Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19466 del 03/08/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 03/08/2017, (ud. 05/07/2017, dep.03/08/2017),  n. 19466

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8966/2016 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante, in proprio e quale procuratore speciale della

SOCIETA’ DI CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI INPS (SCCI) SPA,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli

avvocati CARLA D’ALOISIO, EMANUELE DE ROSE, ANTONINO SGROI, LELIO

MARITATO;

– ricorrente –

contro

C.C., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIUSEPPE CIMINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 85/2015 del TRIBUNALE di NOVARA, depositata il

20/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 05/07/2017 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. C.C., socio accomandatario della Ideambiente s.n.c. di C.C. & c., ha proposto opposizione contro l’avviso di addebito avente ad oggetto il pagamento di contributi da versare alla Gestione commercianti dell’Inps per gli anni 2006, 2011 e 2012;

2. Il Tribunale di Novara ha accolto l’opposizione e ha annullato l’atto, accertando che l’attività del socio diretta alla gestione degli immobili di proprietà della società (due lotti) attraverso la stipulazione di contratti di locazione e la riscossione dei relativi canoni costituiva attività di mero godimento; che dall’ottobre 1996 la società aveva cessato di svolgere attività diretta alla compravendita, costruzione e gestione di immobili; che gli unici introiti erano costituiti dai due contratti di locazione; che la gestione amministrativa e contabile fiscale era affidata ad uno studio di consulenza; che pertanto tale attività non poteva essere considerata attività commerciale, sicchè mancava il presupposto per l’iscrizione nella relativa gestione.

3. La Corte d’appello di Torino ha dichiarato con ordinanza del 3/2/2016, letta in udienza e resa ex art. 348 bis c.p.c., inammissibile l’appello proposto dall’Inps sul presupposto che non avesse ragionevole probabilità di essere accolto.

4. Contro la sentenza l’Inps propone ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo. La parte intimata resiste con controricorso.

5. la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale non partecipata;

6. il collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che

1. con il ricorso in esame l’Inps deduce la violazione e la falsa applicazione della L. 22 luglio 1966, n. 613, art. 1; L. 27 novembre 1960, n. 1397, art. 1, come modificato dalla L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 203, L. n. 1397 del 1960, art. 2 e degli artt. 2313,2318 e 2697 c.c..

2. il ricorso è inammissibile ex art. 360 bis c.p.c., n. 1 (anche alla luce di Cass. Sez. Un. 21/3/2017, n. 7155), in quanto il provvedimento impugnato ha deciso la questione di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per mutare l’orientamento espresso in fattispecie del tutto sovrapponibili al caso in esame (cfr. Cass. ord., 11/2/2013, n. 3145; Cass. 6.9.2016 n. 17643; Cass. 25/8/2016, n. 17328);

3. presupposto per l’iscrizione alla gestione commercianti, in forza della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 203, che ha modificato della L. n. 160 del 1975, art. 29 e della L. n. 45 del 1986, art. 3, è lo svolgimento da parte dell’interessato di attività commerciale;

4. la società di persone che svolge un’attività volta alla locazione di immobili di sua proprietà e alla riscossione dei canoni di locazione non svolge un’attività commerciale ai fini previdenziali, a meno che essa non si inserisca in una più ampia di prestazione di servizi quale l’attività di intermediazione immobiliare (Cass. ord., 11/2/2013, n. 3145; Cass. 6/9/2016, n. 17643; Cass. Ord., 16/12/2016, n. 25017);

5. non rileva di per sè il contenuto dell’oggetto sociale, ma si deve considerare lo svolgimento in concreto di un’attività commerciale (Cass. n. 25017/2016), sicchè diviene irrilevante la circostanza che ad esercitare l’attività di godimento del bene sia una società commerciale (Cass. n. 3145/2013), salvo che si dia prova tale attività non rientri in quella di intermediazione immobiliare (Cass. n. 845/2010), così come non rileva che la parte ricorrente non svolgeva in quegli anni altra attività lavorativa e che l’attività di gestione non era delegato ad altri soci;

6. l’eventuale impiego dello schema societario per attività di mero godimento, in implicito contrasto con il disposto dell’art. 2248 c.c., non può trovare una sanzione indiretta nel riconoscimento di un obbligo contributivo di cui difettino i presupposti propri, per come sopra ricostruiti;

7. l’accertamento della sussistenza (o meno) dei requisiti necessari per l’iscrizione è stato compiuto dalla Corte territoriale, che, in coerenza con i principi regolatori della materia, ha espresso il suo convincimento con motivazione adeguata ed immune da vizi, rilevando che l’attività svolta dalla società era limitata al godimento di parte degli immobili di cui era proprietaria, e non anche all’attività di intermediazione;

8. dal rigetto del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come da dispositivo;

9. sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

 

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna l’Inps al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.500,00 per compensi professionali e Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese generali nella misura del 15% e agli altri accessori di legge.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 5 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2017

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