Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19479 del 08/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 08/07/2021, (ud. 11/05/2021, dep. 08/07/2021), n.19479

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10555/2014 R.G. proposto da:

RAFFINERIA DI GELA SPA, (C.F. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. ANDREA

MANZITTI, elettivamente domiciliata presso lo studio Bonelli Erede

Pappalardo in Roma, Via Salaria, 259;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, elettivamente domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Sicilia, Sezione staccata di Caltanissetta, n. 75/21/2014,

depositata in data 13 gennaio 2014, notificata in data 19 febbraio

2014.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio dell’11 maggio

2021 dal Consigliere Relatore Filippo D’Aquino.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

La società contribuente RAFFINERIA DI GELA SPA (RAGE) ha impugnato un avviso di accertamento relativo al periodo di imposta dell’esercizio 2002, con il quale veniva accertato maggior reddito, con recupero di IRPEF, oltre sanzioni e interessi, quale effetto della rideterminazione della quota deducibile del fondo svalutazione crediti D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), ex art. 71, nella formulazione pro tempore. L’accertamento faceva seguito a una verifica con la quale si accertava, in relazione al ramo di azienda conferito dalla cedente Eni SPA, già Agip Petroli SPA (nei cui confronti era stata condotta analoga verifica), che era stato trasferito anche il fondo svalutazione crediti, la cui quota assoggettabile a tassazione, in quanto eccedentaria il 5% dell’ammontare complessivo dei crediti (cd. “fondo tassato”, già oggetto di rettifica da parte della contribuente), risultava inferiore a quanto dichiarato dalla società contribuente la quale aveva proceduto a un diverso computo della quota oggetto di deduzione (cd. “fondo dedotto”). In particolare, l’accertamento conseguiva, per quanto qui rileva, principalmente all’erronea imputazione alla quota dedotta (di parte del) credito asseritamente vantato nei confronti del debitore ceduto J. SPA, società già controllata dalla conferente, come risultante da un prospetto contabile.

La CTP di Caltanissetta ha accolto il ricorso; la CTR della Sicilia, Sezione staccata di Caltanissetta, con sentenza in data 13 gennaio 2014, ha accolto l’appello dell’Ufficio. Ha accertato il giudice di appello che la percentuale deducibile del fondo svalutazione oggetto di conferimento fosse superiore all’importo effettivamente deducibile a termini dell’art. 71 TUIR, comma 1, pro tempore, la cui maggiore eccedenza rispetto alla quota deducibile è stata ripresa a eccedenza tassabile, depurata dalle menzionate rettifiche già operate dalla contribuente. Ha, inoltre, ritenuto la CTR che il credito nei confronti di J. SPA è stato erroneamente computato nel fondo svalutazione crediti (parte del quale è andato a incrementare la quota deducibile), essendo stato oggetto di rinuncia da parte del conferente; conseguentemente, la CTR ha ritenuto che tale credito non si sarebbe potuto ricomprendere nel monte crediti trasferito alla conferitaria odierna contribuente, trattandosi di credito definitivamente inesigibile e, pertanto non ricompreso nel fondo. Ha, infine, ritenuto irrilevante il giudice di appello l’archiviazione della posizione fiscale della società conferente il ramo di azienda, ritenendo, altresì, che la contribuente non avrebbe documentato quali ricadute avrebbe potuto avere la posizione della conferente nel caso di specie.

Propone ricorso per cassazione la società contribuente affidato a sei motivi, cui resiste con controricorso l’Ufficio.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1 – Con il primo motivo del ricorso si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatto decisivo ai fini del giudizio, consistente nella composizione del fondo svalutazione crediti (quanto alla “parte tassata” e alla “parte dedotta”) come risultante dalla documentazione prodotta nei due gradi del giudizio di merito. Parte ricorrente si richiama alla copiosa documentazione prodotta in atti, analiticamente richiamata nel motivo, dalla quale emergerebbe la corretta imputazione delle quote del fondo (deducibile e tassata), il cui esame costituirebbe, unitamente all’esame delle movimentazioni contabili che hanno determinato la composizione e la movimentazione del fondo, il fatto storico decisivo ai fini del giudizio.

