Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19441 del 23/09/2011

Cassazione civile sez. I, 23/09/2011, (ud. 11/05/2011, dep. 23/09/2011), n.19441

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.M.F. (c.f. (OMISSIS)), S.

L. (c.f. (OMISSIS)), in proprio e nella qualità di

eredi di SA.LE., S.G. e Z.

M., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA COSSERIA 5, presso

l’avvocato LOBINA PAUDICE MARIA GRAZIA, che le rappresenta e difende

unitamente all’avvocato PREVITERA MARIA RACHELE, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di TRENTO, depositato il

25/06/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/05/2011 dal Consigliere Dott. SALVATORE DI PALMA;

udito, per le ricorrenti, l’Avvocato LOBINA PAUDICE MARIA GRAZIA che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Che M.F. e S.L., in proprio e quali eredi di Sa.Le. – deceduto il (OMISSIS) -, di Z. M. – deceduta il (OMISSIS) – e di G. S. – deceduta il (OMISSIS) -, con ricorso del 22 settembre 2009, hanno impugnato per cassazione – deducendo tre motivi di censura -, nei confronti del Ministro della giustizia, il decreto della Corte d’Appello di Trento depositato in data 25 giugno 2008, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso delle predette ricorrenti – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, -, in contraddittorio con il Ministro della giustizia – il quale, costituitosi nel giudizio, ha concluso per la inammissibilità o per l’infondatezza del ricorso -, ha condannato il resistente a pagare a ciascuna delle ricorrenti la somma di Euro 14.000,00, oltre interessi dalla domanda;

che resiste, con controricorso, il Ministro della giustizia;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con due distinti ricorsi del 24 marzo 2008, era fondata sui seguenti fatti: a) Sa.Le., M. Z. e S.G., con citazione notificata il 28 luglio 1984, avevano promosso nei confronti di S.I. causa avente ad oggetto l’accertamento della autenticità della sottoscrizione di un atto di compravendita stipulato dal convenuto dinanzi al Tribunale di Rovigo (R.g. n. 1281/84); b) con altra citazione notificata il 19 marzo 1985 i medesimi soggetti avevano promosso, sempre nei confronti del medesimo convenuto causa avente ad oggetto il rendiconto del reddito ritratto dallo stesso convenuto da un’azienda agricola (R.g. n. 320/85); c) in data 3 dicembre 1985, Sa.Le. era deceduto; c) le odierne ricorrenti si erano costituite in riassunzione nel marzo 1986; d) con ordinanza del 30 dicembre 1986, il Giudice istruttore aveva disposto la riunione delle due predette cause; e) Z.M. era deceduta il (OMISSIS); F) le odierne ricorrenti si erano costituite in riassunzione il 20 ottobre 1987; g) medio tempore, erano state promosse dalle odierne ricorrenti altre due cause aventi ad oggetto la concessione di sequestro conservativo ante causam e la convalida del concesso sequestro nonchè il merito (R.g. nn. 998 e 1608/87); h) con ordinanza del 2 marzo 1988, il Giudice istruttore aveva disposto la riunione alle due precedenti anche di tali ulteriori due cause; i) il Tribunale adito aveva pronunciato sentenza parziale n. 373/89 del 13 giugno 1989; 1) pendente il giudizio di primo grado era stato promosso e deciso (con sentenza della Corte d’Appello di Venezia del 3 luglio 1995) appello contro detta sentenza parziale; m) in data 22 febbraio 1991, S.G. era deceduta; n) le odierne ricorrenti si erano costituite in prosecuzione il 17 aprile 1991; o) dopo lunghissima istruttoria, segnata anche da plurime sostituzioni del giudice istruttore e da plurime consulente tecniche d’ufficio, il Giudice istruttore, con ordinanza del 9 maggio 2007, aveva disposto la separazione della causa iscritta al n. 320/85 (rendiconto) da quelle riunite sotto il numero di ruolo n. 1281/84, disponendo per il prosieguo dell’istruzione probatoria; p) le cause riunite sotto il n. 1281/84 erano state decise con sentenza definitiva del 3 marzo 2008, mentre quella iscritta al n. 320/85 era ancora pendente al momento della proposizione del ricorso per equa riparazione (24 marzo 2008);

