Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1944 del 03/02/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 1944 Anno 2015
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: FERNANDES GIULIO

SENTENZA
sul ricorso 16261-2013 proposto da:
MERIDIANA SPA 01846710901 in persona del Presidente del
Consiglio di Amministrazione e MERIDIANA FLY SPA
031846309064 in persona dell’amministratore delegato, elettivamente
domiciliate in ROMA, -VIALE GIULIO CESARE 21/23, presso lo
studio degli avvocati CARLO BOURSIER NIUTTA, ANTONIO
ARMENTANO, MARCELLO DE LUCA TAMAJO, che le
rappresentano e difendono, giusti mandati a margine della prima e
della seconda pagina del ricorso;
– ricorrenti
contro
9(4 59

Data pubblicazione: 03/02/2015

MARINI GRETA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
CRESCENZIO

19,

presso lo studio dell’avvocato CARLO

BALDASSARI, rappresentata e difesa dagli avvocati ALESSANDRO
MELONI, LUIGI PAU, giusta procura a margine del controricorso;

avverso la sentenza n. 425/2012 della CORTE D’APPELLO di
CAGLIARI – Sezione Distaccata di SASSARI del 5.12.2012, depositata
il 21/12/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
19/11/2014 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIO FERNANDES;
uditi per le ricorrenti gli Avvocati Carlo Boursier Niutta e Antonio
Armentano che si riportano ai motivi del ricorso e depositano dopo la
discussione note d’udienza;
uditi per la controricorrente gli Avvocati Vincenzo De Michele e
Sergio Galleano (per delega avv. Luigi Pau) che si riportano ai motivi
del controricorso e si oppongono al deposito di note d’udienza.

FATTO
Il Tribunale di Tempio, in parziale accoglimento della domanda
proposta da Marini Greta nei confronti di Meridiana s.p.a., dichiarava
la nullità del termine apposto ai contratti stipulati dalla ricorrente con
Meridiana dal 2000, ordinando a quest’ultima di iscrivere la ricorrente
nel libro paga e matricola con l’anzianità di servizio e le progressioni
contributive maturate condannandola, altresì, al pagamento di sette
mensilità globali di fatto godute, per l’anzianità maturata e per i periodi
non lavorati successivamente al 10 ottobre 2000.
Avverso tale decisione proponeva appello la Marini e la Corte di
appello di Cagliari — sez. distaccata di Sassari — lo accoglieva in parte
condannando in solido le società appellate a corrispondere
Ric. 2013 n. 16261 sez. ML – ud. 19-11-2014
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– controricorrente –

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all’appellante, con interessi e rivalutazione, tutte le maggiorazioni
contrattuali connesse con l’anzianità pregressa e maturata in ragione
dei vari rapporti a termine e nel corso degli stessi.
In particolare la Corte territoriale, per quello che in questa sede
ancora rileva, ravvisava il diritto al computo, a fini di anzianità

tutti i periodi effettivamente lavorati, ma non anche di quelli non
lavorati (nei quali il rapporto era stato consensualmente quiescente) a
fini di maturazione di scatti e differenze retributive.
Per la cassazione di tale decisione propongono ricorso Meridiana Fly
s.p.a. e Meridiana s.p.a. affidato ad un unico motivo.
La Marini resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

DIRITTO
Il Collegio rileva preliminarmente che non è di ostacolo allA trattazione
del ricorso la mancata presenza, alla odierna udienza, del rappresentante
della Procura generale presso questa Corte.
Invero, l’art. 70, comma 2, cod. proc. civ., quale risultante dalle
modifiche introdotte dall’art. 75 decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69,
convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, prevede
che il pubblico ministero “deve intervenire nelle cause davanti alla Corte
di cassazione nei casi stabiliti dalla legge”. A sua volta, l’art. 76 r.d. 10
gennaio 1941, n. 12, come sostituito dall’art. 81 del citato decreto legge
n. 69, al primo comma dispone che: “il pubblico ministero presso la
Corte di cassazione interviene e conclude: a) in tutte le udienze penali;
b) in tutte le udienze dinanzi alle Sezioni unite civili e nelle udienze
pubbliche dinanzi alle sezioni semplici della Corte di cassazione, ad
eccezione di quelle che si svolgono dinanzi alla sezione di cui all’art. 376,
primo comma, primo periodo, del codice di procedura civile”. L’art.
kic. 2013 n. 16261 sez. ML
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ud. 19-11-2014

