Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19464 del 03/08/2017


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile, sez. VI, 03/08/2017, (ud. 06/06/2017, dep.03/08/2017),  n. 19464

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21395/2015 proposto da:

M.M.T.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CONCA D’ORO 184/190, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO

DISCEPOLO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

AZIENDA SANITARIA UNICA REGIONALE MARCHE – ASUR – C.F. e P.I.

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OSLAVIA 40, presso

lo studio dell’avvocato MARIA GRANILLO, rappresentata e difesa

dall’avvocato LUCA FORTE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 45/2015 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 17/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 06/06/2017 dal Consigliere Dott. GIULIO FERNANDES.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza del 17 marzo 2015, la Corte di Appello di Ancona confermava la decisione del Tribunale di Macerata di rigetto della domanda proposta da M.M.T.P. nei confronti dell’Azienda Sanitaria Unica regionale Marche intesa ad ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito una serie di comportamenti vessatori e persecutori asseritamente integranti “straining” o “mobbing” posti in essere dalla convenuta negli ultimi anni del rapporto di lavoro conclusosi nel 2010 a seguito di licenziamento per superamento del limite del periodo di comporto;

che, ad avviso della Corte territoriale, correttamente il Tribunale aveva ritenuto non provata nè l’illegittimità dei comportamenti del datore di lavoro, nè la sussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare tutti gli episodi addotti dall’interessata e, quindi, la ricorrenza di una condotta di “mobbing” o di “straining”;

che per la cassazione di tale decisione propone ricorso la M. affidato ad un unico motivo cui l’Azienda Sanitaria resiste con controricorso;

che è stata depositata la proposta del relatore ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio;

che entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c.: la ricorrente chiedendo, preliminarmente, la sospensione del giudizio ai sensi del D.L. 17 ottobre 2016, n. 189, art. 49, conv. con modifiche in L. 15 dicembre 2016, n. 229 e, nel merito, ribadendo le argomentazioni di cui al ricorso; la ASUR ha aderito alla proposta del relatore;

che alla adunanza dell’8 febbraio 2017 la Corte rinviava la causa a quella odierna in applicazione del D.L. n. 189 del 2016, art. 49, comma 6, conv. in L. n. 229 del 2016, in quanto la ricorrente risultava residente nel comune di Serrapetrona (MC) incluso nell’elenco dei comuni di cui all’allegato 2 di detta legge;

che il Collegio ha deliberato di adottare la motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che con l’unico motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 e 2043 c.c. e “dei principi fondamentali in tema di risarcimento del danno..” nonchè dell’art. 2697 c.c. e dei “..principi generali in tema di prove..” ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti evidenziandosi che dalla documentazione acquisita agli atti e dalle risultanze della prova orale era rimasto provato il comportamento vessatorio tenuto dalla datrice di lavoro, contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale sulla scorta di un non corretto scrutinio delle emergenze istruttorie e di una motivazione insufficiente e contraddittoria che non aveva valutato che la esistenza del nesso causale tra la condotta del datore di lavoro e la malattia diagnosticata alla M. era stata provata dalle perizie mediche acquisite agli atti;

che il motivo è inammissibile in quanto nonostante il formale richiamo contenuto nell’intestazione a plurime violazioni di norme di legge, si risolve nella denuncia di una errata o omessa valutazione del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti alfine di ottenere una rivisitazione del merito della controversia non ammissibile in questa sede; invero, è stato in più occasioni affermato dalla giurisprudenza di legittimità che la valutazione delle emergenze probatorie, come la scelta, tra le varie risultanze, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (cfr., e plurimis, Cass. n. 17097 del 21/07/2010; Cass. n. 12362 del 24/05/2006; Cass. n. 11933 del 07/08/2003);

che quanto al denunciato vizio di motivazione è di tutta evidenza che, pur con una intitolazione del motivo conforme al testo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, nella formulazione disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, la parte, in realtà, critica la sufficienza del ragionamento logico posto alla base dell’interpretazione di determinati atti del processo, e dunque un caratteristico vizio motivazionale non è più censurabile (si veda Cass., S.U., n. 8053/14 secondo cui il controllo della motivazione è ora confinato sub specie nullitatis, in relazione al n. 4 dell’art. 360 c.p.c., il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione); peraltro, l’omesso esame deve riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica (e quindi non un punto o un profilo giuridico), un fatto principale o primario (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè un fatto dedotto in funzione probatoria) e tuttavia il riferimento al fatto secondario non implica – e la citata sentenza n. 8053 delle S.U. lo precisa chiaramente – che possa denunciarsi ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, anche l’omessa o carente valutazione di determinati elementi probatori: basta che il fatto sia stato esaminato, senza che sia necessario che il giudice abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie emerse all’esito dell’istruttoria come astrattamente rilevanti. Orbene, nel caso in esame i fatti controversi da indagare (da non confondersi con la valutazione delle relative prove) sono stati manifestamente presi in esame dalla Corte territoriale; sicchè non può certo trattarsi di omesso esame, ma di accoglimento di una tesi diversa da quella sostenuta dal ricorrente; ed infatti, il giudice del gravame ha escluso in radice che l’Azienda Sanitaria avesse posto in essere comportamenti illeciti, anche singolarmente considerati, ritenendo assorbita ogni valutazione in ordine alla prova del nesso causale e del danno lamentato;

che, per tutto quanto sopra considerato, il ricorso va dichiarato inammissibile;

che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;

che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi).

PQM

 

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 6 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2017

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA