Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19478 del 30/09/2016


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Cassazione civile sez. trib., 30/09/2016, (ud. 23/09/2015, dep. 30/09/2016), n.19478

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. CIRILLO Ettore – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11323-2009 proposto da: 17

FALLIMENTO (OMISSIS) SDF O (OMISSIS) SDF E PERSONALE SOCI in persona

del suo Curatore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA ORTI DELLA

FARNESINA 155, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIA ZHARA BUDA,

rappresentato e difeso dall’avvocato SALVATORE LA ROSA giusta delega

a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI CATANIA;

– intimato –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 66/2008 della COMM.TRIB.REG. DE4LLA SICILIA

SEZ.DIST. di CATANIA, depositata il 28/03/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/09/2015 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito per il ricorrente l’Avvocato ZHARA BUDA per delega

dell’Avvocato LA ROSA che si riporta agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, cha ha concluso per fondati i motivi 3 e 4 del

ricorso, assorbiti gli altri.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Fallimento della società di fatto Molini F.lli F. e dei soci, ha impugnato per cassazione, con ricorso ritualmente notificato alla Agenzia delle Entrate in data 11.5.2009, la sentenza della Commissione tributaria della regione Sicilia depositata in data 28.3.2008 e non notificata, con la quale era stata confermata la sentenza di prime cure che aveva ritenuto legittimo il diniego opposto dall’Ufficio di Catania, con silenzio-rifiuto, alla istanza -in data 4.2.2000 – di rimborso dell’IVA indebitamente versata dalla Curatela in dipendenza dell’atto pubblico, registrato in data 18.3.1983, avente ad oggetto la cessione dell’azienda, che doveva essere assoggettato soltanto alle imposte di registro, catastale e di trascrizione, come accertato con efficacia di giudicato con sentenza n. 169/1997 della medesima CTR che aveva ritenuto legittimo l’avviso di liquidazione emesso dal’Ufficio Registro di Palermo rigettando la opposizione proposta dal Fallimento.

La parte ricorrente deduce con tre mezzi di impugnazione – concernenti vizi di violazione di norme di diritto sostanziale e processuale e vizi logici di motivazione – la erroneità della statuizione dei Giudici di secondo grado i quali avevano rigettato l’appello proposto dal Fallimento della società e dei soci contribuenti, da un lato, ritenendo infondata la eccezione di prescrizione del diritto al rimborso formulata dall’Ufficio e dall’altro ritenendo insussistente il credito IVA vantato dal Fallimento, “stante l’avvenuta rivalsa del tributo nei confronti del cessionario e la detrazione del tributo da parte dello stesso”.

La parte intimata non ha svolto difese.

Il Fallimento ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso deve essere rigettato.

Dalla esposizione dei fatti compiuta dal Fallimento ricorrente, che trova riscontro anche nello svolgimento in fatto della sentenza di appello, risulta che la Curatela aveva versato all’Erario – come da quietanza in data 6.6.1983 – l’importo di Lire 252.000.000 a titolo di IVA liquidata sul prezzo corrispettivo della compravendita dei beni appartenenti alla società fallita stipulata con atto pubblico registrato in data 18.3.1983, scontando l’imposta di registro in misura fissa.

Notificato in data 21.10.1987 dall’Ufficio di Registro di Palermo l’avviso di liquidazione, con il quale si intimava il pagamento della imposta di registro in misura proporzionale in quanto l’atto concerneva non la vendita di beni-merce ma una cessione di azienda, il Fallimento proponeva opposizione che veniva definitivamente rigettata con sentenza della CTR siciliana n. 169 in data 7.7.1998 dovendo l’atto di compravendita ritenersi assoggettato alla (sola) imposta di registro, nonchè ipotecaria e catastale, in misura proporzionale. In conseguenza la Curatela, in data 4.2.2000, presentava istanza per il rimborso dell’IVA indebitamente pagata, ed a seguito della formazione del silenzio-rifuto della Amministrazione finanziaria, proponeva ricorso avanti la CTP per il riconoscimento del credito di rimborso, con atto notificato in data 7.9.2000.

