Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19446 del 08/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 08/07/2021, (ud. 10/02/2021, dep. 08/07/2021), n.19446

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. GALATI Vincenzo – Consigliere –

Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 2692/2018 R.G. proposto da:

V. e M. Srl, in persona del legale rappresentante,

rappresentata e difesa dall’Avv. Paolo Centola in virtù di procura

speciale a margine del ricorso e presso lo stesso elettivamente

domiciliata in Latina, via Custoza e presso l’indirizzo pec

avvpaolocentola.cnfpec.it;

– ricorrente –

Contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i

cui uffici è domiciliata in Roma, nella via dei Portoghesi n. 12,

costituita al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di

discussione;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio

– Sezione distaccata di Latina n. 3832/18/2017 depositata il 22

giugno 2017;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dal Consigliere

Grazia Corradini.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Srl V. e M., esercente l’attività di ristorante e pizzeria, impugnò l’avviso di accertamento n. (OMISSIS), emesso ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), art. 40 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, sulla base di riscontrate incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta sulla base dello studio di settore (OMISSIS), cluster 18, con cui la Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Latina, previo contraddittorio svolto in data 15.4.2013, aveva determinato maggiori ricavi per Euro 175.676,00 relativi all’anno di imposta 2008, in conseguenza dei quali aveva recuperato a tassazione maggiori imposte dirette, IRAP ed IVA ed accessori.

Con il ricorso la contribuente aveva dedotto, per quanto ancora interessa, l’illegittimità dell’accertamento perché fondato solo sullo studio di settore, in assenza di elementi che potessero giustificare la maggiore pretesa e la incapacità dello specifico studio di settore applicato a rappresentare una “situazione di normalità economica”.

La Commissione Tributaria Provinciale di Latina, con sentenza n. 2120/2014, ritenne corretto l’accertamento eseguito sulla base dello specifico studio di settore a seguito di contraddittorio che aveva consentito alla parte di addurre la peculiarità della propria azienda con riguardo alla localizzazione ed alla conduzione di tipo familiare di fatto demandata a due dei soci, ma accolse in parte il ricorso, riducendo i ricavi accertati dall’Ufficio nella misura del 30% sulla base degli elementi evidenziati dalla contribuente ma soprattutto con riguardo alla malattia subita da uno dei due soci – gestori, che aveva comportato anche un documentato ricovero ospedaliero, nel periodo considerato, il che aveva inciso sulla attività determinandone la contrazione.

Investita dall’appello della società contribuente – che lamentò, sempre per quanto ancora interessa, essendo state le altre doglianze abbandonate in sede di ricorso per cassazione, la mancanza di una motivazione adeguata della sentenza impugnata sulla riduzione equitativa dei ricavi accertati, la invalidità dell’accertamento perché fondato su mere presunzioni in assenza di una verifica fisica e /o documentale evitando di soffermarsi ad individuare il legame fra la situazione teorica e quella particolare dell’azienda, nonché la incongruenza della motivazione della sentenza di primo grado poiché, pur avendo riconosciuto una decurtazione del 30% dei ricavi, non aveva indicato come fosse pervenuta a tale percentuale – la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, Sezione distaccata di Latina, con sentenza n. 3832/18/2017, depositata il 22 giugno 2017, rigettò l’appello, rilevando che il primo giudice aveva fatto corretta applicazione dei principi affermati dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione in ordine alla valutazione dei recuperi basati sullo studio di settore, tanto più in presenza di un reddito dichiarato dal contribuente assai basso ed indicativo di un comportamento illogico ed antieconomico e che nel contempo la parte contribuente aveva avuto in concreto la possibilità di fare valere la peculiarità della propria situazione che era stata attentamente valutata non solo in sede di accertamento ma anche in sede di giudizio, così da comportare una riduzione del 30% pur in presenza di una richiesta di riduzione del reddito formulata dalla ricorrente in modo del tutto generico ed in assenza di elementi conoscitivi che potessero consentire di determinare l’incidenza delle circostanze negative sul volume di affari in misura maggiore; neppure in sede d’appello la società aveva poi offerto alcun contributo conoscitivo al riguardo, così da consentire una diversa determinazione della misura della riduzione, applicata dal primo giudice nella ragionevole percentuale del 30%, limitandosi a contestare genericamente la misura, senza proporne una diversa.

