Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1945 del 29/01/2014


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 1945 Anno 2014
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: FALASCHI MILENA

Violazione —
Occupazione
spazio per servitù

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 30627/07) proposto da:
RUBINATO RENATO e DE SIMOI AGNESE, rappresentati e difesi, in forza di procura speciale a
margine del ricorso, dall’Avv.to Adolfo Baratto del foro di Treviso e dall’Avv.to Marco Merlini del
foro di Roma ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Pasubio n.

2;
– ricorrenti contro
RIZZARDI ANNAMARIA, rappresentata e difesa dall’Avv.to Roberto Campion del foro di Treviso e
dall’Avv.to Giorgio Luceri del foro di Roma, in virtù di procura speciale apposta a margine del
controricorso, ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Udine n.
6;

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Data pubblicazione: 29/01/2014

- controricorrente e ricorrente incidentale nonché sul ricorso incidentale (RG. n. 844/08) proposto da quest’ultima nei confronti dei ricorrenti
avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 1571 depositata il 13 ottobre 2006.
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 10 ottobre 2013 dal

uditi gli Avv.ti Marco Merlini, per parte ricorrente, e Giorgio Luceri, per parte resistente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa
Francesca Ceroni, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi, in subordine per il rigetto di
quello incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 7 novembre 1990 Renato RUBINATO e Agnese DE SIMOI
evocavano, dinanzi al Tribunale di Treviso, Annamaria RIZZARDI e premesso di essere, il primo,
proprietario del terreno sito a Treviso ed identificato con il mappale n. 72/b, dell’appartamento
posto al piano terra del fabbricato edificato sul mappale 72/d, con annessi magazzini, nonché
degli immobili distinti ai mappali n. 1424 — 1424 sub 1 — 1424 sub 2, la seconda, dell’immobile
posto a nord rispetto ai mappali suddetti immobili tutti confinanti con quelli della RIZZARDI,
contraddistinti con i mappali n. 72/c — 72/e, oltre ad essere proprietaria dell’appartamento posto al
piano primo del mappale n. 72/d, con annessi magazzini, chiedevano la condanna della stessa
alla demolizione della porzione del capannone della stessa costruita in epoca successiva al 1°
gennaio 1983, che occupava il fondo del RUBINATO, nonché alla rimozione degli alberi e delle
siepi piantati a distanza irregolare dal confine con il terreno della DE SIMOI, oltre all’apertura del
cancello posto sul confine tra i mappali 72 e 1212, che la convenuta aveva chiuso nell’agosto del
1989, impedendo l’esercizio della servitù di passaggio spettante al RUBINATO per raggiungere il

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Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

suo magazzino, ed alla cessazione dello stillicidio delle acque piovane che si verificava dalla
grondaia del capannone della convenuta sul capannone del RUBINATO.
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza della convenuta, la quale oltre a contestare la
fondatezza delle domande, eccepiva l’incompetenza del Tribunale rispetto alla dedotta violazione

oltre a spiegare domanda riconvenzionale con la quale chiedeva venisse ordinata la demolizione
e l’arretramento del fabbricato costruito sul mappale n. 72/b e della baracca in lamiera insistente
sul mappale n. 1424 (perché posti a distanza inferiore a quella legale rispetto al confine), la
rimozione delle condutture (tubi e cavi) interrate del RUBINATO e poste (tra l’abitazione ed il
magazzino dell’attore) nel terreno di proprietà della medesima convenuta, compresi i tubi
dell’acqua da lui installati nella cantina della stessa, l’eliminazione dell’allacciamento al collettore
fognario dell’edificio insistente sul mappale n. 72/d della convenuta delle condutture dì scarico
provenienti dal capannone del RUBINATO, il ripristino della servitù di scolo dì acque meteoriche,
di cui usufruiva il fondo di sua proprietà tramite un fossato che, esistente da tempo immemorabile,
partiva dal mappale n. 72/e ed attraversava il mappale n. 1424, e che l’attore nell’estate del 1989
aveva interrato, l’estirpazione delle piante da frutto e dei rampicanti posti a ridosso
sito sul mappale n. 72/d, il giudice adito, espletata c.t.u. ed assunte prove orali, dichiarava la
propria incompetenza per materia in ordine alle domande riguardanti la violazione delle distanze
per alberi e siepi dai confini di competenza del Giudice di pace (precedentemente del Pretore);
condannava la convenuta ad abbattere la parte del magazzino costruita sul fondo dell’attore e ad
eliminare lo stillicidio proveniente dal tetto del fabbricato stesso; condannava l’attore ad arretrare
il capannone fino alla distanza di mt. 5 dal confine e a demolire la baracca esistente sul mappale
n. 1424, nonché ad eliminare la conduttura posta sotto la risega dell’edificio della RIZZARDI e
quella che convogliava le acque reflue provenienti dal servizio igienico dell’autofficina alla
fognatura della convenuta; rigettava la restanti domande proposte dalle parti.

