delle giurisdizioni, pur dopo la riforma della L. n. 448 del 2001, non ha, infatti, subito modifiche, come da tempo chiarito da questa Corte nella sentenza Sez. U, Sentenza n. 6631 del 29/04/2003: “Il giudice munito della giurisdizione sulla domanda ha il Potere – dovere di definire le questioni che integrino antecedente logico della decisione a lui richiesta, fino a quando le stesse rimangano su un piano delibativo e incidentale e non aprano, per previsione di legge o per libera iniziativa delle parti, una causa autonoma, di carattere pregiudiziale, sulla quale si debba statuire con pronuncia atta ad assumere autorità di giudicato: in questo caso si inserisce nel processo una ulteriore domanda, che è soggetta – in difetto di norme che prevedano deroghe per motivi di connessione alle proprie regole sulla giurisdizione, con conseguente eventuale separazione delle due domande e devoluzione di ciascuna al giudice rispettivamente fornito della giurisdizione. Tale principio opera anche per la giurisdizione delle commissioni tributarie, sia nella previgente disciplina di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, sia in quella del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, il cui art. 2, comma 3 (nel testo introdotto dalla L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 12), nell’affidare al giudice tributario la risoluzione in via incidentale di ogni questione da cui dipenda la decisione delle controversie rientranti nella sua giurisdizione, tranne alcune eccezioni per le quali si impone l’apertura di una causa pregiudiziale dinanzi al giudice ordinario, ha natura meramente esplicativa di regole generali presenti nell’ordinamento” (conf. Corte cass. Sez. U, Ordinanza n. 2814 del 24/02/2012).

Dalle considerazioni che precedono discende la assoluta inefficacia dei pagamenti eseguiti dalla società ai fini del condono tributario ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 12 con conseguente infondatezza anche del primo motivo di ricorso (violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 12 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), essendo appena il caso di osservare che il condono si applica ai carichi fiscali, essendo collocata la norma sul condono nella L. n. 289 del 2002 sotto il Titolo 2^ “Disposizioni in materia di entrata” e nel Capo 2^ “Disposizioni in materia di concordato”, ed il concordato cui si riferisce la intitolazione è quello cui possono accedere “i contribuenti”, come inequivocamente emerge da tutte le disposizioni contenute negli artt. 6-17 del predetto Capo (cfr. Corte cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 2101 del 05/02/2015).

In conclusione il ricorso deve essere rigettato, non occorrendo provvedere al regolamento delle spese del giudizio di legittimità, in difetto di difese svolte dalla parte intimata.

P.Q.M.

La Corte:

– rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 settembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2016

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