Tanto premesso osserva il Collegio:

– il credito di rimborso nasce da indebita applicazione di imposta (IVA in luogo della

imposta di registro in misura proporzionale: art. 2, comma 3, lett. b), Dpr n 633/1972 nel testo vigente ratione temporis “Non sono considerate cessioni di beni b) le cessioni che hanno per oggetto aziende, compresi i complessi aziendali relativi a singoli rami dell’impresa;…”), versata nel 1983, e pertanto, trattandosi di domanda di rimborso non rientrante tra quelle previste dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 30 rimane soggetta al termine di “decadenza” biennale del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16, comma 6, come sostituito dal D.P.R. 3 novembre 1981, n. 739, art. 7 non trovando applicazione il termine ordinario di “prescrizione” dei diritti, relativo alla azione comune di restituzione del’ indebito oggettivo ex art. 2033 c.c. (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 16477 del 20/08/2004; id. Sez. 5, Sentenza n. 8461 del 22/04/2005; id. Sez. 5, Sentenza n. 27057 del 13/11/2008; id. Sez. 5, Sentenza n. 12433 del 08/06/2011 – con riferimento alla analoga disposizione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2).

la predetta disposizione (successivamente riprodotta nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2), vigente al tempo della stipula dell’atto pubblico e del pagamento dell’indebito, stabiliva infatti che “In caso di versamento diretto o qualora manchino o non siano stati notificati gli atti indicati nel primo comma, il contribuente che ritiene di aver diritto a rimborsi ne fa istanza all’ufficio tributario competente nei termini previsti dalle singole leggi d’imposta o, in mancanza di disposizioni specifiche, entro due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui sia sorto il diritto alla restituzione.”: non essendo prevista una specifica disciplina dei termini di rimborso per l’IVA, la restituzione dell’indebito oggetto della presente controversia, rimaneva regolata, pertanto, da tale disposizione tributaria (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 15840 del 12/07/2006 che, puntualmente rileva come, “nell’ordinamento tributario vige, per la ripetizione del pagamento indebito, un regime speciale basato sull’istanza di parte, da presentare, a pena di decadenza, nel termine previsto dalle singole leggi di imposta (in specie, per i rimborsi di versamenti diretti attinenti alle imposte sui redditi, dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38) o, comunque, in difetto, dalle norme sul contenzioso tributario (D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16, comma 6, e, ora, D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 1, lett. g, e art. 21, comma 2), regime che impedisce, in linea di principio, l’applicazione della disciplina prevista per l’indebito di diritto comune. Ne discende che, da un lato, all’istituto del rimborso su istanza di parte deve riconoscersi carattere di regola generale in materia tributaria – idonea, come tale, ad orientare anche l’interprete -, e, dall’altro, le norme che contemplano l’istituto del rimborso ufficioso (che, ove applicabile, esclude ovviamente l’operatività del primo), data la loro natura eccezionale, vanno considerate di stretta interpretazione”. Sul carattere residuale del termine biennale di cui al D.P.R. n. 636 del 1972, art. 16, comma 6 cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 3662 del 24/02/2004).

la CTR ha rigettato la eccezione di “prescrizione del diritto” proposta dall’Ufficio finanziario. Non è dato rilevare dalla lettura della sentenza impugnata nè dal ricorso per cassazione se fosse stata eccepita anche la indicata decadenza, che tuttavia, in quanto posta a favore della Amministrazione finanziaria ed a tutela di diritti indisponibili dello Stato (esigenza di assicurare la stabilità delle entrate tributarie entro un periodo di tempo definito), può essere rilevata – sempre e comunque – anche “ex officio”, ed anche per la prima volta nel giudizio di legittimità ex art. 2969 c.c., salvo che sulla questione della decadenza si sia formato un giudicato interno (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 8606 del 02/10/1996; id. Sez. 5, Sentenza n. 1605 del 25/01/2008; id. Sez. 5, Sentenza n. 791 del 14/01/2011; id. Sez. 5, Sentenza n. 4670 del 23/03/2012; id. Sez. 6 – 5, Sentenza n. 317 del 13/01/2015), e purchè le circostanze di fatto poste a fondamento della eccezione medesima (data di versamento della imposta; data di inoltro della istanza di rimborso) risultino già acquisite al giudizio e non occorra procedere ad ulteriori accertamenti in fatto (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 24226 del 30/12/2004; id. Sez. 5, Sentenza n. 5862 del 08/03/2013);