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delle distanze con riferimento alle piante, che riguardava la sola DE SIMOI, spettante al Pretore,

In virtù di rituale appello interposto dal RUBINATO e dalla DE SIMOI, con il quale censuravano la
sentenza del giudice di prime cure sotto vari profili, la Corte di appello di Venezia, nella resistenza
della RIZZARDI, la quale proponeva a sua volta appello incidentale, in parziale accoglimento sia
dell’appello principale sia di quello incidentale, condannava la RIZZARDI al ripristino dell’apertura

quest’ultimo al pagamento in favore dell’appellata della somma di €. 3.000,00 a titolo di
risarcimento del danno, oltre interessi legali dalla domanda, confermata per il resto la sentenza
impugnata.
A sostegno della decisione adottata la corte territoriale evidenziava, per quanto di interesse in
questa sede, che la domanda di demolizione dell’attore doveva ritenersi limitata alla porzione del
capannone dell’originaria convenuta che invadeva il suo terreno, dovendo ritenersi nuova quella
relativa alla demolizione anche della parte di capannone insistente sull’area di proprietà
dell’appellata perché gravata da servitù di passaggio, costituita in favore del fondo del RUBINATO
con l’atto di divisione del 9.2.1968, formulata solo nella comparsa conclusionale, trattandosi di
domanda diversa rispetto a quella originaria, sia per causa petendi sia per petitum.
Di converso andava accolta la domanda di ripristino della servitù di passaggio attraverso il
cancelletto per essere il titolo costitutivo dell’invocata servitù l’usucapione, come dedotto dallo
stesso attore, con precisazione intervenuta al momento dell’articolazione dei mezzi istruttori,
allegazione consentita nella specie fino all’udienza di precisazione delle conclusioni, trattandosi di
procedimento introdotto in epoca antecedente all’entrata in vigore della riforma di cui alla legge n.
353 del 1990, non essendo intervenuto alcun diniego della controparte di accettazione del
contraddittorio, nel merito, dimostrata l’esistenza del cancello da più di venticinque anni (metà
degli anni ’60) dalla deposizione del teste Sartori Randello.
Aggiungeva che non poteva ritenersi provata l’eccezione di usucapione opposta dagli attori per
paralizzare la pretesa della RIZZARDI volta ad ottenere la demolizione del fabbricato del

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del cancelletto posto sul lato nord del suo fondo e di consentirne l’utilizzo al RUBINATO e

RUBINATO fino alla distanza di mt. 5 dal confine, giacchè seppure risultava dimostrata che
effettivamente verso la proprietà della originaria convenuta c’era una baracca in lamiera,
ristrutturata e trasformata nell’attuale fabbricato in muratura, nel 1984, quest’ultimo era frutto di un
ampliamento verso il terraglio, risultavano incerte le dimensioni della precedente costruzione. Del

superficie verso il punto Q della planimetria, per cui andava confermata la decisione del primo
giudice che aveva ordinato l’arretramento del capannone fino alla distanza di mt. 5 dal confine
con la (com)proprietà della convenuta “per l’intero lato che fronteggia quell’abitazione”.
Del pari riteneva non raggiunta la prova quanto all’epoca di realizzazione del magazzino da parte
della RIZZARDI, occupante una porzione del fondo di proprietà del RUBINATO, ai fini del decorso
del tempo per la maturazione dell’usucapione, almeno nell’attuale collocazione e dimensione del
manufatto.
Quanto all’ulteriore censura dell’appello incidentale secondo cui erroneamente non sarebbe stato
ordinato l’arretramento del fabbricato del Rubinato alla distanza legale con riferimento al confine
con il mappale n. 1213, di proprietà dell’appellata, la corte distrettuale ribadiva che il manufatto
era presente fin dal 1968 e nel 1984 era stato ampliato esclusivamente verso ovest (Z e Q della
planimetria), inalterato il lato est (in corrispondenza dei punti G — F), per cui l’eccezione di
usucapione sollevata dal RUBINATO rispetto a detto lato andava accolta, perché dimostrata la
presenza del capannone ad una distanza dal confine inferiore a mt. 5 per più di venti anni.
Concludeva per l’accoglimento e la quantificazione equitativa della domanda riconvenzionale di
risarcimento del danno in €. 3.000,00, stante la accertata sussistenza della violazione delle
distanze legali e la presenza sul terreno della RIZZARDI delle condutture di cui era stata ordinata
l’eliminazione.
Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Venezia hanno proposto ricorso per
cassazione il RUBINATO e la DE SIMOI, articolato su due motivi, illustrato anche da memoria ex