Contro la sentenza di appello, non notificata, ha presentato ricorso per cassazione la società contribuente con atto notificato in data 18-26 gennaio 2017 affidato ad un solo motivo.

La Agenzia delle Entrate si è costituita tardivamente al solo fine di partecipare alla eventuale udienza pubblica di discussione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con un unico motivo misto, la società contribuente deduce violazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, convertito dalla L. n. 472 del 1973, art. 15. comma 3 bis del D.L. n. 81 del 2007, convertito dalla L. n. 127 del 2007, 1, comma 252, della L. n. 244 del 2007, del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 44, degli artt. 2697 e 2729 c.c., del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. b e art. 41 bis, nonché delle circolari esplicative e dei principi giurisprudenziali della Corte di Cassazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, per avere il giudice di appello “non rilevato e omesso di valutare l’illegittimità dell’accertamento operato con il metodo cd studi di settore”.

1.1. In particolare, la ricorrente lamenta che l’accertamento era stato illegittimamente basato sulla sola presunzione semplice degli studi di settore e non era stato adeguatamente motivato sugli elementi probatori indicati in sede procedimentale dalla società contribuente e che comunque la sentenza impugnata era erronea perché non aveva rilevato la illegittimità dell’accertamento per i motivi sopra indicati, così violando le disposizioni di legge indicate, nonché le circolari della Agenzia delle Entrate e la giurisprudenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione in materia di legittimità degli accertamenti standardizzati che avrebbero imposto ulteriori elementi di prova e la valutazione degli elementi addotti dal contribuente in sede di contraddittorio; nonché per avere la sentenza impugnata violato i principi stabiliti dalle sezioni unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 6175/2017 in relazione ai redditi di partecipazione alla società di capitali accertati con distinti accertamenti nei confronti dei soci e per non avere rilevato “d’ufficio” che anche negli accertamenti nei confronti deì soci di società di capitali sarebbe stato obbligatorio il contraddittorio preventivo e doveva trovare applicazione il principio del litisconsorzio necessario.

2. Il motivo è inammissibile sotto una molteplicità di profili.

2.1. In primo luogo esso è svolto alla stregua di motivo c.d. “misto” (o “composito”) caratterizzato da censure tra loro incompatibili, tanto in astratto quanto nella loro concreta articolazione, in quanto inscindibili tanto da non poterne discernere i differenti profili e le relative critiche. (suì limiti di ammissibilità del motivo c.d. “misto” o “composito”, sì vedano, ex plurimis: Cass. Sez. U., 06/05/2015, n. 9100, Rv. 635452-01; Cass. sez. 6-3, 17/03/2017, n. 7009, Rv. 643681-01). Quelle dedotte con l’unico motivo in esame, infatti, sono le censure dell’omessa pronuncia e dell’omessa motivazione già astrattamente tra loro incompatibili, implicando solo la prima (omessa pronuncia) la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto (nella specie, con riferimento ai motivi di appello denunciati come non decisi), così traducendosi in una violazione dell’art. 112 c.p.c. (che deve essere fatta valere esclusivamente ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e non con la denuncia della violazione di norme di diritto sostanziale ovvero del vizio di motivazione di cui al detto art. 360 c.p.c., n. 5). La seconda censura (l’omessa motivazione), presuppone invece l’esame della questione oggetto di doglianza da parte del giudice di merito (nella specie, del motivo di appello), ancorché se ne lamenti la soluzione in modo giuridicamente non corretto ovvero senza adeguata giustificazione (con riferimento alla differente ipotesi dell’astratta incompatibilità delle censure di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, si veda, con riferimento alla formulazione del detto articolo antecedentemente alla novella di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, Cass. sez. 4, 18/06/2014, n. 13866, Rv. 631333).