1.2 – Con il secondo motivo del ricorso si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatto decisivo ai fini del giudizio consistente nell’esito dell’accertamento fiscale effettuati nei confronti della società conferente il ramo di azienda. Evidenzia il ricorrente che la sentenza impugnata ha erroneamente ritenuto, da un lato, che non avrebbe alcun rilievo l’esito dell’accertamento fiscale nei confronti della conferente, dall’altro, che la società contribuente non avrebbe documentato quale sarebbe stata l’effettiva ricaduta di tale accertamento sul caso di specie. Evidenzia parte ricorrente che le due verifiche sarebbero collegate, in quanto fondate sul medesimo materiale istruttorio.

1.3 – Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, per avere la CTR tenuto conto di un inammissibile motivo nuovo sollevato dall’Ufficio solo in appello. Osserva parte ricorrente che l’Ufficio avrebbe contestato, in fase amministrativa, una erronea contabilizzazione della quota deducibile sulla base di un erroneo prospetto contabile (il primo di due prospetti contabili prodotto in fase amministrativa dalla società contribuente), ritenendo irrilevante il secondo prospetto al fine di escludere dal computo della deducibilità il credito nei confronti di J. SPA e non al fine di contestarne l’indeducibilità. Deduce, in proposito, il ricorrente che l’Ufficio avrebbe, in appello, mutato la contestazione, introducendo per la prima volta la questione della indeducibilità del credito nei confronti di J. SPA, circostanza fondata sulla diversa prospettazione della indeducibilità delle perdite su crediti a norma dell’art. 66 TUIR, pro tempore, in relazione alla quale ritiene che costituisca domanda nuova, preclusa in appello.

1.4 – Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per carenza dei requisiti previsti dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, e art. 132 c.p.c., per motivazione apparente, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che la rinuncia al credito J. da parte della società conferente avrebbe giustificato la ripresa nei confronti della contribuente conferitaria.

1.5 – Con il quinto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 71 TUIR, commi 1 e 2, nella formulazione pro tempore, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto errata la determinazione dell’eccedenza imponibile. Evidenzia parte ricorrente che il giudice di appello avrebbe erroneamente ritenuto di fare applicazione dell’art. 71 TUIR, comma 1, e che la società contribuente avesse illegittimamente dedotto accantonamenti per un importo superiore alla soglia del 5% dell’ammontare del fondo. Deduce il ricorrente che la pretesa impositiva si riferiva alla determinazione dell’eccedenza imponibile determinatasi quale effetto del fatto che, a seguito del conferimento del ramo di azienda, la quota del fondo dedotto trasferita alla conferitaria era divenuta superiore al 5% dei crediti trasferiti presenti nel bilancio al 31 dicembre 2002, con conseguente applicazione dell’art. 71 TUIR, comma 2, e non del comma 1.

1.6 – Con il sesto motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 67, e dell’art. 127 TUIR, pro tempore, per avere la sentenza impugnata violato il divieto di doppia imposizione prima in capo alla conferente e poi a carico della conferitaria, odierna ricorrente, non potendo la stessa imposta essere ripresa in capo a due diversi contribuenti.

2 – Il terzo motivo, il quale riveste natura pregiudiziale, è inammissibile, posto che il ricorrente non riproduce il contenuto delle controdeduzioni del giudizio di primo grado e il contenuto dell’atto di appello, né allega quest’ultimo al ricorso, allo scopo di evidenziare in che termini l’atto di appello si discosterebbe dalle difese articolate in primo grado, al fine di accertare la ricorrenza di un motivo nuovo. L’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone, difatti, l’ammissibilità del motivo, sicché, ove si deduca l’esistenza di un motivo nuovo in appello, ai fini del rispetto del principio di specificità e autosufficienza del ricorso per cassazione, occorre che nel ricorso stesso siano riportati, nei loro esatti termini i passi delle difese contenute nel giudizio di primo grado con i quali la questione controversa è stata dedotta in giudizio e quelli dell’atto d’appello in cui sarebbe stata introdotto il nuovo motivo in appello (Cass., Sez. V, 14 aprile 2021, n. 9729; Cass., Sez. V, 9 aprile 2021, n. 9394; Cass., Sez. VI, 25 settembre 2019, n. 23834).

