Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19470 del 18/07/2019

Cassazione civile sez. I, 18/07/2019, (ud. 24/06/2019, dep. 18/07/2019), n.19470

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16130/2014 proposto da:

Imprepar- I. Partecipazioni S.p.a., in proprio e quale

mandataria dell’ATIi con aleandri s.r.l., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Papiniano n. 29, presso lo studio dell’avvocato Nitti Paolo, che la

rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune di Bari, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, Viale delle Milizie n. 2, presso lo studio

dell’avvocato Ciociola Roberto, rappresentato e difeso d

all’avvocato Labellarte Alessandro, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 376/2013 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 06/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/06/2019 dal cons. LAMORGESE ANTONIO PIETRO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

D.M.A., ha convenuto in giudizio il Comune di Bari e la I. spa e ne ha chiesto la condanna al risarcimento del danno e al pagamento dell’indennità di occupazione legittima di un fondo irreversibilmente trasformato, costituente oggetto di un procedimento ablatorio non concluso con l’emissione del decreto di espropriazione.

Entrambi i convenuti hanno contestato la propria legittimazione passiva e il Comune ha chiesto di essere garantito dalla concessionaria I..

Nel corso del giudizio la D.M. ha transatto la lite con il Comune di Bari, mediante stipula di atto pubblico del 23 ottobre 2003.

Il Tribunale di Bari, con sentenza del 22 novembre 2007, ha dichiarato cessata la materia del contendere nel rapporto processuale con l’attrice ed ha rigettato la domanda di garanzia del Comune contro I..

Il gravame del Comune è stato accolto dalla Corte d’appello di Bari, con sentenza del 6 maggio 2013, che ha condannato I. e la cessionaria del ramo di azienda, Imprepar- I. Partecipazioni spa, a tenere indenne il Comune da quanto dovuto all’attrice in relazione all’indicata transazione.

Ad avviso della Corte, nei rapporti interni, la Imprepar- I. Partecipazioni era l’unico responsabile del danno quantificato nella transazione e doveva risponderne, in virtù di clausola di manleva contenuta nella convenzione, interpretata nel senso di esonerare il Comune dalle conseguenze risarcitorie dell’illecito.

Avverso questa sentenza la Imprepar- I. ha proposto ricorso per cassazione, resistito dal Comune di Bari.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e ss., e art. 115 c.p.c., nonchè omesso esame di fatti decisivi, per avere la Corte d’appello ritenuto sussistente la propria legittimazione passiva e, quindi, responsabilità nella vicenda, omettendo di accertare il ruolo e le responsabilità del Comune di Bari e di Imprepar- I. e di considerare che l’accordo transattivo raggiunto con il privato dimostrava una ammissione di titolarità dell’obbligazione risarcitoria in capo al solo Comune, con effetto liberatorio verso il condebitore solidale che implicitamente se ne era avvalso, a norma dell’art. 1304 c.c., non avendone contestato la validità e convenienza.

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e ss., e art. 115 c.p.c., per avere ritenuto fondata la manleva da parte del Comune di Bari, in relazione agli oneri espropriativi, omettendo di accertare la fondatezza della relativa domanda e di valutare l’inefficacia della convenzione inter-partes che si assume erroneamente interpretata (non era diretta a coprire incondizionatamente ogni ipotesi di rischio riferibile a pregiudizi ascrivibili a fatto doloso o colposo del Comune nella realizzazione dell’opera); la ricorrente deduce la esclusiva o concorrente responsabilità del Comune per effetto dell’intervenuto accordo transattivo siglato direttamente con l’attrice nel giudizio di primo grado e l’intervenuta risoluzione della predetta convenzione.

Entrambi i motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati e in parte inammissibili.

La Corte di merito ha accertato la corresponsabilità della I. per l’illegittima occupazione e trasformazione dell’immobile privato: essendo concessionaria del Comune di Bari ed avendo proceduto alla materiale apprensione del bene, all’esecuzione dell’opera e al compimento delle necessarie attività anche giuridiche, essa è stata ritenuta titolare passiva del rapporto obbligatorio, collegato ai danni arrecati al proprietario dal compimento della illegittima attività. La contestazione mossa al riguardo dalla ricorrente, da un lato, contrasta con l’univoca giurisprudenza di legittimità cui la sentenza impugnata si è attenuta (tra le tante Cass. n. 23639 del 2016, n. 8692 del 2013, n. 4817 del 2009) e, dall’altro, si risolve in una inammissibile pretesa di rivisitare accertamenti di fatto compiuti dai giudici di merito.

La I. sostiene che la transazione con la D.M. dimostrerebbe l’esclusiva responsabilità del Comune di Bari che l’aveva stipulata e, allo stesso tempo, la propria liberazione dalle conseguenze dell’illecito.

E’ una tesi che contraddice l’assunto, poichè se l’ I. rivendica di essersi implicitamente avvalsa della transazione, è perchè esiste una propria obbligazione solidale con il Comune nei confronti del privato, ciò dimostrando che la transazione è stata stipulata per l’intero debito solidale (cui unicamente si riferisce l’art. 1304 c.c., comma 1) e, soprattutto, che essa è valida ed efficace, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso.

Ne consegue allora che il Comune di Bari che ha pagato l’intero debito in favore del creditore, in forza della transazione, validamente ha esercitato il regresso, a norma dell’art. 1299 c.c., nei rapporti interni con l’ I., condebitore solidale. E se è vero che colui che ha corrisposto l’intero credito ha il regresso nella misura determinata dalla gravità delle rispettive colpe e dalle conseguenze da esse derivanti (art. 2055, commi 2 e 3, c.c.), è perfettamente lecita la clausola contrattuale tendente a regolare nei rapporti interni l’azione di regresso tra i due corresponsabili del fatto illecito in modo difforme da quanto prescritto dall’art. 2055 c.c., addossando tutto l’onere della responsabilità ad uno dei soggetti (Cass. n. 1646 del 1968), come è avvenuto nel caso in esame.

La convenzione in questione, per come interpretata dai giudici di merito, infatti, ha posto gli oneri connessi alle espropriazioni integralmente a carico della concessionaria, cui il Comune ha trasferito l’obbligazione risarcitoria che è alla base della rivalsa (nel caso esaminato da Cass. n. 6518 del 2007, il capitolato d’appalto prevedeva invece che il committente rimborsasse all’impresa appaltatrice le somme inerenti alle espropriazioni e ai danni).

L’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto che è affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali d’interpretazione contrattuale di cui all’art. 1362 c.c. e ss.; il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni la sentenza impugnata si sia discostata dai richiamati canoni legali (Cass. n. 27136 del 2017). Sotto questo profilo, i motivi sono inammissibili, proponendo impropriamente una opzione ermeneutica alternativa a quella effettuata dai giudici del merito.

In conclusione, il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 5200,00, di cui Euro 5000,00 per compensi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 24 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2019

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