2.2. Quanto sopra indicato, circa la già astratta incompatibilità tra le due censure non risente della modifica della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1 (applicabile nella specie) ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b) (conv., con modif., dalla L. 7 agosto 2012, n. 134), anche con riferimento, peraltro, all’impugnazione delle sentenze emesse dalle Commissioni tributarie regionali (per l’applicabilità della modifica di cui innanzi anche all’impugnazione delle sentenze emesse dalle CTR si vedano, Cass. Sez. U., 07/04/2014, n. 8053, Rv. 629829-01, e Cass. Sez. U., 07/04/2014, n. 8054, Rv. 62983201). In merito alla modifica di cui innanzi, come chiarito da questa Corte anche a Sezioni Unite, essa (tramite il nuovo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (ex plurimis, Cass. Sez. U., 07/04/2014, n. 8053, Rv. 629831-01, e successive conformi tra le quali, tra le più recenti, anche Cass. sez. 2, 29/10/2018, n. 27415, Rv. 65102001). Quanto al vizio di omessa motivazione, la detta riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1 è in particolare interpretata da questa Corte, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (ex plurimis: Cass. Sez. U., 07/04/2014, n. 8053, Rv. 629830-01; Cass. Sez. U., 07/04/2014, n. 8054, Rv. 62983201 e successive conformi, tra le quali anche Cass. sez. 3, 12/10/2017, n. 23940, Rv. 645828-01, per la quale, quindi, non sono più ammissibili mere censure di contraddittorietà ed insufficienza motivazionale ma solo quelle deducenti violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, e quindi causa di nullità della sentenza, e Cass. sez. 6-3, 25/09/2018, n. 22598, Rv. 650880-01, che riconduce il vizio in oggetto ad una nullità processuale denunciabile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).

2.3. Ne consegue quindi, nei termini innanzi evidenziati, la persistente incompatibilità, già sul piano astratto, dei dedotti vizi di omessa pronuncia e di omessa motivazione, anche dopo la riformulazione dell’art. 360 c.p.c. con D.L. n. 83 del 2012. Sicché, è inammissibile il ricorso per cassazione il quale cumuli in un unico motivo (c.d. “misto” o “composito”) le censure di omessa pronuncia (anche, come nella specie, in merito a specifico motivo d’appello) e di omessa motivazione in ordine a punto o questioni ricadenti nella dedotta omessa pronuncia.

2.4. Ulteriore profilo di inammissibilità deriva, ancora una volta, dalla struttura “mista” (o “composita”) del motivo in esame, come impressa dalla sua stessa formulazione. Deduce, difatti, la ricorrente, anche una violazione di legge, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riguardo alla applicazione, da parte del giudice di appello, dei principi giuridici affermati dalle sezioni unite della Corte di Cassazione in tema di accertamenti basati sugli studi di settore. La detta censura, in concreto, si identifica però con la dedotta omessa motivazione, mutuandone così i profili di inammissibilità innanzi esplicitati.

2.5. Le plurime censure, poi, anche nella loro concreta articolazione, sono avvinte da mescolanza inscindibile, nei termini innanzi evidenziati, in quanto solo la dedotta violazione di legge presuppone l’esame della questione oggetto di doglianza da parte del giudice di merito laddove, invece, l’omessa pronuncia la esclude. Nei rapporti con il dedotto vizio motivazionale (omessa motivazione), invece, la formulazione composita del motivo non evidenzia specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti ai vizi motivazionali (per i limiti di ammissibilità per compatibilità del motivo c.d. “misto” che cumuli le censure di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, si veda, ex plurimis, Cass. sez. 5, 05/10/2018, n. 24493, Rv. 650743-01, oltre che il precedente conforme Cass. sez. 2, 23/04/2013, n. 9793, Rv. 62615401).