2.1 – Ad ogni modo, si osserva che è lo stesso ricorrente a evidenziare che l’indeducibilità del credito vantato nei confronti della partecipata J. SPA, conseguente a rinuncia volontaria da parte della conferente, aveva indotto l’Ufficio in sede amministrativa a ritenere che questo credito non potesse essere “spalmato” sia sulla quota tassata, sia sulla quota dedotta (pag. 8 ricorso) e, soprattutto, che lo stesso non si sarebbe potuto ricomprendere, ancorché pro quota nella quota dedotta, nel fondo svalutazione crediti; ciò in quanto tale fondo ha la funzione di fronteggiare i rischi di perdite su crediti iscritti in bilancio. Pertanto, di fronte a un credito portato a perdita in quanto irrecuperabile, non vi sarebbe stata ragione per l’Ufficio di continuare a tenere conto di una perdita potenziale (rischio), ove la perdita si fosse già verificata (“non si è in presenza di una perdita avente i requisiti di deducibilità fiscale, anzi, per espressa disposizione dell’art. 66 TUIR, comma 5, la rinuncia al credito va a incrementare il costo delle partecipazioni”: pag. 9 ricorso, ove si riproduce l’avviso impugnato). Circostanza evidenziata anche dalle controdeduzioni dell’Ufficio in prime cure, ove si deduceva – per come testualmente riportato dal ricorrente che “l’unico dato ricavabile dal secondo prospetto concerne la perdita del credito vantato nei confronti della J., imputata sia al fondo tassato che a quello in sospensione, circostanza, questa non coerente atteso che, trattandosi di rinuncia a crediti vantati nei confronti di un partecipata, fiscalmente la stessa va imputata ad incremento del costo della partecipazione” (pag. 12 ricorso). L’indeducibilità del credito, in quanto rinunciato dal conferente, è stata, pertanto, posta dall’Ufficio a fondamento della non imputabilità alla quota deducibile del fondo svalutazione crediti.

3 – Il quarto motivo, anch’esso pregiudiziale agli altri motivi, è infondato. Per consolidato orientamento di questa Corte, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi di violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, con conseguente nullità della sentenza o apparenza della stessa in caso di motivazione del tutto inidonea a far comprendere le ragioni della decisione (Cass., Sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass., VI, 25 settembre 2018, n. 22598).

3.1 – Il giudice di appello ha ritenuto, con motivazione succinta ma coerente, che l’avere la conferente portato a perdita (per rinuncia) il credito nei confronti della controllata J. ha comportato il mancato conferimento del credito nel ramo di azienda ceduto alla ricorrente, allo scopo di perseguire (per la conferente) vantaggi compensativi infragruppo (“il trattamento del credito estinto per remissione è evento che si è esaurito dal punto di vista civilistico e fiscale nel patrimonio della società conferente, in quanto, ha da un lato determinato l’inesigibilità definitiva del credito con conseguente rilevazione in bilancio della perdita, dall’altro, un incremento del valore della partecipazione nella controllata ormai sgravata del cospicuo indebitamento”). La rinuncia al credito e il mancato conferimento nel ramo di azienda ha, poi, comportato anche l’effetto che il credito rinunciato dalla conferente non venisse conferito nel ramo di azienda trasferito alla conferitaria (senza refluenza sul patrimonio della società conferitaria e, segnatamente, sul volume dei crediti trasferiti alla RAGE, nel cumulo dei quali nulla avrebbe dovuto iscriversi per il rischio credito I.”). La sentenza impugnata pone, effettivamente, l’accento anche su circostanze estranee all’accertamento nei confronti della contribuente conferitaria (l’esistenza di vantaggi compensativi, consistente nell’incremento del valore della partecipazione della società controllata dalla conferente conseguente all’alleggerimento della posizione debitoria nei confronti della controllante, in quanto “sgravata del cospicuo indebitamento”), evidentemente legate alla probabile originaria strutturazione cuspidale dell’accertamento (rivolto sia alla conferente, sia alla conferitaria). Tuttavia, è stato ben evidenziato nella sentenza impugnata che la rinuncia al credito da parte della conferente (legata, secondo la motivazione della CTR, a logiche infragruppo) ha avuto la funzione di escludere dal monte crediti del ramo di azienda conferito il credito già vantato dalla conferente nei confronti della controllata J., con conseguente esclusione del credito suddetto dal fondo svalutazione crediti e, conseguentemente, dalla quota deducibile del fondo.