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resto lo stesso c.t.u. aveva confermato che il fabbricato era stato ampliato aumentandone la

art. 378 c.p.c., al quale ha replicato con controricorso la RIZZARDI, contenente pure ricorso
incidentale, affidato a dieci motivi.

MOTIVI DELLA DECISIONE

c.p.c., concernendo la stessa sentenza.
Ciò precisato, con il primo motivo del ricorso principale i ricorrenti lamentano la violazione
e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’ad. 113 c.p.c., oltre ad omessa ed insufficiente
motivazione in ordine al capo della sentenza impugnata di rigetto della domanda avanzata dagli
originari attori di demolizione del manufatto della RIZZARDI contraddistinto dalla lettera “A” della
planimetria allegata alla c.t.u.. In particolare i ricorrenti criticano la decisione nella parte in cui non
ha accolto la loro domanda di demolizione della porzione di fabbricato realizzata dalla originaria
convenuta sul sedime sul quale insiste la servitù di passaggio costituita in favore del fondo del
RUBINATO da atto di divisione del 9.2.1968, per averla definita nuova. Infatti seppure non
espressamente contenuta nelle conclusioni assunte dal RUBINATO nell’atto introduttivo, doveva
ritenersi ricompresa nelle allegazioni difensive. Inoltre la corte territoriale era incorsa nel vizio di
insufficiente motivazione per non avere in alcun modo specificato la diversità di petitum e causa
petendi.
Il motivo è inammissibile, in quanto manca del tutto del quesito di diritto (anche quale momento di
sintesi, omologo del quesito di diritto, con riferimento al denunciato vizio di motivazione)
rispondente ai requisiti richiesti dall’ad. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis al ricorso in
esame, proposto avverso una sentenza di appello pubblicata dopo il 1°.3.2006 e prima del
4.7.2009.
Questa Corte ha avuto già modo di statuire in via generale che deve essere dichiarato
inammissibile, per violazione dell’ad. 366 bis c.p.c., il ricorso nel quale l’illustrazione dei singoli

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Il ricorso principale ed il ricorso incidentale vanno preliminarmente riuniti, a norma dell’ad. 335

motivi non sia accompagnata dalla formulazione di un esplicito quesito di diritto, riferito alla
fattispecie esaminata nella sentenza impugnata e alle statuizioni di essa, tale da circoscrivere la
pronuncia del giudice nei limiti di un accoglimento o un rigetto del quesito, dovendosi escludere
che il quesito possa desumersi implicitamente dalla formulazione dei motivi di ricorso, la quale

bis c.p.c..
La proposizione di una pluralità di motivi, dunque, non accompagnata in modo alcuno dalla
formulazione di idonei quesiti, comporta l’inammissibilità dei singoli motivi.
Nella specie i ricorrenti hanno denunciato, con un unico mezzo, la violazione e falsa applicazione
degli artt. 112 e 113 c.p.c., oltre a vizio di motivazione, senza però concluderlo con la
formulazione di un quesito che rispecchi almeno parte delle censure proposte, in adempimento
della prescrizione dell’art. 366 bis c.p.c. ovvero un momento di sintesi — omologo al quesito di
diritto – quanto al dedotto difetto di motivazione.
Nè può in ogni caso ritenersi che il quesito di diritto e la chiara indicazione del fatto controverso
sarebbero in ogni caso presenti nell’illustrazione delle censure, sottoposte all’esame di questa
corte, poiché la prescrizione formale introdotta dalla norma in esame non può essere interpretata
nel senso che il quesito di diritto e la chiara indicazione del fatto controverso possa desumersi
implicitamente dalla formulazione dei motivi di ricorso, poiché una siffatta interpretazione si
risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione che ha introdotto, a pena di
inammissibilità, il rispetto di un requisito formale, che deve esprimersi, per i motivi da 1 a 4
dall’art. 360 c.p.c., nella formulazione di un esplicito quesito di diritto tale da circoscrivere la
pronuncia del giudice nei limiti di un accoglimento o un rigetto del quesito formulato dalla parte quesito che deve trovare la sua collocazione a conclusione dell’illustrazione di ciascun motivo di
ricorso che, da sola, non è perciò sufficiente ai fini del rispetto della norma in esame. E per il n. 5
dell’art. 360 c.p.c., l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la

