Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19465 del 18/07/2019

Cassazione civile sez. I, 18/07/2019, (ud. 15/05/2019, dep. 18/07/2019), n.19465

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21057/2014 proposto da:

C.E., e CO.Ma. elettivamente domiciliati in Roma,

Via Vincenzo Arangio Ruiz, 23 presso lo studio dell’avvocato

Pierfrancesco Macone Paolo che li rappresenta e difende giusta

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

ROMA CAPITALE, in persona del Sindaco p.t., elettivamente domiciliata

in Roma, presso gli Uffici dell’Avvocatura Capitolina, Via del

Tempio di Giove, 21 e rappresentata e difesa dall’avvocato Domenico

Rossi giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3141/2013 della Corte di appello di Roma,

depositata il 29/05/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/05/2019 dal Cons. Dott. Laura Scalia.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C.E. e Co.Ma. ricorrono in cassazione con tre motivi per l’annullamento della sentenza della Corte di appello di Roma, in epigrafe indicata, che, decidendo sulla domanda dai primi proposta D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 54 rideterminava in via equitativa, nella misura di cinquanta mila Euro, l’indennità di esproprio – già fissata dal Comune di Roma nella misura di Euro 9.682,81, a seguito della ablazione disposta con D. Dirig. 18 luglio 2007, n. 34 – dell’area urbana, qualificata come edificabile, distinta in catasto al foglio (OMISSIS) per mq 408, di proprietà degli istanti per 50/100.

2. La Corte territoriale ritenuta l’area in questione ricompresa nella “Zona C” del P.R.G. del 1965 con destinazione a “ridimensionamento viario ed edilizio anche al fine di realizzare spazi liberi, verde e servizi pubblici” ed esclusa la realizzabilità di nuove edificazioni, nella apprezzata incapacità dell’Accordo di Programma diretto alla riqualificazione edilizia del “(OMISSIS)”, zona del perimetro romano in cui il terreno era ricompreso, ad operare in difformità al PRG, quantificava nei termini indicati l’indennità di occupazione, dopo aver stimato dell’area in questione la destinazione a parcheggio come “la più plausibile, utile ed economicamente conveniente destinazione”, collocandosi la prima all’interno di un contesto edilizio consolidato, in cui restava esclusa la destinazione agricola.

Resiste con controricorso Roma Capitale.

I ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si denuncia l’error in iudicando, in relazione al D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32 e 37 in cui sarebbe incorsa la Corte di appello che, nel determinare in cinquanta mila Euro l’indennità di esproprio, non avrebbe osservato la distinzione dei suoli tra “edificabili” e “non edificabili”, o agricoli, distinzione che, rigida, non avrebbe ammesso il riconoscimento di figure intermedie.

L’area in questione avrebbe avuto natura edificabile, come risultava dal decreto di esproprio e dalla disposta c.t.u., che aveva quantificato l’indennità di esproprio in Euro 105.676,00, in applicazione dell’indice di fabbricabilità comprensoriale, dopo aver accertato l’interessamento del terreno ablato nel “Programma di riqualificazione urbana del (OMISSIS)”, cui era seguito l’Accordo di Programma del 24 settembre 2008 che avrebbe, come tale, comportato una variazione allo strumento urbanistico generale.

Alla nozione di edificabilità avrebbe dovuto ricondursi non solo quella residenziale abitativa, ma ogni forma di trasformazione del territorio su iniziativa privata ivi comprese le aree destinate a parcheggio ed infrastrutture.

Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza e manifesta infondatezza.

La questione sottesa alla portata critica è quella della qualificazione da darsi ad un terreno espropriato in applicazione della generale categoria della edificabilità legale venendo, più puntualmente, in contestazione se l’Accordo di programma sulla riqualificazione del (OMISSIS), area romana, costituisca variante al PRG D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 34.

Sull’indicata premessa i ricorrenti non provvedono ad indicare puntualmente in quale zona il fondo espropriato sia ricompreso secondo variante e se essa abbia specifica destinazione urbanistica, non bastando a tal fine richiamare l'”Accordo di programma” di cui non si chiariscano i contenuti.

