Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19441 del 22/08/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 19441 Anno 2013
Presidente: ODDO MASSIMO
Relatore: GIUSTI ALBERTO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
BELLANCA Giuseppe, rappresentato e difeso, in forza di procura
speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Giovanna Pansini,
con domicilio eletto nel suo studio in Roma, via Cicerone, n.
28;

– ricorrente contro
SIDERMETAL s.r.l. in persona del legale rappresentante
tempore,

pro

rappresentata e difesa, in forza di procura speciale

a margine del controricorso, dall’Avv. Francesco Emanuele Muscolino, con domicilio eletto in Roma, via Machiavelli, n. 25,
presso lo studio dell’Avv. Emilio Sanchez;
I.

– controricorrente –

/(60?-

//’

Data pubblicazione: 22/08/2013

e sul ricorso proposto da:
SIDERMETAL s.r.l. in persona del legale rappresentante
tempore,

pro

rappresentata e difesa, in forza di procura speciale

a margine del controricorso, dall’Avv. Francesco Emanuele Mu-

presso lo studio dell’Avv. Emilio Sanchez;
– ricorrente in via incidentale contro
BELLANCA Giuseppe, rappresentato e difeso, in forza di procura
speciale a margine del ricorso, dall’Avv. Giovanna Pansini,
con domicilio eletto nel suo studio in Roma, via Cicerone, n.
28;
– controricorrente al ricorso incidentale avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo, depositata il 26 marzo 2007.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 6 giugno 2013 dal Consigliere relatore Dott. Alberto
Giusti;
udito l’Avv. Giovanna Pansini;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Carmelo Sgroi, il quale ha concluso
per il rigetto dei ricorsi, previa loro riunione.
Ritenuto in fatto
l. – Con sentenza in data 7 giugno 2001, il Tribunale di
Palermo condannò la s.r.l. Sidermetal al pagamento, in favore

2

scolino, con domicilio eletto in Roma, via Machiavelli, n. 25,

dell’arch. Giuseppe Bellanca, della complessiva somma di lire
34.139.492, comprensiva dell’acconto di lire 3.900.000 e
dell’importo di lire 22.998.886, pagato a seguito di due ordi-

ex art. 186-bis cod. proc. civ., a titolo di compenso

nanze

stabilimento industriale con annesso corpo uffici ad
un’elevazione fuori terra, destinato al riciclaggio ed al recupero di materiali ferrosi semilavorati.
Il Tribunale, che condannò la società al pagamento degli
interessi legali sul residuo e compensò per la metà le spese
processuali, evidenziò che la richiesta, avanzata dal professionista, di vedersi riconosciute lire 241.889.515 non aveva
trovato conferma in seno alla disposta c.t.u., che aveva consentito di appurare l’effettiva entità dei manufatti progettati.

Il primo giudice rilevò, inoltre, che il Bellanca aveva,
bensì, concordato il compenso di lire 17.900.000, come affermato dalla società, ma precisò che tale accordo doveva ritenersi superato, per essersi il contratto risoluto, di diritto,
in conseguenza dell’inadempimento della società committente,
che non aveva provveduto al pagamento del compenso pattuito e
reso, così, necessaria la determinazione giudiziale.
2.

Giudicando sull’appello principale proposto

dall’arch. Bellanca e su quello incidentale della società Sidermetal, la Corte di Palermo, con sentenza resa pubblica me-

per la redazione, ad opera dell’attore, del progetto di uno

diante deposito in cancelleria il 26 marzo 2007, ha dichiarato
che il compenso dovuto dalla società committente ammonta a lire 17.900.000, oltre IVA e CNPAIA, con gli interessi legali
sulla sorte di lire 14.280.000 dalla data della notificazione

stituire alla società le somme ricevute in esubero rispetto a
quelle sopra determinate, ha confermato nel resto l’impugnata
sentenza e ha compensato per metà le spese dell’appello, condannando l’appellata al pagamento in favore dell’appellante
dell’altra metà.
La Corte d’appello ha rilevato che l’assunto del primo
giudice, secondo cui l’inadempimento della committente
all’obbligo di pagare l’onorario pattuito legittimerebbe il
professionista a ritenere superato, caducato o risolto di diritto il relativo patto, non trova base nel nostro ordinamento, giacché l’inadempimento giustifica la risoluzione del contratto, che è fonte di obblighi restitutori e risarcitori, ma
nella specie il professionista ha agito per l’adempimento del
contratto, con conseguente efficacia vincolante delle relative
pattuizioni.
Posto che nella disciplina della professioni intellettuali
il contratto costituisce la fonte principale per la determinazione del compenso, mentre la relativa tariffa rappresenta una
fonte sussidiaria e suppletiva, alla quale è dato ricorrere,
ai sensi dell’art. 2233 cod. civ., soltanto in assenza di pat-