– va dato quindi seguito al principio di diritto enunciato da questa Corte, in precedente del tutto identico, secondo cui “L’istanza di rimborso dell’ imposta, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16, comma 6, come sostituito dal D.P.R. 3 novembre 1981, n. 739, art. 7 in caso di versamento diretto, va presentata all’ufficio tributario competente dal contribuente che ritenga di averne diritto, nel termine, in mancanza di disposizioni specifiche, di due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui sia sorto il diritto alla restituzione. Ne consegue, in relazione ad operazione rientrante in un’ipotesi di cessione di azienda ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 2 come tale assoggettabile alla sola imposta di registro, che il diritto alla restituzione dell’IVA erroneamente versata dal cedente, trattandosi di pagamento indebito sin dall’origine, sorge già con il versamento, sicchè è da tale data che decorre il termine biennale per la domanda di rimborso di cui al detto art. 16, non sussistendo norme specifiche applicabili al caso; non rileva, in proposito, l’incertezza soggettiva sul diritto al rimborso, che è questione di mero fatto, non incidente sulla possibilità giuridica di ripetere l’indebito e, quindi, sulla decorrenza del termine, in base al principio generale di cui all’art. 2935 c.c.” (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 3306 del 19/02/2004), dovendo farsi, in conseguenza, esclusivamente riferimento alla data del versamento, ai fini della individuazione del “dies a quo” di decorrenza del termine biennale di decadenza, non rilevando al riguardo fatti od eventi sopravvenuti, non costituenti ostacolo giuridico all’esercizio del diritto al rimborso (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 12447 del 08/06/2011; analogamente in tema di prescrizione vedi: Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 20863 del 08/10/2010, per cui il termine ex art. 2935 c.c. decorre dalla data di versamento del tributo anche nel caso di rimborso delle imposte indebitamente corrisposte, per i tributi dichiarati costituzionalmente illegittimi o in contrasto, sin dall’origine, con l’ordinamento comunitario).

Orbene dall’esame degli atti regolamentari del fascicolo di ufficio (ricorso per cassazione, pag. 2) risulta che il pagamento dell’IVA è stato eseguito dalla Curatela in data 6.6.1983. La istanza di rimborso dell’indebito, trasmessa all’Ufficio finanziario in data 4.2.2000, è stata, pertanto, presentata oltre il termine di decadenza biennale di cui al D.P.R. n. 636 del 1972, art. 16, comma 6 dovendo in conseguenza, essere rilevata in via pregiudiziale, la estinzione del diritto fatto valere in giudizio dal Fallimento, non potendo, in contrario, ravvisarsi un impedimento giuridico all’esercizio del diritto al rimborso dell’indebito, la pendenza del giudizio tributario avente ad oggetto la contestazione da parte del Fallimento della diversa imposta di registro vantata dalla Amministrazione finanziaria, nè potendo assumere rilevanza, quale impedimento della decadenza ex art. 2966 c.c., l’implicito riconoscimento del diritto al rimborso dell’IVA, desumibile dall’avviso di liquidazione, notificato dall’Ufficio del Registro di Palermo in data 21.10.1987 sul presupposto dell’assoggettamento del contratto di compravendita alla imposta di registro in misura proporzionale invece che ad IVA, atteso che la norma sulla decadenza è posta a tutela di diritti patrimoniali indisponibili della PA, e la istanza di rimborso risulta, in ogni caso, proposta successivamente anche alla scadenza del termine biennale di decadenza, decorrente dalla data di notifica dell’atto impositivo in questione.

In conclusione la rilevata decadenza del diritto al rimborso, determina la cassazione della sentenza impugnata, senza rinvio ex art. 382 c.p.c., comma 3 in quanto il ricorso introduttivo non poteva essere proposto.

Non avendo svolto difese la parte intimata, non debbono essere liquidate le spese del giudizio di legittimità, mentre vanno dichiarate interamente compensate le spese relative ai gradi di merito.

PQM

La Corte:

– pronunciando sul ricorso e rilevata la decadenza del diritto al rimborso, cassa senza rinvio la sentenza impugnata, in quanto il ricorso introduttivo non poteva essere proposto, dichiarando interamente compensate le spese di lite relative ai gradi di merito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 settembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2016

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