La zona a cui ascrivere l’area ablata parrebbe la “D” (edificabilità residenziale), e tanto giusta i contenuti delle deduzioni dell’amministrazione comunale riportati in sentenza (p. 3) e, ancora, del controricorso, ma una siffatta ricostruzione della critica, del tutto eccentrica ed esterna al motivo, oblitera per ciò stesso ed in modo inammissibile ogni ragione di completezza della prima.

L’autosufficienza del motivo del ricorso per cassazione deve ritenersi non solo per le strette ragioni di fatto poste a suo fondamento, ma anche per quelle di diritto ove esse siano integrative delle prime e tali sono, ove venga in contestazione la qualificazione urbanistica di un fondo ai fini della determinazione della indennità di esproprio in forza del valore venale del primo, le previsioni dello strumento generale di governo del territorio, o di altro equiparato, che valgano a segnalare il mancato rispetto del criterio della edificabilità legale.

La categoria della “edificabilità legale”, per la distinzione tra suoli edificabili e non, applicata ad un’area ablata ai fini della individuazione del suo valore venale e quindi della determinazione della relativa indennità di esproprio, resta definita dall’individuazione della zonizzazione o classificazione del bene secondo lo strumento generale di governo del territorio, o ad esso assimilato, e non rileva quindi ai fini del sindacato di legittimità la mera denuncia della illegalità del criterio applicato.

D’altro canto la soluzione cui è pervenuta la Corte di appello per l’impugnata sentenza (con ricomprensione, secondo il PRG del 1965 del terreno in questione nella Zona C, destinata al “ridimensionamento viario ed edilizio anche al fine di realizzare spazi liberi, verde e servizi pubblici”), e quindi con destinazione a parcheggio dell’area in questione, non soffre di illegittimità, essendo rispettosa di quella destinazione intermedia tra l’agricola e la edificatoria consentita per consolidata giurisprudenza di legittimità in ipotesi di terreni non legalmente edificabili.

Il motivo è pertanto, ed anche, manifestamente infondato perchè muove dalla premessa che la Corte di appello abbia valutato l’area di proprietà dei ricorrenti secondo un’edificabilità “affievolita”, in applicazione di un criterio di stima rispondente ad un terzo genere e come tale non rispettoso del criterio legale che conosce delle due sole categorie dell’area edificabile e non edificabile.

Per orientamento costante di legittimità, in seguito alla sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 2011, diretta a conformare il diritto interno ai principi posti dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, il sistema indennitario resta, ormai, svincolato da valori tabellari e formule mediane (queste dichiarate incostituzionali con sentenze n. 348 e 349 del 2007) ed invece agganciato al valore venale del bene.

Ferma la distinzione tra suoli edificabili e non edificabili, che è imposta dalla disciplina urbanistica in funzione della razionale programmazione del territorio – anche ai fini della conservazione di spazi a beneficio della collettività e della realizzazione di servizi pubblici – e che le regole di mercato non possono travalicare, la ricomprensione dei suoli nell’uno o nell’altro ambito va effettuata in ragione del criterio dell’edificabilità legale, posto dalla L. n. 359 del 1992, art. 5-bis, comma 3, tuttora vigente, e recepito nel T.U. espropriazioni artt. 32 e 37 (Cass. 7987/2011; 9891/2007; 3838/2004; 10570/2003; SSUU nn. 172 e 173/2001).

Devono pertanto escludersi le possibilità legali di edificazione tutte le volte in cui per lo strumento urbanistico vigente all’epoca in cui deve compiersi la ricognizione legale, la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità ecc.) (in termini, tra le altre: Cass. 15269/2014).

Rientrando nella nozione tecnica di edificazione l’edilizia privata esprimibile dal proprietario dell’area secondo il regime autorizzatorio previsto dalla vigente legislazione, ai fini indennitari deve tenersi conto delle possibilità di utilizzazione intermedia tra l’agricola e l’edificatoria (parcheggi, depositi, attività sportive e ricreative, chioschi per la vendita di prodotti, ecc.), sempre che siano assentite dalla normativa vigente, sia pure con il conseguimento delle opportune autorizzazioni amministrative. (Cass. 01/02/2019 n. 3168; in termini, da ultimo: Cass. 06/03/2019 n. 6527).