2.6. In ogni caso il motivo “complesso” appare altresì completamente infondato sotto tutti i profili addotti poiché la sentenza impugnata contiene una completa ed esaustiva risposta su tutte le questioni della cui omessa pronuncia si duole la ricorrente (con riguardo in particolare alla legittimità dell’accertamento) in quanto riproduce, sia pure in sintesi, come doveroso, la motivazione dell’accertamento ma pure le doglianze mosse dalla contribuente in sede di contraddittorio e la risposta fornita in sede di accertamento e nel giudizio di primo grado, mentre per converso, è il ricorso per cassazione a non rispondere ai canoni di specificità poiché non riproduce il contenuto dell’accertamento (così dal consentire di verificare la fondatezza della doglianza in base a quanto emergente dal ricorso) e neppure il contenuto specifico del motivo iniziale del ricorso e dell’appello.

2.7. Non sussiste neppure il vizio di mancanza di motivazione della sentenza, perché la motivazione sulla completezza e correttezza dell’accertamento vi è stata e risulta dal contenuto della sentenza di appello, riportato nella parte espositiva, mentre il dedotto vizio di omessa motivazione s’infrange, nel contempo, contro il principio di diritto, applicabile ratione temporis (all’impugnazione della sentenza, depositata il 22 giugno 2017, si applica il testo novellato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), secondo il quale, come già rilevato, la riformulazione di questa norma dev’essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione e comunque la nuova previsione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, legittima solo la censura per l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, non essendo invece più consentita la formulazione di censure per il vizio di insufficiente o contraddittoria motivazione che è quella proposta nel caso di specie (v. Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019 Rv. 652549 – 02).

2.8. Quanto poi alla pretesa violazione di legge con riguardo agli studi di settore è solo il caso di rilevare che i principi applicati dalla sentenza impugnata sono del tutto conformi alla giurisprudenza consolidata di questa Corte per cui “in tema di “accertamento standardizzato” mediante parametri o studi di settore, il contraddittorio con il contribuente costituisce elemento essenziale e imprescindibile del giusto procedimento che legittima l’azione amministrativa, in ispecie quando si faccia riferimento ad una elaborazione statistica su specifici parametri, di per sé soggetta alle approssimazioni proprie dello strumento statistico, e sia necessario adeguarle alla realtà reddituale del singolo contribuente, potendo solo così emergere gli elementi idonei a commisurare la “presunzione” alla concreta realtà economica dell’impresa. Ne consegue che la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel mero rilievo dello scostamento dai parametri ma deve essere integrata (anche sotto il profilo probatorio) con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente in sede di contraddittorio, solo così emergendo la gravità, precisione e concordanza attribuibile alla presunzione basata sui suddetti parametri e la giustificabilità di un onere della prova contraria (ma senza alcuna limitazione di mezzi e di contenuto) a carico del contribuente ” (v., per tutte, da ultimo, Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 30370 del 18/12/2017 Rv. 646985 – 01). Ed infatti, proprio in applicazione di tali principi, in esito al contraddittorio l’Ufficio aveva preso in esame gli elementi dedotti dalla contribuente pur ritenendo che non potessero comportare una riduzione significativa dei ricavi rispetto a quelli stimati sulla base dello studio di settore (v. pag. 4 del ricorso per cassazione in cui è trascritta la motivazione dell’accertamento in relazione a tale specifico punto), ma gli elementi dedotti in sede di contraddittorio sono stati poi maggiormente valorizzati in sede di giudizio ed hanno comportato la riduzione dei ricavi presuntivi in maniera consistente, tenendo conto della conduzione familiare, della dislocazione della attività commerciale e della malattia di uno dei gestori, che però non poteva giustificare la antieconomicità totale della attività e tanto meno l’azzeramento del reddito.