4 – Il primo motivo è inammissibile, in quanto tende a una revisione del ragionamento decisorio. Il ricorrente si duole, difatti, dell’omesso esame della documentazione, al fine di determinare la quota da imputare alle parti tassata e dedotta del fondo, laddove l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, qualora il fatto storico, rilevante in causa (la determinazione della quota da attribuire al fondo tassato e al fondo dedotto), sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. V, 30 marzo 2021, n. 8744; Cass., Sez. V, 21 aprile 2021, n. 10515; Cass., Sez. VI, 8 novembre 2019, n. 28887; Cass., Sez. II, 29 ottobre 2018, n. 27415); nel qual caso, il ricorso per cassazione avrebbe per oggetto una inammissibile rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., Sez. I, 4 marzo 2021, n. 5987).

5 – Il secondo e il sesto motivo, i quali possono essere valutati congiuntamente, sono infondati. Questa Corte afferma costantemente il principio secondo cui, in tema di imposte sui redditi, la doppia imposizione si verifica soltanto nell’ipotesi di due avvisi di accertamento che assoggettino a tassazione il medesimo presupposto, non quando l’imposta venga chiesta in pagamento a fronte di due diversi titoli a due soggetti diversi (Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27625). Detto principio, operante anche in materia di IVA, fa sorgere il diritto a richiedere il rimborso di quanto eventualmente versato (Cass., Sez. V, 24 settembre 2015, n. 18917; Cass., Sez. V, 20 giugno 2008, n. 16819) ma non può impedire l’ulteriore tassazione in capo ad altro contribuente. L’operatività del divieto di doppia imposizione, previsto dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 67, attiene, difatti, alla reiterata applicazione della medesima imposta in dipendenza dello stesso presupposto, il che non si verifica in caso di duplicità meramente economica di prelievo sullo stesso reddito, ove diversi sono i soggetti passivi, ovvero anche i requisiti posti a base delle due diverse imposizioni (Cass., Sez. V, 12 giugno 2002, n. 8351).

La sentenza impugnata, nella parte in cui non ha tenuto conto degli esiti dell’accertamento nei confronti della conferente, anche ai fini del rispetto del principio del divieto di doppia imposizione, non si è sottratta alla corretta applicazione dei suddetti principi.

6 – Il quinto motivo è infondato. Il fondo svalutazione crediti ha la funzione di adeguare contabilmente il valore nominale dei crediti commerciali al valore di realizzo, allo scopo di fronteggiare eventuali futuri rischi di credito, mediante iscrizione di una posta rettificativa della voce dell’attivo circolante dello stato patrimoniale “crediti verso clienti” di cui all’art. 2424 c.c., lett. C), II), n. 1).

Una quota parte di questo fondo civilistico è deducibile fiscalmente a termini dell’art. 71 TUIR, comma 1, pro tempore (“le svalutazioni dei crediti risultanti in bilancio, per l’importo non coperto da garanzia assicurativa (..) sono deducibili in ciascun esercizio nel limite dello 0,50 per cento del valore nominale o di acquisizione dei crediti stessi (…). La deduzione non è più ammessa quando l’ammontare complessivo delle svalutazioni e degli accantonamenti ha raggiunto il 5 per cento del valore (…) dei crediti risultanti in bilancio alla fine dell’esercizio”).