2. Con il secondo motivo si fa valere l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La Corte di appello non avrebbe esaminato in alcun modo le risultanze della disposta c.t.u. che, in risposta al quesito n. 2, aveva qualificato l’area in questione come edificabile a tutti gli effetti, e, non osservando i criteri di calcolo proposti dal c.t.u. e dal c.t.p. -che avevano, rispettivamente, applicato gli indici di fabbricabilità comprensoriale e fondiaria – non avrebbe neppure dato conto del diverso percorso logico e di calcolo seguito per la determinazione dell’indennità.

La critica, confusa nei sui contenuti là dove discorre dell’accordo di programma come strumento di attuazione del PRG salvo poi a richiamarne la natura di variante per i contenuti virgolettati della c.t.u., resta assorbita dalla valutazione qui condotta sul primo motivo di ricorso. E’ irrilevante infatti la contestazione da mancato confronto dell’impugnata sentenza con la c.t.u. ove il motivo di ricorso difetti di una autonoma definizione del contestato parametro della edificabilità legale.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti deducono la violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 2, nella parte in cui la Corte di appello aveva ritenuto inammissibile, in quanto dedotta solo nella comparsa conclusionale, la domanda sull’aumento dell’indennità del 10% ex legge finanziaria dell’anno 2008, n. 244 del 2007, art. 2, commi 89 e 90, inserito nel D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 2 in quanto introduttiva di una modifica della domanda proposta in citazione.

L’opposizione alla stima avrebbe infatti ad oggetto l’accertamento della giusta indennità, e quindi di quanto dovuto per legge, e pertanto il giudice non è vincolato alle domande delle parti.

Il motivo è infondato.

Il D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 2, stabilisce che “Nei casi in cui è stato concluso l’accordo di cessione, o quando esso non è stato concluso per fatto non imputabile all’espropriato ovvero perchè a questi è stata offerta un’indennità provvisoria che, attualizzata, risulta inferiore agli otto decimi in quella determinata in via definitiva, l’indennità è aumentata del 10 per cento”.

Come da questa Corte di legittimità chiarito, “nella determinazione dell’indennità di espropriazione, a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis, commi 1 e 2, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1992, n. 359 (sentenza n. 348 del 2007), i criteri previsti dalla L. 24 dicembre 2007, n. 244, art. 2, comma 89, in quanto introdotti come modifica dal D.P.R. n. 8 giugno 2001, n. 327, art. 37, commi 1 e 2 (t. u. espropriazioni), si applicano soltanto alle procedure espropriative soggette al predetto Testo Unico – cioè quelle in cui la dichiarazione di pubblica utilità sia intervenuta dopo la sua entrata in vigore (30 giugno 2003), secondo le previsioni dell’art. 57, come modificato dal D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302 mentre nelle procedure soggette al regime pregresso rivive la L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39 e va, quindi, fatto riferimento al valore di mercato, atteso che la norma intertemporale di cui alla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 90, prevede la retroattività della nuova disciplina di determinazione dell’indennità espropriativa solo per i procedimenti espropriativi in corso, e non anche per i giudizi” (Cass. 19/03/2013 n. 6798; Id., 18/08/2017 n. 20177).

In ragione dell’epoca in cui è intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità, pacificamente in data anteriore a quella di entrata in vigore del Testo Unico sull’esproprio, nella irretroattività della previsione indicata, la stessa non può applicarsi alla fattispecie in esame.

4. Il ricorso va in via conclusiva dichiarato inammissibile, con condanna dei ricorrenti, in solido, a rifondere a Roma Capitale le spese di lite che vengono liquidate per questa fase del giudizio in Euro 4.100,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 17 va dichiarata la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, a rifondere a Roma Capitale le spese di lite che liquida in Euro 4.100,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali al 15% forfettario sul compenso ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2019

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