che la Corte d’Appello di Trento, con il suddetto decreto impugnato:

a) dopo aver premesso che “con entrambi i ricorsi le ricorrenti lamentano l’eccessiva durata di un unico procedimento ancorchè si sia proceduto da parte del giudice innanzi al quale pendevano ad una separazione delle cause” e che “conseguentemente la vicenda deve essere esaminata, malgrado la diversa posizione assunta dalla parte, in modo unitario e congiunto (salva ovviamente una diversa valutazione della durata del procedimento)”, e dopo aver sintetizzato le predette fasi principali del processo, ne ha determinato la durata ragionevole in dieci anni complessivi: di cui sette anni, in ragione della straordinaria complessità del giudizio -“come dimostrato dalla numerosa serie di richieste di emissione di provvedimenti anticipatori e cautelari … , nonchè dalla contemporanea pendenza in fase di primo grado e di secondo grado, dalla reciprocità delle domande proposte in via contrapposta nonchè dal numero delle parti … anche a causa dell’accesa litigiosità che ha anche determinato prolungamenti del giudizio perfino per poter procedere alla riunione di cause evidentemente connesse” -, ed ulteriori tre anni per il comportamento delle parti, le quali si sono rese promotrici di rinvii “dilatori”; b) ha determinato la durata irragionevole del processo in quattordici anni; e) ha liquidato a ciascuna ricorrente, jure proprio, la somma di Euro 14.000,00 sulla base di un indennizzo annuo pari ad Euro 1.000,00.

Considerato che con i motivi di censura – i quali possono essere esaminati per gruppi di questioni -, vengono denunciati come illegittimi, anche sotto il profilo del vizio di motivazione: a) sul rilievo che sono stati proposti due distinti ricorsi per equa riparazione in riferimento alla irragionevole durata, rispettivamente, del processo iscritto al n. 320/85 (richiesta di rendiconto) e di quello iscritto al n. 1281/84, l’omessa distinta considerazione, da parte dei Giudici a quibus, della durata irragionevole di ciascuno di detti processi e l’omessa conseguente determinazione dell’indennizzo relativo a ciascuno di essi che, nonostante la disposta riunione, sono da ritenere connotati da reciproca autonomia; b) la determinazione, inficiata da motivazione contraddittoria, in ventiquattro anni, della durata complessiva dei due processi considerati unitariamente – anzichè in ventitre anni ed in ventuno anni, rispettivamente, del processo iscritto al n. 320/85 (richiesta di rendiconto) e di quello iscritto al n. 1281/84 -; c) la determinazione in dieci anni – anzichè in cinque anni – della durata ragionevole del processo presupposto, con la conseguenza che deve essere rideterminata la durata irragionevole di ciascuno dei processi presupposti riuniti: in particolare, in sedici anni quella concernente le cause riunite nn. 998/87 (sequestro conservativo ante causam) e 1608/87 (convalida di detto sequestro conservativo e contestuale merito) ed in diciotto anni quella concernente la causa n. 320/85 (rendiconto);

che il ricorso non merita accoglimento, in riferimento a tutte tali censure;

che debbono essere premessi – ribadendoli – alcuni principi enunciati da questa Corte: a) al fine di verificare il rispetto del termine ragionevole di durata del processo di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione EDU, il giudice del merito deve procedere a una valutazione sintetica e complessiva del processo presupposto, anche quando esso si sia articolato in vari gradi e fasi, con la conseguenza che – al fine predetto -come non è consentito, nell’ambito della valutazione dei tempi di un grado di giudizio, prescindere, in considerazione della ritenuta assenza di ritardi ingiustificati, dalla fase che ha preceduto la riunione di una pluralità di procedimenti, così non è consentito considerare separatamente due o più procedimenti riuniti relativi a cause connesse, di cui sia parte la stessa persona che chiede l’equa riparazione, in quanto tali procedimenti, se conservano la loro autonomia sul piano processuale e sostanziale, debbono essere considerati unitariamente al fine medesimo, determinandosi altrimenti una ingiusta duplicazione dell’indennizzo in relazione al danno non patrimoniale patito dalla stessa persona in uno stesso processo (arg.