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della citazione al pagamento, ha condannato il Bellanca a re-

tuizioni al riguardo, la Corte territoriale ha precisato che
la legge 5 maggio 1976, n. 340, che sancisce l’inderogabilità
dei minimi della tariffa professionale degli ingegneri ed architetti, non contiene alcuna disposizione diretta a sanziona-

Nella specie – ha proseguito la Corte d’appello – la determinazione convenzionale del compenso è documentata dal tenore univoco sia della fattura n. 9 del 28 dicembre 1992, con
la quale l’arch. Bellanca indicava nella somma di lire
14.000.000 (oltre contributi) il saldo delle competenze professionali per la progettazione dello stabilimento, somma cui
lo stesso perveniva deducendo, dalle competenze spettanti, di
lire 17.900.000, l’acconto ricevuto di lire 3.900.000; sia
dalla lettera del 17 febbraio 1993, con la quale il professionista sollecitava il pagamento della somma di lire 14.280.000
(sorte e contributi), ribadendo che l’importo in questione costituiva il saldo delle competenze dovutegli per l’attività
professionale in questione.
Infine, la Corte di Palermo ha giudicato infondate le censure mosse, da opposti punti di vista, dall’appellante principale e dall’appellante incidentale, alla regolamentazione delle spese del giudizio, essendo la disposta, parziale, compensazione conforme a giustizia, tenuto conto, da una parte,
dell’inadempimento della società, che ha dato luogo alla proposizione della controversia, e, dall’altra,

re di nullità le eventuali clausole in deroga.

dell’accoglimento,

solo

parziale,

della

domanda

dell’architetto.
3. – Per la cassazione della sentenza della Corte
d’appello il Bellanca ha proposto ricorso, con atto notificato

La società Sidermetal ha resistito con controricorso, proponendo, a sua volta, ricorso incidentale, affidato a due motivi, al quale ha replicato, con controricorso, il professionista.
In prossimità dell’udienza il ricorrente in via principale
ha depositato una memoria illustrativa.
Considerato in diritto

l. – Preliminarmente, il ricorso principale ed il ricorso
incidentale devono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 cod.
proc. civ., essendo entrambe le impugnazioni proposte contro
la stessa sentenza.
2. – Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione
degli artt. 100, 324, 327 e 334 cod. proc. civ. e 2909 cod.
civ.) si deduce l’inammissibilità dell’appello incidentale per
l’avvenuta formazione del giudicato interno sulla determinazione dei compensi del professionista in base alla tariffa
professionale degli ingegneri ed architetti, sul rilievo che
l’appello incidentale tardivo della società (interposto con la
comparsa di risposta depositata il 24 ottobre 2002, a fronte
di sentenza di primo grado pubblicata il giorno 7 giugno 2001)

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il 26 settembre 2007, sulla base di sei motivi.

non poteva investire un capo autonomo della sentenza impugnata
rispetto a quelli impugnati con l’appello principale.
2.1. – Il motivo è infondato, giacché l’art. 334 cod.
proc. civ., che consente alla parte, contro cui è stata propo-

norma dell’art. 331 cod. proc. civ.), di esperire impugnazione
incidentale tardiva, senza subire gli effetti dello spirare
del termine ordinario o della propria acquiescenza, è rivolto
a rendere possibile l’accettazione della sentenza, in situazione di reciproca soccombenza, solo quando anche l’avversario
tenga analogo comportamento, e, pertanto, in difetto di limitazioni oggettive, trova applicazione con riguardo a qualsiasi
capo della sentenza medesima, ancorché autonomo rispetto a
quello investito dall’impugnazione principale (Cass., Sez.
Un., 23 gennaio 1998, n. 652; Cass., Sez. III, 31 gennaio
2006, n. 2126; Cass., Sez. n, 24 aprile 2012, n. 6470).
3. – Con il secondo mezzo (violazione e falsa applicazione
degli artt. 112 e 342 cod. proc. civ. nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio) il ricorrente in via principale
denuncia l’inammissibilità dell’appello incidentale (con conseguente avvenuta formazione del giudicato interno sulla determinazione dei compensi in base alla tariffa professionale
degli ingegneri ed architetti) per violazione dei principi di
specificità dei motivi di gravame. La Corte d’appello avrebbe

sta impugnazione (o chiamata ad integrare il contraddittorio a

inoltre male interpretato la sentenza di primo grado, ritenendo erroneamente che la stessa avesse ravvisato la sussistenza
di un accordo inter partes sul compenso.
3.1. – La doglianza è infondata.