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non è sufficiente a integrare il rispetto del requisito formale specificamente richiesto dall’art. 366

chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o
contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende
inidonea a giustificare la decisione. Pertanto, pur non richiedendosi specifici requisiti di forma,
deve pur sempre essere formulato, nei casi da 1 a 4, a conclusione dell’istruzione di ogni singolo

nel caso del n. 5, la chiara indicazione del fatto controverso, o delle ragioni dell’insufficienza della
motivazione.
La formulazione del quesito richiesto dalla legge e la chiara indicazione del fatto controverso e
delle ragioni dell’insufficienza della motivazione, nei termini innanzi specificati, non si rinvengono
perciò nel mezzo del ricorso sottoposto all’esame di questa corte, motivo che pertanto va
dichiarato inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio
2006, n. 40, art. 6, e applicabile nella specie ai sensi dell’art. 27 decreto citato, comma 2,
trattandosi di ricorso contro provvedimento pubblicato dopo la data della sua entrata in vigore (tra
le tante cfr Cass. SS.UU. 30 ottobre 2008 n. 26020; Cass. SS.UU. 11 marzo 2008 n. 6420; Cass.
SS.UU. 16 novembre 2007 n. 23732; Cass. SS.UU. 28 settembre 2007 n. 20360; Cass. SS.UU.
26 marzo 2007 n. 7258; Cass. SS.UU. 5 gennaio 2007 n. 36).
Il secondo motivo denuncia omessa e/o insufficiente motivazione in ordine al capo della
sentenza che ha rigettato l’eccezione di usucapione del diritto da parte del RUBINATO a
mantenere il manufatto contraddistinto dalla lettera “B” della planimetria allegata alla c.t.u. nella
attuale distanza dai confini. In altri termini, la tesi difensiva sostenuta dal ricorrente è nel senso
che l’attuale costruzione in muratura si trova, rispetto ai confini con la proprietà della RIZZARDI,
nella stessa posizione in cui si trovava sin dal 1968, seppure la precedente costruzione fosse più
rudimentale e di minori dimensioni, per avere gli ampliamenti e le modifiche, avvenute in epoca
successiva, avuto riguardo solo il lato verso la strada Terriglio.

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motivo ed in aggiunta ad essa, il quesito che deve segnare i confini della pronuncia del giudice, e

Anche a voler ritenere adeguatamente formulata la indicazione del fatto controverso in relazione
al quale la motivazione viene assunta omessa o contraddittoria, la censura si palesa infondata
perché attinge un apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito e che risulta
adeguatamente e logicamente motivato con l’adesione alle conclusioni dell’ausiliare.

ricorrenti ed è giunto al convincimento che non era provato che la vecchia baracca in lamiera
fronteggiasse interamente l’edificio della convenuta e che “comunque non risulta(va) provato …
che il successivo ampliamento verso il punto Q della planimetria abbia interessato anche una
parte del capannone che ora è posta davanti all’altro fabbricato ad una distanza inferiore a quella
legale”, affermazione che comportava la conferma della decisione del giudice di primo grado di
arretramento del capannone fino alla distanza di 5 mt. dal confine, giacchè la semplice
constatazione dell’aumento di superficie e di volumetria è sufficiente a rendere l’intervento edilizio
non riconducibile al paradigma normativo della ristrutturazione e all’esonero dall’osservanza delle
distanze legali previsto per detto tipo di interventi (cfr da ultimo, Cass. SS.UU. 19 ottobre 2011 n.
21578).
Del resto gli stessi ricorrenti riconoscono che il c.t.u. ha accertato che la costruzione iniziale era di
più modeste dimensioni (v. pag. 13 del ricorso), per cui quello che sollecitano è una rivalutazione
degli elementi acquisiti e degli atti processuali, che è preclusa al giudice di legittimità.