2.9. Non vi è stata quindi neppure alcuna violazione della regola dell’onere della prova che presidia l’accertamento basato sugli studi di settore poiché – così come correttamente ritenuto dalla sentenza impugnata – una volta che l’Ufficio abbia, come nel caso in esame, dimostrato la applicabilità in concreto dello standard prescelto e le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente, al fine di superare la presunzione di reddito determinata dalla procedura standardizzata, grava sul contribuente l’onere di dimostrare, attraverso informazioni ricavabili da fonti di prova acquisite al processo con qualsiasi mezzo, la sussistenza di circostanze di fatto tali da far discostare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento e giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale in virtù di detta procedura (v. Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 769 del 15/01/2019 Rv. 652188 – 01).

2.10. Il ricorrente ha invece erroneamente sostenuto, con il ricorso per cassazione che sarebbe spettato all’amministrazione indicare e dimostrare fatti specifici idonei a confermare l’attendibilità del metodo presuntivo, il che è erroneo poiché un tale onere è predicabile solo ove non sia stato instaurato il contraddittorio ovvero quando, attivato quest’ultimo, il contribuente abbia offerto elementi sia pure presuntivi in grado di giustificare lo scostamento, atteso che, in caso contrario, ove cioè, come nella specie, il contraddittorio sia stato attivato e il contribuente si sia limitato a mera attività assertiva, senza addurre elementi concreti in grado di supportarla, a fondare l’accertamento ben può bastare, di per sé, l’applicazione dello studio di settore. Tanto più che, comunque, l’Ufficio ha poi indicato anche altre consistenti presunzioni a conforto della tipologia di accertamento applicata ed in particolare la estrema modestia del reddito dichiarato, indicativo di attività illogica ed antieconomica e nel giudizio sono stati comunque valorizzati gli elementi addotti dal contribuente attraverso il riconoscimento di una percentuale ragionevole di riduzione dei ricavi risultanti sulla base degli studi di settore.

3. Quanto infine alla richiesta di annullamento della sentenza per non avere rilevato d’ufficio la nullità dell’accertamento impugnato nel presente giudizio con riguardo ai separati accertamenti emessi nei confronti dei soci di società a ristretta base familiare e societaria in applicazione della presunzione di distribuzione dei redditi occulti ai soci e per violazione della regola del litisconsorzio necessario, si deve rilevare che la questione non ha costituito – dichiaratamente – oggetto del giudizio di merito ed appare comunque pretestuosa poiché è la stessa ricorrente a riconoscere che si è trattato di separati accertamenti impugnati separatamente dai soci. E’ in ogni caso consolidato il principio per cui nel giudizio di impugnazione dell’avviso di accertamento emesso nei confronti di socio di società di capitali, come nel caso in esame, avente ad oggetto il maggior reddito da partecipazione derivante dalla presunzione di distribuzione dei maggiori utili accertati a carico della società partecipata, non sussiste litisconsorzio necessario con la società (v. Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 20507 del 29/08/2017 Rv. 645046 01). Ed anzi, anche nel caso di trattazione e decisione congiunta dei giudizi di impugnazione di due distinti avvisi di accertamento, proposti l’uno da una società di capitali e l’altro dai singoli soci ed avente ad oggetto l’imposta sui dividendi, non incide sull’autonomia di tali giudizi, con la conseguenza che il passaggio in giudicato del capo di sentenza relativo all’obbligazione tributaria della società non riverbera alcun effetto su quella dei singoli soci (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 426 del 10/01/2013 Rv. 625087 – 01).

4. In conclusione, il ricorso deve rigettato. Non si deve provvedere sulle spese di questo giudizio essendo la Agenzia rimasta intimata. Poiché il procedimento di impugnazione è iniziato dopo il trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della L. n. 228 del 2012, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta Sezione Civile, il 10 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2021

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