domanda volta al conseguimento della somma di lire
237.898.515, come da parcella vistata dall’ordine professionale, ha, sempre, opposto, sin dalle prime difese, l’esistenza
dell’accordo sul compenso pari a lire 17.900.000, ed accessori, ed ha invocato, al riguardo, proprio la lettera di sollecito del saldo, a firma del professionista.
Il Tribunale ha condiviso l’assunto della Sidermetal, rilevando che “il predetto professionista, come chiaramente emerge dalla fattura da lui redatta e da lui sottoscritta per
la sua attività professionale, aveva concordato o preteso, poco importa, la somma si lire 17.900.000 oltre IVA e cassa previdenza architetti”; ma ha ritenuto risolto detto accordo per
non avere la società convenuta provveduto a pagare quanto richiesto (“Non avendo provveduto ad osservare i patti, anche
dopo la lettera di sollecito del 17 febbraio 1993 l’attore aveva bene il diritto di rivolgersi, come ha fatto,
all’autorità giudiziaria e a chiedere il pagamento non già
delle somme concordate, perché tale accordo doveva e deve ritenersi superato dal mancato pagamento”).

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In primo grado, la società convenuta, difendendosi dalla

Tale essendo il quadro delle statuizioni emergente per tabulas dalla motivazione della sentenza di primo grado (di cui,
del resto, ha dato atto lo stesso arch. Bellanca quando, nella
memoria conclusionale deposita in appello, ha precisato, a

nel ritenere la sussistenza di un

accordo sul prezzo, che in-

vece non è mai esistito”), ritualmente, e nel rispetto della
prescrizione che vuole i motivi di appello specifici, la società Sidermetal, con l’impugnazione in via incidentale, si è
doluta del fatto che il Tribunale, “pure riconoscendo espressamente come vera e provata la circostanza che i contraenti
avevano determinato consensualmente e liberamente l’ammontare
del compenso”, fosse giunto alla conclusione di ritenere decaduto l’accordo: e ciò in quanto, “non avendo l’attore formulato alcuna domanda tendente all’accertamento (e alla relativa
declaratoria) di risoluzione e/o di nullità del contratto o
della sua specifica

clausola determinativa del compenso”,

il

giudice non poteva, “motivando e pronunziando ultra petita”,
“dichiarare l’avvenuta ‘caducazione’ della

clausola relativa

al compenso”.
Ne consegue che, corrispondentemente, nessuna ultrapetizione è ravvisabile nella sentenza della Corte d’appello: la
quale – dopo avere ribadito, in continuità con la pronuncia di
primo grado, la sussistenza della determinazione convenzionale
del compenso – ha rilevato che erroneamente il Tribunale aveva

pag. 9, che “sia il c.t.u. che il primo giudice hanno errato

dichiarato la risoluzione del contratto, posto che nessuna domanda in tale senso aveva formulato il professionista, il quale anzi aveva agito per l’adempimento del contratto d’opera,
che presuppone l’efficacia vincolante delle relative pattui-

4. – Il terzo motivo del ricorso principale denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio, e cioè in ordine
all’esistenza di un accordo tra il Bellanca e la Sidermetal,
in virtù del quale il compenso del professionista sarebbe stato determinato nella complessiva somma di lire 17.900.000, oltre IVA e contributo, nonché nullità della sentenza e violazione e falsa applicazione degli artt. 1326, 1328 e 1362 cod.
civ. I quesiti che accompagnano la censura sono i seguenti:
“se l’avere desunto l’esistenza di un accordo tra le parti sui
compensi dell’attore sulla base di un non meglio precisato
‘tenore univoco’ di atti unilaterali (nella specie della fattura 9/92 e della lettera 17 febbraio 1993) senza alcuna disamina logico-giuridica, tale da lasciare trasparire il percorso
argomentativo seguito per pervenire alla conclusione
dell’esistenza di un siffatto accorso e quindi del consenso
delle parti, costituisca motivazione effettiva e valida o motivazione meramente apparente”;

“se

l’avere desunto

l’esistenza di un accordo sulla base di semplici atti unilaterali, privi di qualsivoglia connotazione di volontà bilaterale

zioni, ivi compresa, appunto, quella relativa al compenso.

