Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19441 del 03/08/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 03/08/2017, (ud. 20/04/2017, dep.03/08/2017),  n. 19441

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NEGRI LA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21290-2011 proposto da:

P.I. S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.M., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA RENO 21, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO RIZZO, che lo

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 3295/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 17/09/2010 R.G.N. 4317/2008.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza 17 settembre 2010, la Corte d’appello di Roma dichiarava la nullità del termine apposto al contratto stipulato, per le esigenze tecniche organizzative e produttive previste dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 anche in riferimento agli accordi sindacali 17, 18 e 23 ottobre 2001, 11 dicembre 2001 e 11 gennaio 2002, da P.I. s.p.a. con C.M. per il periodo 1 febbraio – 30 aprile 2002, accertava l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato dalla prima data e condannava la società datrice al pagamento, a titolo risarcitorio, di somma pari alle retribuzioni maturate dalla data di costituzione in mora (29 novembre 2004), nei limiti del triennio decorrente dalla definitiva cessazione del rapporto (31 agosto 2004): così riformando la sentenza di primo grado, che aveva invece respinto le domande del lavoratore;

che avverso tale sentenza P.I. s.p.a. ha proposto ricorso con tre motivi, cui ha resistito il lavoratore con controricorso contenente ricorso incidentale articolato su otto motivi e memoria ai sensi dell’art. 380bis c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

che la ricorrente deduce omessa e insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo, quale l’omessa valutazione di ammissibilità e rilevanza del capitolo di prova dedotto sub 11) a fini dimostrativi della specificità delle ragioni del contratto a termine, senza alcuna spiegazione del suo mancato accoglimento (primo motivo); violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 4, comma 2, art. 2697 c.c., artt. 115,116,244 e 253 c.p.c., art. 421 c.p.c., comma 2, per esclusione di un onere di prova datoriale delle ragioni giustificanti la stipulazione di un contratto a tempo determinato, in difetto di previsione normativa, al contrario che per la sua proroga (secondo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 1206,1207,1217,1219,2094 e 2099 c.c., per inesistenza di un obbligo retributivo a carico datoriale dalla data di messa in mora, in difetto di prestazione lavorativa, anzichè dall’effettiva ripresa del servizio, nè risarcitorio in favore del lavoratore e tenuto conto dell’applicabilità della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5 quale ius superveniens (terzo motivo);

che il lavoratore controricorrente, a propria volta ricorrente incidentale deduce motivazione insufficiente e contraddittoria sulla limitazione del risarcimento del danno al triennio successivo alla cessazione di fatto del rapporto (primo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 1226 c.c. per erroneo ricorso al criterio equitativo nella liquidazione del danno (secondo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. per erroneo ricorso al criterio presuntivo (di reperimento di nuova occupazione in un triennio) nella liquidazione del danno, in difetto dei requisiti di precisione, gravità e concordanza (terzo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 1225 c.c. per erroneo ricorso al criterio di prevedibilità nella liquidazione del danno (quarto motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c. per inesistenza di alcun fatto colposo del lavoratore nella determinazione del danno (quinto motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. per violazione del regime di ripartizione dell’onere della prova, attribuito al lavoratore (sesto motivo); nullità parziale della sentenza per violazione dell’art. 432 c.p.c., in assenza dei presupposti per una pronuncia in via equitativa sulla liquidazione del danno, di entità ben accertabile (settimo motivo); nullità parziale della sentenza per violazione dell’art. 114 c.p.c., per erronea decisione in via di equità in assenza di controversia su diritti disponibili e di richiesta concorde delle parti (ottavo motivo);

che ritiene il collegio che i primi due motivi debbano essere rigettati, mentre il terzo accolto, nella parte relativa all’applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32,comma 5 quale ius superveniens, assorbita quella riguardante il regime previgente con assorbimento di tutti i motivi di ricorso incidentale;

che, infatti, i primi due motivi, congiuntamente esaminabili, sono infondati, per l’accertamento in fatto e la valutazione probatoria compiuti dalla Corte territoriale, sulla base di congrua e adeguata motivazione (agli ultimi due capoversi di pg. 6 della sentenza), insindacabile in sede di legittimità (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694), nella sussistenza di un indiscutibile onere probatorio datoriale, evincibile dalla stessa conformazione del contratto a termine come eccezione alla regola del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato (secondo il chiaro tenore del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 1) e soltanto esplicitato, ma non introdotto, dall’art. 4, comma 2 D.Lgs. cit.;

che il terzo è invece fondato, nella parte relativa allo ius supervenens, per la ritenuta corretta interpretazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 nel senso che la violazione di norme di diritto possa concernere anche disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, qualora siano applicabili al rapporto dedotto in giudizio perchè dotate di efficacia retroattiva: in tal caso essendo ammissibile il ricorso per cassazione per violazione di legge sopravvenuta; neppure nel caso di specie sussistendo il limite del giudicato, precluso anche, qualora la sentenza si componga di più parti connesse tra loro in un rapporto per il quale l’accoglimento dell’impugnazione nei confronti della parte principale determini necessariamente anche la caducazione della parte dipendente, dalla proposizione dell’impugnazione nei confronti della parte principale, pur in assenza di impugnazione specifica della parte dipendente (Cass. s.u. 27 ottobre 2016, n. 21691);

che pertanto il ricorso deve essere accolto in relazione al terzo motivo, limitatamente all’applicazione dello ius superveniens (L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5), con la cassazione della sentenza impugnata, in relazione al motivo come accolto e rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che dovrà limitarsi a quantificare l’indennità spettante all’odierna parte contro ricorrente ai sensi dell’art. 32 cit. per il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro (per tutte: Cass. 10 luglio 2015, n. 14461), con interessi e rivalutazione su detta indennità da calcolarsi a decorrere dalla data della pronuncia giudiziaria dichiarativa della illegittimità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro subordinato (per tutte: Cass. 17 febbraio 2016, n. 3062).

PQM

 

La Corte accoglie il ricorso principale, limitatamente all’applicazione dello ius superveniens (L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5), rigettati gli altri motivi e assorbito il ricorso incidentale; cassa la sentenza, in relazione allo ius superveniens e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 20 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2017

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