dalla sentenza n. 17554 del 2006); b) in tema di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del processo civile, nel caso di giudizio introdotto con atto di citazione, il dies a quo in relazione al quale valutare la durata del processo è costituito dal momento in cui si notifica l’atto di citazione e, ai fini del calcolo, vanno sottratti dalla durata complessiva, i tempi addebitabili al comportamento delle parti (cfr., ex plurimis, l’ordinanza n. 23323 del 2007); c) ai fini della determinazione della durata ragionevole del processo, ai sensi della L. n. 89 del 2001, è ragionevole, conformemente ai parametri elaborati dalla Corte EDU, una durata di tre anni per il processo di primo grado e di due anni per il processo d’appello (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 20546 del 2009); d) in tema di equa riparazione prevista dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, nel caso di decesso di una parte, l’erede ha diritto a conseguire, jure successionis, l’indennizzo maturato dal de cuius per l’eccessiva protrazione di un processo che lo vide parte anche prima dell’entrata in vigore della citata legge, nonchè, jure proprio, l’indennizzo dovuto in relazione all’ulteriore decorso della medesima procedura, dal momento in cui abbia assunto formalmente la qualità di parte, cioè dal momento in cui si sia costituito nel giudizio, ciò in quanto, anche se la qualificazione ordinamentale negativa del processo, ossia la sua irragionevole durata, è stata già acquisita nel segmento temporale in cui era parte il de cuius e permane anche in relazione alla valutazione della posizione del successore;

– che subentra, pertanto, in un processo oggettivamente irragionevole -, per la commisurazione dell’indennizzo da riconoscere dovrà prendersi quale parametro di riferimento proprio la costituzione dell’erede in giudizio, posto che il sistema sanzionatorio delineato dalla Convenzione Europea e tradotto in norme nazionali dalla L. n. 89 del 2001 si fonda non sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di chi dal ritardo abbia subito danni, patrimoniali e non patrimoniali, ed in relazione ad indennizzi modulabili in base al concreto patema subito (cfr, ex plurimis, la sentenza n. 2983 del 2008); e) qualora la parte costituita in giudizio sia deceduta anteriormente al decorso del termine di ragionevole durata del processo, l’erede ha diritto al riconoscimento dell’indennizzo, jure proprio, soltanto per il superamento della predetta durata verificatosi con decorrenza dal momento in cui, con la costituzione in giudizio, ha assunto a sua volta la qualità di parte, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la continuità della sua posizione processuale rispetto a quella del dante causa, prevista dall’art. 110 cod. proc. civ., in quanto il sistema sanzionatorio delineato dalla CEDU e tradotto in norme nazionali dalla L. n. 89 del 2001 non si fonda sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di chi dal ritardo abbia ricevuto danni patrimoniali o non patrimoniali, mediante indennizzi modulabili in relazione al concreto patema subito, il quale presuppone la conoscenza del processo e l’interesse alla sua rapida conclusione (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 23416 del 2009);