o di alcun riferimento ad una volontà bilaterale, e senza neppure motivare in ordine ad una possibile volontà o comportamento bilaterale, costituisca violazione dell’art. 1362 cod.
civ. che impone che per essere oggetto di interpretazione il

contratto, debba essere comune”; “se, in mancanza di accordo o
di accettazione, una proposta unilaterale (nella specie quella
contenuta nella fattura 9/92 e nella lettera 17 febbraio 1993)
possa essere revocata anche tacitamente dal proponente”; “se
sia congruamente e logicamente motivata la sentenza impugnata
nella parte in cui ritiene la sussistenza di un accordo tra le
parti in ordine alla determinazione dei compensi dell’arch.
Bellanca in lire 17.900.000, oltre accessori”.
4.1. – La doglianza è infondata.
La

Corte

territoriale

ha motivato

in

ordine

all’accertamento relativo all’accordo sul compenso professionale, messo in contestazione dall’appellante principale, non
solo facendo proprie le argomentazioni della sentenza di primo
grado, ma anche spingendosi oltre, valutando sia la fattura
emessa dal professionista, espressamente a saldo dell’attività
svolta in favore della Sidermetal, sia la lettera di sollecito
proveniente dallo stesso arch. Bellanca, in cui l’importo veniva, ancora una volta, richiesto a saldo delle competenze dovutegli per l’attività professionale in questione.

comportamento delle parti, successivo alla conclusione del

Il ricorrente in via principale sostiene che il tenore
della fattura e della lettera di sollecito non sarebbero sufficienti a far desumere una determinazione pattizia, ma non
tiene conto, per un verso, del fatto che la fattura ha effica-

ne e l’importo del corrispettivo (Cass., Sez. Il, 19 luglio
2011, n. 15832), e, per l’altro verso, della circostanza che
la stessa dicitura “a saldo”, contenuta nella fattura e nella
lettera di sollecito, non rimanda ad una proposta necessitante
di una accettazione da parte del destinatario, ma ad un contratto già definito nei suoi elementi essenziali.
Con la proposta doglianza il ricorrente, pur apparentemente prospettando un vizio di violazione di legge e di motivazione, tende, in realtà, a rimettere in discussione, contrapponendovene uno proprio, l’apprezzamento in fatto del giudice
di merito sull’esistenza di un accordo sul compenso; apprezzamento che, in quanto basato sull’analitica disamina degli elementi di valutazione disponibili ed espresso con motivazione
immune da lacune ed in sé coerente, si sottrae al giudizio di
legittimità.
5. – Con il quarto motivo (violazione e falsa applicazione dell’articolo unico, secondo comma, della legge 4 marzo
1958,

n.

143,

5 maggio 1976,
del 1976,

come modificato dall’articolo unico della legge
n.

340)

si pone il quesito se la legge n.

340

che sancisce l’inderogabilità dei minimi della ta-

cia probatoria contro l’emittente, che vi indica la prestazio-

riffa degli ingegneri ed architetti, costituisca norma imperativa o meno e se le eventuali pattuizioni al di sotto dei minimi legali siano o meno nulle.
5.1. – La censura è priva di fondamento.

nella giurisprudenza di questa Corte (Sez. Il, 26 ottobre
1992, n. 11625; Sez. Il, 28 gennaio 2003, n. 1223; Sez. Il, 5
ottobre 2009, n. 21235; Sez. Il, 11 agosto 2011, n. 17222),
secondo cui, in tema di compenso per l’opera professionale di
ingegnere, la inderogabilità dei minimi tariffari, disposta
dall’articolo unico della legge 5 maggio 1976, n. 340, non implica di per sé, in difetto di espressa sanzione, la nullità
dell’accordo con cui il cliente ed il professionista abbiano
espressamente pattuito il compenso stesso in misura inferiore
a detti minimi.
6. – Anche il quinto motivo del ricorso principale – che
denuncia l’illegittimità costituzionale della legge 5 maggio
1976, n. 340, per contrasto con l’art. 3 Cost. e con riferimento alla tariffa professionale forense – non coglie nel segno.
In materia di compensi professionali per gli ingegneri ed
architetti, è, invero, manifestamente infondata la questione
di legittimità dell’articolo unico della legge 5 maggio 1976,
n. 340, nella parte in cui non sanziona con la nullità il patto determinativo del compenso del cliente in deroga ai minimi