Passando all’esame del ricorso incidentale, il primo motivo (contrassegnato con la lettera
A) lamenta la omessa considerazione da parte del giudice di appello di alcuni elementi probatori
— tra i quali una prova documentale — in riferimento alla configurazione ed estensione, nel tempo,
del capannone di proprietà del RUBINATO, eretto sul mappale n. 896, con riguardo sia al
mappale n. 1213, di proprietà della RIZZARDI, sia al fabbricato residenziale eretto sul mappale n.
1212. Conclude la ricorrente incidentale chiedendo una rivisitazione della motivazione con la
quale è stato respinto il relativo motivo dell’appello principale.

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Infatti il giudice dell’impugnazione ha espressamente esaminato la circostanza dedotta dai

Relativamente a questa censura va osservato che la Corte d’appello ha deciso nei termini esposti
al secondo motivo del ricorso principale rigettando il quarto motivo dell’appello principale (pagine
16, 17, 18, 19 e 20 della sentenza), ritenendo che l’impossibilità di individuare fino a quale punto
del capannone era maturato il diritto a mantenere la costruzione ad una distanza inferiore a 5 mt.

RUBINATO.

Nella specie è, quindi, applicabile il principio più volte affermato da questa Corte, secondo il
quale è inammissibile, per difetto di interesse, il ricorso incidentale, della parte vittoriosa in
secondo grado per le questioni, domande o eccezioni, rilevanti per la decisione, da essa
prospettate e non decise, neppure implicitamente, in quanto assorbite da quelle accolte (Cass.
24 marzo 2006 n. 6631; Cass. 6 marzo 2007 n. 5133; Cass. 5 giugno 2007 n. 13068; Cass. 4
giugno 2007 n. 12952; Cass. 24 marzo 2010 n. 7057).

Con il secondo motivo, contrassegnato con le lettera B.B1, la ricorrente incidentale
lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 81 c.p.c. in relazione all’art. 1027 c.c. per
avere riconosciuto costituita la servitù di passaggio per usucapione, relativamente al ripristino del
cancello posto al lato nord del suo fondo, non solo in favore del RUBINATO, ma anche della DE
SIMOI, la quale non vanterebbe alcun diritto sugli immobili posti oltre il cancello. A corollario del
motivo è posto il seguente quesito di diritto: “se la servitù di passaggio attraverso un fondo sia di
utilità ex art. 1027 c.c. per un altro fondo, appartenente a diverso soggetto, ove essa non
consenta al medesimo il transito ad altri fondi di sua proprietà”.

Anche detta censura è prospettata in maniera inammissibile, in quanto – a parte il rilevare la
oggettiva difficoltà di comprensione del quesito formulato – osserva il Collegio che lo stesso
parrebbe porre una questione di titolo di acquisto del diritto di servitù senza tenere conto del
modo in concreto riconosciuto dal giudice di merito, ossia l’intervenuta usucapione, che attiene a

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dal confine si risolveva in un difetto di prova sull’eccezione di usucapione sollevata dal

circostanze di fatto poste a base del suo convincimento, nella specie non criticate dalla
RIZZARDI. Si deve, dunque, concludere che il quesito di diritto non è coordinato alla censura in
concreto dedotta con il mezzo.

applicazione dell’art. 184 c.p.c. nel testo vigente ante legge n. 353 del 1990 per avere il giudice
distrettuale consentito la mutatio libelli, in quanto gli originari attori non avevano svolto alcuna
domanda di accertamento di “asserito intervenuto acquisto per usucapione” della servitù di
passaggio, ma si erano limitati a chiedere il ripristino di una servitù già asseritamente esistente. A
conclusione il motivo pone il seguente quesito di diritto: “se, ai sensi dell’art. 184 c.p.c. vigente
ante legge 26/11/1990 n. 353, alligata l’esistenza di una servitù e asseritone l’impedimento
all’esercizio e invocatone perciò il ripristino, costituisca precisazione, consentita, della domanda
già proposta, ovvero domanda nuova, non consentita, la pretesa, successivamente formulata, di
accertamento di un asserito intervenuto acquisto per usucapione della servitù”.