retributiva e contributiva, degli scatti e del trattamento retributivo, di

376, primo comma, cod. proc. civ. stabilisce che: “Il primo presidente,
tranne quando ricorrono le condizioni previste dall’art. 374, assegna i
ricorsi ad apposita sezione che verifica se sussistono i presupposti per la
pronunzia in camera di consiglio”.
Infine, Part. 75 del già citato decreto legge n. 69 del 2013, quale

al primo comma, la. sostituzione dell’art. 70, secondo comma, del codice
di rito, e la modificazione degli artt. 380-bis, secondo comma, e 390,
primo comma, del medesimo codice, per adeguare la disciplina del rito
camerale alla disposta esclusione della partecipazione del pubblico
ministero alle udienze che si tengono dinanzi alla sezione di cui all’art.
376, primo comma, al secondo comma ha stabilito che: “Le disposizioni
di cui al presente articolo si applicano ai giudizi dinanzi alla Corte di
cassazione nei quali il decreto di fissazione dell’udienza o dell’adunanza
in camera di consiglio sia adottato a partire dal giorno successivo alla
data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”,
e cioè a far data dal 22 agosto 2013. Il Collegio, a tal fine, rileva che
l’esplicito riferimento contenuto, sia nell’art. 76, comma primo, lett. b),
del r.d. n. 12 del 1941 (come modificato dall’art. 81 del decreto legge n.
69 del 2013), sia nell’art. 75, comma 2, citato, alle udienze che si tengano
presso la Sesta sezione (e cioè quella di cui all’art. 376, primo comma,
cod. proc. civ.), consenta di ritenere, non solo che la detta sezione è
abilitata a tenere, oltre alle adunanze camerali, anche udienze pubbliche,
ma anche che alle udienze che si tengono presso la stessa sezione non è
più obbligatoria la partecipazione del pubblico ministero. Rimane
impregiudicata, ovviamente, la facoltà dell’ufficio del pubblico ministero
di intervenire ai sensi dell’art. 70, terzo comma, cod. proc. dv., e cioè
ove ravvisi un pubblico interesse (cfr. in tal senso Cass. 17 marzo 2014,
n. 6152; Cass. 20 gennaio 2014, n. 1089; Cass. 8 aprile 2014, n. 8243).
Ric, 2013 n. 16261 sez. ML ud. 19-11-2014
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risultante dalla legge di conversione n. 98 del 2013, dopo aver disposto,

Nel caso di specie, il decreto di fissazione dell’udienza odierna è
stato emesso in data successiva al 22 agosto 2013, sicché deve
concludersi che l’udienza pubblica ben può essere tenuta senza la
partecipazione del rappresentante della Procura generale presso questa
Corte, non avendo il detto ufficio, al quale pure copia integrale del ruolo

giustificasse la propria partecipazione ai sensi dell’art. 70, terzo comma,
cod. proc. civ..
E’ del tutto evidente che laddove il pubblico ministero non
partecipi, come nel caso di specie, all’udienza pubblica, non vi è alcuno
spazio per le “note di udienza” che, a norma dell’art. 379 cod. proc. civ.,
in sede di discussione davanti alla Corte di cassazione sono consentite
alle parti solo per replicare alle conclusioni assunte dal P.M. in udienza.
Tali note, dunque, vanno considerate irricevibili.
Con l’unico motivo di ricorso si deduce violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 32, comma 5, della 1. n. 183/2010, così come
chiarito ed interpretato dall’art. 1, comma 13, della 1. a 92/2012, in
relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., rilevando che l’indennità de qua
va. integralmente a sostituirsi ad ogni conseguenza economica connessa
e derivante dalla dichiarazione di nullità del termine apposto al contratto
di lavoro e che pertanto la stessa assorbe, ricomprendendola, qualsiasi
differenza retributiva e contributiva connessa al riconoscimento
dell’esistenza del rapporto a tempo indeterminato, ivi compreso ogni
incremento legato all’anzianità e/o alla progressione di carriera, nonché
ogni compenso successivo al termine del rapporto ovvero alla messa in
mora del datore. Si chiede la riforma della sentenza nella parte in cui ha
dichiarato che la somma dei periodi di servizio dall’inizio del primo
contratto deve essere computata ai fini dell’anzianità di servizio e dei
relativi trattamenti economici.
Ric, 2013 n. 16261 sez. ML – ud. 19-11-2014
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di udienza è stata trasmessa, ravvisato un interesse pubblico che