La Corte d’appello si è attenuta al principio, costante

tariffari, in riferimento all’art. 3 Cost. ed in relazione alla diversa disciplina dettata per le prestazioni giudiziali in
materia civile dell’avvocato, per le quali l’art. 24 della
legge 13 giugno 1942, n. 794, prevedeva espressamente (nella

creto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito in legge, con
modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248) la nullità
del patto in deroga ai minimi predetti. La normativa (allora)
vigente per gli avvocati, essendo eccezionale in un quadro caratterizzato dall’immanenza del principio generale, ricavabile
dall’art. 2233 cod. civ., della libera pattuizione del compenso tra le parti del contratto di prestazione d’opera intellettuale, è, infatti, insuscettibile di assurgere a idoneo termine di raffronto, non ricorrendo

l’eadem ratio,

essendo da e-

scludere che la sanzione della nullità ex art. 1418 cod. civ.,
che scatta quando vi è l’esigenza di tutela di interessi generali, possa essere estesa, attraverso il sindacato di legittimità costituzionale, in funzione del perseguimento di un interesse particolare o corporativo della categoria professionale.
Non sussiste, pertanto, la diversità di trattamento denunciata
come ingiustificata, perché, in una questione di legittimità
costituzionale formulata in riferimento al principio di eguaglianza, una norma che si ponga come eccezione ad una regola
generale, qui espressiva del valore della libertà di concorrenza, non è assumibile quale valido tertium comparationis se

disciplina anteriore all’entrata in vigore dell’art. 2 del de-

non in presenza delle medesime ragioni giustificatrici del
trattamento derogatorio.
7. – Il sesto motivo, che censura la statuizione delle
spese, è inammissibile, essendo privo di autonomia, in quanto

derivante dall’accoglimento degli altri motivi di ricorso.
8. – Per effetto del rigetto del ricorso principale, resta
assorbito l’esame del primo motivo del ricorso incidentale
(violazione e falsa applicazione degli artt. 324, 329, 333,
343 e 346 cod. proc. civ.), con cui la società Sidermetal pone
il quesito se si sia formato il giudicato interno sulla statuizione di primo grado relativa alla esistenza o validità
dell’accordo inter partes sul compenso professionale in ragione della mancata impugnazione, con specifici motivi di appello, da parte dell’arch. Bellanca, soccombente con riferimento
al suddetto accertamento ancorché in concreto vittorioso in
ordine alla disapplicazione da parte del Tribunale del relativo accordo.
9. – Il secondo mezzo del medesimo ricorso (omessa o insufficiente pronuncia circa la condanna alle spese per il giudizio di primo grado; violazione e falsa applicazione degli
artt. 91 e 92 cod. proc. civ.) per un verso denuncia l’omessa
indicazione della parte a carico della quale sia stato posto
il pagamento della metà delle spese del giudizio di primo grado non compensate, per l’altro verso pone il quesito “se co-

la censura con esso articolata postula una diversa soccombenza

stituisca violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. la
parziale condanna al pagamento delle spese del grado di appello a carico dell’appellante incidentale là dove l’appello incidentale sia stato integralmente accolto”.

La censura di avere omesso di indicare la parte a carico
della quale sia stato posto il pagamento della metà delle spese del giudizio di primo grado, oltre a rivolgersi, inammissibilmente, contro un capo della sentenza di primo grado, si basa su un erroneo presupposto interpretativo. La Corte
d’appello, nel confermare il regolamento delle spese compiuto
dal Tribunale, ha infatti chiaramente indicato che il pagamento della metà delle spese del primo grado è a carico della società convenuta, giacché la controversia è stata causata
dall’inadempimento della società, mentre l’accoglimento solo
parziale della domanda giustifica la compensazione parziale
delle spese.
Quanto al regolamento delle spese d’appello, la doglianza
non considera che il criterio della soccombenza, al fine di
determinare l’onere delle spese processuali, non si fraziona
secondo l’esito delle varie fasi del giudizio, ma va riferito
unitariamente all’esito finale della causa, nulla rilevando
che in qualche fase o grado la parte sia rimasta vittoriosa
(Cass., Sez. III, 29 settembre 2011, n. 19880; Cass., Sez. VI3, 13 marzo 2013, n. 6369). Ed è proprio l’esito complessivo

9.1. – Il motivo è infondato.

della lite che ha guidato la Corte del merito a ripartire tra
le parti l’onere delle spese, in maniera unitaria nel giudizio
di primo e di secondo grado.
10. – Il ricorso principale è rigettato.

mentre l’esame del primo resta sssorbito.
L’esito del giudizio di cassazione, con la reciproca soccombenza, giustifica l’integrale compensazione delle spese
processuali di questa fase.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte, riuniti i ricorsi,

rigetta il ricorso principale,

rigetta il secondo motivo del ricorso incidentale e
assorbito il primo dello stesso;

dichiara

dichiara

compensate tra le

parti le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della II
Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 6 giugno
2013.

Del ricorso incidentale va rigettato il secondo motivo,

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