Il quarto motivo, contrassegnato con le lettere B.B3, con il quale la ricorrente incidentale
lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per non avere la corte distrettuale
tenuto conto che la RIZZARDI aveva tempestivamente sollevato l’eccezione di mutatio libelli,
reiterata anche nelle successive difese, pone il seguente quesito di diritto: “se l’omessa pronuncia
del giudice in ordine ad una eccezione di inammissibilità, sollevata da una parte in
contrapposizione ad una nuova domanda formulata dall’altra, costituisca violazione o falsa
applicazione dell’art. 112 c.p.c., censurabile ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.”.
Con il quinto motivo, contrassegnato con le lettere B.B4, la ricorrente incidentale lamenta
la nullità della sentenza e/o del procedimento per le medesime deduzioni di cui al precedente B3)
e pone il seguente quesito di diritto: “se la pronuncia di accoglimento di una domanda, in

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Con il terzo motivo, contraddistinto con la lettera B.B2, è denunciata la violazione e/o falsa

ammissibilmente proposta da una parte, determini la nullità della sentenza, censurabile ex art.
360, comma 1, n. 4 c.p.c.”.
Con il sesto motivo, contrassegnato con le lettere B.B5, la ricorrente incidentale lamenta la
omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il

della servitù di passaggio identificata con il cancelletto.
Con il settimo motivo, contrassegnato con le lettere B.B6, la ricorrente incidentale lamenta
omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio con riferimento a tutte le deduzioni di cui al precedente punto B3), ossia circa il non avere
la originaria convenuta denegato il contraddittorio in ordine alla nuova domanda attorea.
Con l’ottavo motivo, contrassegnato con le lettere B.B7, la ricorrente incidentale lamenta
omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio con riferimento alla mancata prova rigorosa della esistenza della servitù di transito dal
cancelletto.
Il nono motivo, contrassegnato con le lettere B.B8, con il quale la ricorrente incidentale
lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1031, 1061, 1140 e 1158 c.c. ritenendo
errata in diritto la statuizione della corte di merito circa la esistenza della servitù di passaggio,
senza tenere conto delle risultanze istruttorie di segno opposto, assumendo che dalla deposizione
del teste Sartori risultava il contenuto della servitù che era quello di accedere ai contatori
dell’acqua, a conclusione pone il seguente quesito di diritto: “atteso quanto disposto dagli artt.
1031, 1061, 1140 e 1158 c.c., se possa essere usucapita una servitù di contenuto diverso rispetto
all’uso effettivamente esercitato durante il periodo necessario ‘ad usucapiondunr.
I mezzi — da trattare congiuntamente per la loro stretta connessione, prospettando sotto diversi
profili la medesima questione (novità o meno della domanda attorea di accertamento della servitù
per intervenuta usucapione) – non sono meritevoli di ingresso.

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giudizio, ravvisando la ricorrente incidentale la mancanza della prova rigorosa circa la esistenza

Occorre preliminarmente osservare che è errata l’affermazione in sentenza secondo cui la
proposizione di una domanda possa essere desunta dall’articolazione dei mezzi istruttori, salvo
che tale articolazione sia contenuta nell’atto introduttivo del giudizio e le circostanze delle quali
sia richiesta la prova vengano sostanzialmente ad integrare l’esposizione del fatto costitutivo del

mezzi di prova articolati e non l’articolazione dei mezzi a determinare il petitum e la causa
petendi della domanda.
Tanto precisato, va rilevato che la proprietà e gli altri diritti reali di godimento appartengono alla
categoria dei cosiddetti “diritti autodeterminati”, individuati in base alla sola indicazione del loro
contenuto, rappresentato dal bene che ne costituisce l’oggetto, onde, nelle azioni a difesa di tali
diritti la causa petendi s’identifica con il diritto stesso e non con il titolo che ne costituisce la fonte
(contratto, successione, usucapione, etc.) – diversamente da quanto avviene in quelle a difesa
dei diritti di credito, nelle quali la causa petendi s’identifica con il titolo — per cui il titolo, la cui
deduzione è necessaria ai fini della prova del diritto e non della sua individuazione, non ha
alcuna funzione di specificazione della domanda (in tal senso, Cass. 21 giugno 1995 n. 7033;
Cass. 20 maggio 1997 n. 4460; Cass. 20 aprile 2001 n. 5894; Cass. 12 ottobre 2001 n. 12430;
Cass. 7 dicembre 2005 n. 26973; Cass. 21 novembre 2006 n. 24702; Cass. 16 maggio 2007 n.
11293; e più di recente, Cass. 30 settembre 2013 n. 22316).
In altri termini, mentre nei giudizi concernenti i rapporti obbligatori deve intendersi per “causa
petendi” oltre il rapporto medesimo anche il fatto o l’atto dai quali si afferma essere quello insorto
(con la conseguenza che l’attore riferendo nello stesso giudizio il medesimo credito ad uno o ad
altro atto o fatto costitutivo muta la “causa petendi”), nei giudizi concernenti diritti assoluti la
“causa petendi” è costituita dal solo diritto (di proprietà, di servitù) o dal solo status (di figlio
legittimo, di coniuge, di cittadino) e non anche dal fatto costitutivo o acquisitivo del diritto o dello