che premessi e ribaditi tali principi, le censure sub a) e sub b) sono infondate, in quanto a ciascuna delle ricorrenti sarebbe spettato nella specie, soltanto jure proprio, l’indennizzo in riferimento alla durata irragionevole del processo presupposto che, valutato sinteticamente e complessivamente in conformità ai predetti principi, ha avuto una durata complessiva dal marzo del 1986 – data della costituzione in giudizio delle stesse ricorrenti, a seguito del decesso di Sa.Le. (3 dicembre 2005) – al 24 marzo 2008 – data del deposito del ricorso per equa riparazione -, cioè la durata complessiva di ventidue anni, mentre i Giudici a quibus hanno calcolato, in senso favorevole alle stesse ricorrenti, la durata complessiva del processo presupposto, considerato correttamente in modo unitario, in ventiquattro anni;

che, inoltre, la censura sub c) è parimenti infondata, in quanto i Giudici a quibus hanno specificamente ed adeguatamente motivato le ragioni in base alle quali hanno ritenuto di determinare in dieci anni la durata ragionevole del processo presupposto;

che, infatti, i Giudici a quibus hanno determinato tale durata, quanto a sette anni, in ragione della straordinaria complessità del giudizio – “come dimostrato dalla numerosa serie di richieste di emissione di provvedimenti anticipatori e cautelari … , nonchè dalla contemporanea pendenza in fase di primo grado e di secondo grado, dalla reciprocità delle domande proposte in via contrapposta nonchè dal numero delle parti … anche a causa dell’accesa litigiosità che ha anche determinato prolungamenti del giudizio perfino per poter procedere alla riunione di cause evidentemente connesse”, e, quanto a tre anni, in ragione del comportamento delle parti, le quali si sono rese promotrici di rinvii “dilatori”, puntualmente e partitamente individuati alle pagine da 6 a 8 del decreto impugnate;

che, a fronte di tale specifica motivazione, la censura in esame è estremamente generica perchè essa, invece di contestare specificamente ed altrettanto partitamente la natura “dilatoria” di ciascuno degli individuati rinvii ad istanza di parte, si incentra con insistenza sulla principale critica – già dianzi ritenuta infondata – rivolta al decreto impugnato, cioè alla inadeguata considerazione della illegittimità e/o inopportunità della disposta riunione delle due cause oggetto del processo presupposto;

che l’infondatezza di tale censura – e, quindi, la conseguente legittimità della determinazione in dieci anni della durata ragionevole del processo presupposto – rende priva di rilievo la questione della distinzione della spettanza dell’indennizzo jure proprio e/o jure successionis, in quanto – posto che Le.

S., primo dei danti causa delle ricorrenti, è deceduto in data (OMISSIS), cioè anteriormente al decorso del triennio di ragionevole durata del processo presupposto, promosso con le citazioni del 28 luglio 1984 e del 19 marzo 1985, e che i decessi delle altre due danti causa delle ricorrenti, Z.M. e S.G., avvenuti, rispettivamente, in data 23 aprile 1987 ed in data 22 febbraio 1991, non valgono a fondare il diritto delle stesse ricorrenti all’indennizzo jure successionis, essendosi essi verificati quando le ricorrenti medesime, costituitesi nel marzo del 1986 quali eredi di Sa.Le., erano già divenute parti del processo presupposto – tali eventi si sono comunque tutti consumati nel decennio (1986-1996) di ragionevole durata del processo presupposto;

che, sulla base delle considerazioni che precedono, anche la censura concernente la determinazione del quantum del riconosciuto indennizzo è infondata;

che infatti – non essendovi ragione per discostarsi dal consolidato orientamento di questa Corte che, sussistendo il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, considera equo, in linea di massima, l’indennizzo di Euro 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di irragionevole durata e di Euro 1.000,00 per ciascuno dei successivi anni -, nella specie, a fronte dei quattordici anni di irragionevole durata calcolati dalla Corte trentina, sarebbe spettato alle ricorrenti, secondo tale orientamento, l’indennizzo di Euro 13.250,00, mentre è stato alle stesse riconosciuto il maggiore indennizzo di Euro 14.000,00;

che, pertanto, il ricorso è complessivamente privo di fondamento;

che le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti, in solido tra loro, alle spese, che liquida in complessivi Euro 1.200,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 11 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2011

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