Il motivo è infondato.
L’art. 32 della legge n. 183 del 2010 ha modificato il regime della
tutela del lavoratore assunto con un contratto a termine illegittimo.
Ti precedente assetto era così organizzato: nel caso in cui si
accertasse l’illegittimità del termine, il giudice doveva ordinare la

percepire le retribuzioni anche qualora il datore di lavoro non
consentisse la ripresa del lavoro. Questa prima fondamentale
conseguenza è rimasta immutata. Anche dopo la legge n. 183 del 2010 e
la legge di interpretazione autentica, la sentenza che accerta l’illegittimità
del termine converte il contratto a termine in contratto a tempo
indeterminato e dispone la riammissione del lavoratore in servizio. Da
quel momento il lavoratore avrà diritto a percepire le retribuzioni tanto
se il datore di lavoro adempie, quanto se non adempie (in questo
secondo caso a titolo di risarcimento del danno commisurato al
pregiudizio economico derivante dal rifiuto di assunzione: Cass. 11
aprile 2013, n. 8851; Corte cost. 30 luglio 2014, n. 226).
Con riferimento, invece, al periodo che precede la sentenza, il
quadro è parzialmente cambiato.
Nel regime previgente mancava una norma che regolasse
specificamente questo profilo e la regolamentazione venne delineata in
base ai principi generali del diritto civile e del lavoro. Fondamentale fu la
sentenza delle Sezioni unite 5 marzo 1991, n. 2334, che risolse il
contrasto tra due orientamenti: quello che riteneva che al lavoratore
spettassero tutte le retribuzioni pregresse e quello che invece riteneva
che il lavoratore avesse diritto alle retribuzioni pregresse solo se e a
decorrere dal momento in cui avesse messo a disposizione del datore di
lavoro le sue energie lavorative.

Ric. 2013 n. 16261 sez. ML – ud. 19-11-2014
-6-

riammissione in servizio del lavoratore, con conseguente diritto a

È bene ricordare che la diversità dei due orientamenti concerneva il
diritto alla retribuzione per gli intervalli non lavorati tra un contratto a
termine e l’altro, in caso di sequenza di contratti a termine, mentre
nessuna delle sentenze in conflitto negava che spettasse la retribuzione
per i periodi di lavoro effettuati nella sequenza di contratti a termine.

“non lavorati”, non trovasse soluzione in una norma specifica, come
invece avveniva nella materia affine ma non identica dei licenziamenti
illegittimi con l’art. 18 St. lav., e dovesse quindi essere risolto in base ai
principi generali dell’ordinamento. Affermarono che il principio
regolatore della materia, data la natura sinallagmatica del rapporto di
lavoro, fosse quello della corrispettività tra lavoro e retribuzione e che
non potesse esservi retribuzione in assenza della prestazione lavorativa.
Per questa ragione ritennero non fondato l’orientamento che
riconosceva tutte le retribuzioni pregresse per i periodi non lavorati, ed
invece fondato quello che le riconosceva, ma solo a condizione ed a far
tempo da un eventuale atto di messa a disposizione delle energie
lavorative da parte del lavoratore. Queste conclusioni hanno guidato la
giurisprudenza dei decenni successivi.
Le Sezioni unite si espressero anche sui “periodi lavorati” e
precisarono che l’unificazione del rapporto di lavoro “comporta, a
prescindere dalle eventuali spettanze, nei limiti anzidetti, per gli intervalli
non lavorati, un ricalcolo delle spettanze per i periodi lavorati una volta
considerati inseriti nell’unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato,
con conseguente applicazione degli istituti propri di questo quali, ad
esempio, gli aumenti di anzianità, la misura del periodo di comporto, la
misura del periodo di preavviso, e determina comunque sicuri vantaggi
per il lavoratore …. quali l’acquisizione della corrispondente anzianità,
quanto meno per sommatoria dei periodi lavorati”.
Ric. 2013 n. 16261 sez. ML ud. 19-11-2014
-7-