La norma (oggi art. 106 TUIR, comma 1), disciplina, pertanto, le modalità di formazione del fondo svalutazione crediti fiscalmente deducibile (fondo dedotto), quale quota parte del fondo svalutazione crediti civilistico a rettifica della voce dell’attivo circolante, che si ottiene calcolando lo 0,50% della massa complessiva del valore nominale dei crediti. L’entità del fondo dedotto non può superare l’ammontare complessivo del 5% dell’ammontare dei crediti, tenuto conto degli accantonamenti effettuati negli esercizi precedenti. La disposizione utilizza la tecnica della svalutazione generica (forfetaria), senza analisi dell’esigibilità dei singoli crediti, così monitorando per masse le perdite latenti (non ancora individuate) del portafoglio crediti conseguenti al rischio creditizio, non imputabili a specifiche posizioni debitorie. La quota civilistica del fondo eccedentaria quella dedotta è soggetta a tassazione (fondo tassato).

Appare evidente come la funzione del fondo svalutazione crediti (con cui vengono monitorate le perdite su crediti future) sia diversa da quella della perdita su crediti (art. 66 TUIR, pro tempore, attuale art. 101 TUIR, comma 5), che riguarda una perdita già in atto ascritta a una determinata posizione creditoria inesigibile, tale da incidere sul conto economico quale componente negativa di reddito.

6.1 – Il fondo dedotto deve, comunque, tenere conto, delle perdite su crediti verificatesi in ciascun esercizio (contabilizzate non per masse ma analiticamente in relazione a ciascuna posizione). Se, difatti, il fondo non venisse depurato dalle perdite verificatesi, non sarebbe più possibile incrementare la quota del fondo dedotto ove questo divenisse saturo, perdendo il fondo la funzione di monitorare i rischi di credito futuri. La naturale composizione dinamica (revolving) del fondo comporta, pertanto, che le perdite su crediti nelle more verificatesi (nel rispetto dell’art. 66 TUIR, pro tempore, attuale art. 101 TUIR), vadano eliminate dal fondo dedotto, in conformità a quanto dispone l’art. 71 TUIR, comma 2, pro tempore (“Le perdite sui crediti di cui al comma 1, determinate con riferimento al valore nominale o di acquisizione dei crediti stessi, sono deducibili a norma dell’art. 66, limitatamente alla parte che eccede l’ammontare complessivo delle svalutazioni e degli accantonamenti dedotti nei precedenti esercizi. Se in un esercizio l’ammontare complessivo delle svalutazioni e degli accantonamenti dedotti eccede il 5 per cento del valore (..) dei crediti, l’eccedenza concorre a formare il reddito dell’esercizio stesso”).

Quest’ultima disposizione disciplina, pertanto, le regole di utilizzo del fondo (già formatosi), al fine di imputare (fiscalmente) al fondo le perdite su crediti nelle more verificatesi. La regola utilizzata è quella della imputazione delle perdite prioritariamente alla quota dedotta del fondo sino a che lo stesso risulti capiente e, per la parte eccedentaria (oltre il 5% del fondo dedotto), del passaggio della perdita a conto economico, riducendo in tale misura il reddito imponibile dell’esercizio (“deducibili a norma dell’art. 66, limitatamente alla parte che eccede l’ammontare complessivo delle svalutazioni e degli accantonamenti dedotti”).

6.2 – Nella specie, il ricorrente non ha evidenziato in che termini la perdita sul credito J. avrebbe provocato un erroneo utilizzo del fondo. In ogni caso, decisiva appare l’osservazione secondo cui – come accertato dalla CTR – il credito nei confronti di J. SPA non è mai transitato nel monte crediti conferito a RAGE. Ne consegue che la perdita di tale credito, in quanto a priori esclusa dal ramo di azienda conferito, non può comportare l’utilizzo della quota dedotta del fondo svalutazione crediti. Il credito nei confronti di J. SPA, in quanto non oggetto di conferimento nel compendio aziendale – e, pertanto, mai entrato nel fondo svalutazione crediti – non può costituire perdita su crediti tale da movimentare la quota deducibile del fondo stesso già formatosi. Il ricorrente non ha, pertanto, ragione di dolersi dell’erronea applicazione dell’art. 71 TUIR, comma 2, pro tempore.

7 – Il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese regolate dalla soccombenza e liquidate come da dispositivo, oltre al raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in complessivi Euro 24.000,00 oltre spese prenotate a debito; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico di parte ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 11 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2021

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