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diritto fatto valere in giudizio, posto che è la domanda giudiziale a determinare la rilevanza dei

status essendo questi di per se già identificati, indipendentemente dall’atto o dal fatto dal quale
derivano, nè possono spettare più volte se più siano i fatti o gli atti costitutivi o acquisitivi.
Dalle esposte considerazioni consegue l’infondatezza della pretesa violazione degli artt. 184 e
112 c.p.c. ovvero di nullità della sentenza per i medesimi vizi in quanto l’allegazione in appello

nuova rispetto a quella di ripristino “di una servitù già asseritamente esistente” inizialmente
proposta con riferimento allo stesso bene, poiché — indipendentemente dalla necessità di provare
ulteriori elementi costitutivi della fattispecie acquisitiva – viene rivendicato il medesimo diritto
(Cass. n. 11293 del 2007; Cass. n. 19544 del 2009); mentre costituiscono questioni nuove quelle
relative alla legittimazione della DE SIMOI ed al contenuto della servitù acquistata per intervenuta
usucapione, posto che la ricorrente non deduce se e in quali termini sia stata prospettata in
appello.
Con il decimo ed ultimo motivo, contrassegnato con la lettera C, la ricorrente incidentale
censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione laddove ha rigettato la sua domanda di
usucapione di parte del fondo dell’attore sul presupposto del mancato decorso del tempo
necessario avuto riguardo all’epoca in cui era stato eretto il magazzino della RIZZARDI,
assumendo l’inattendibilità del teste Zilio e l’attendibilità del teste Rubinato.
Il motivo non è fondato.
Giova premettere che, con riferimento all’esercizio del potere di valutazione della prova, spetta
esclusivamente al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, selezionando le
prove che ritenga più attendibili e pertinenti, scegliere, fra le risultanze istruttorie, quelle ritenute
idonee a dimostrare í fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione, dando importanza
prevalente ad uno piuttosto che ad un altro elemento probatorio; nè sono rilevanti, sul piano del
contenuto, la maggiore o minore rispondenza della ricostruzione del fatto nei vari aspetti in cui
esso si articola, la possibilità di un migliore coordinamento dei dati o un loro collegamento più

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dell’acquisto per usucapione della medesima servitù di passaggio non costituisce domanda

appagante, in quanto si tratta di valutazioni che rimangono nell’ambito delle possibilità di
apprezzamento dei fatti e che, se non contrastano con la logica e con le regole di razionalità,
appartengono all’area del convincimento del giudice (cfr. Cass. n. 7380 del 1997 e Cass. n. 6752
del 1992). Sulla base di tali precisazioni, osserva il Collegio che la sentenza impugnata, nella

deposizione dello Zilio fosse meritevole di maggiore considerazione perché l’unico, dal
complesso delle testimonianze assunte, ad essere “non coinvolto” nella controversia, secondo
una valutazione di merito che si sottrae, nella sua estrinsecazione, a tutti i profili di censura
dedotti dalla ricorrente incidentale.
Conclusivamente, i ricorsi — principale ed incidentale — vanno rigettati.
Le spese del giudizio di cassazione vanno interamente compensate fra le parti in considerazione
della reciproca soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta;
dichiara interamente compensate fra le parti le spese del giudizio di Cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione Civile, il 10 ottobre 2013.

corretta applicazione delle regole probatorie derivanti dagli artt. 2697 e ss. c.c. ha ritenuto che la

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