Le Sezioni unite ritennero che il problema concernente i periodi

Ti quadro regolativo è cambiato con la legge n. 183 del 2010, ma
come si vedrà, il cambiamento riguarda solo i periodi non lavorati.
L’art. 32, quinto comma, così si esprime: “nei casi di conversione del
contratto a tempo indeterminato, il giudice condanna il datore di lavoro
al risarcimento del lavoratore, stabilendo un’indennità onnicomprensiva

mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai
criteri indicati nell’art. 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604”.
L’art. 1, comma 13, della legge n. 92 del 2012, ha sancito che detta
norma “si interpreta nel senso che l’indennità ivi prevista ristora per
intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze
retributive e contributive relative al periodo compreso tra la scadenza
del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice
abbia ordinato la ricostruzione del rapporto di lavoro”.
Dalla norma si desume che l’indennità è volta al “risarcimento” del
lavoratore. Quindi concerne un danno subìto dal lavoratore e cioè il
danno derivante dalla perdita del lavoro dovuta ad un contratto a
termine illegittimo, un danno da mancato lavoro.
La norma di interpretazione autentica afferma che l’indennità
“ristora un pregiudizio” ribadendo, ancor più esplicitamente, che è
correlata ad un danno, un pregiudizio, derivante dalla perdita del lavoro
e che essa onnicomprensiva perché ristora per intero le “conseguenze”
retributive e contributive di quel danno da mancato lavoro. Quindi tutti
i danni sul piano retributivo e contributivo che sono conseguenza, cioè
sono legati da un nesso di causala con la perdita del lavoro.
Se l’indennità serve a risarcire le conseguenze retributive e
contributive del danno da mancato lavoro è evidente che il legislatore
considera solo i periodi di non lavoro ai fini di tale risarcimento. Ed
infatti esclude dal computo il periodo sino alla scadenza del termine, che
Ric. 2013 n. 16261 sez. ML – ud. 19-11-2014
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nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12

è periodo di lavoro, in cui il lavoratore è stato retribuito e quindi non ha
subito, né può subire conseguenze negative sul piano retributivo o
contributivo. In tale periodo la retribuzione è dovuta e detto periodo si
computa ai fini degli effetti riflessi e dell’anzianità di servizio. L’anzianità
di servizio maturata in questo periodo lavorato, vale a tutti gli effetti.

danno derivante dalla perdita del lavoro, perché è uno dei criteri indicati
dall’art. 8 della legge 604 del 1966, richiamati dall’art. 32, quinto comma,
della legge n. 183 del 2010.
Il problema oggetto della presente controversia deriva dal fatto che
il datore di lavoro ha stipulato con il lavoratore non un unico contratto a
termine, ma una serie di contratti a termine. Il legislatore non ha
espressamente considerato questo caso, ma l’interpretazione logicosistematica della norma impone di ritenere che, se è estraneo al
risarcimento il periodo del primo contratto a termine, lo saranno anche i
periodi lavorati in successivi contratti a tempo determinato.
Sarebbe assurdo affermare che per questi periodi la retribuzione non
spetti e sia assorbita nella indennità, ma è parimenti contrario alla logica
della norma ritenere che questi periodi di lavoro è come se non fossero
stati effettuati e non rilevino ai fini dell’anzianità di servizio e delle sue
implicazioni economiche. Questi periodi non possono non avere lo
stesso trattamento giuridico del periodo di lavoro per il primo contratto
a termine in quanto, al pari del primo, sono estranei al danno
determinato dal non lavoro, quindi estranei alla indennità prevista dal
legislatore per risarcire le conseguenze retributive e contributive di quel
pregiudizio. Ti risarcimento riguarderà solo i periodi di “non lavoro”.
Solo per questi periodi vi è un danno da risarcire e un pregiudizio da
ristorare.

Ric. 2013 n. 16261 sez. ML – ud. 19-11-2014
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Rileva persino per la quantificazione della indennità volta a risarcire il

Pertanto l’indennità prevista dall’art. 32, risarcisce il danno subìto
per il mancato lavoro e lo risarcisce in tutte le sue conseguenze
retributive e contributive, in tal senso è onnicomprensiva. Mentre non
riguarda il periodo (in caso di un unico contratto a termine) o i periodi
di lavoro (in caso di più contratti a termine). I diritti relativi a questi

forfetizzato del danno causato dal non lavoro. Per questi periodi non vi
è niente da risarcire ed il risarcimento mediante indennizzo non può, in
una sorta di eterogenesi dei fini, risolversi nella contrazione di diritti
legati da un rapporto di corrispettività con la prestazione lavorativa
effettuata.
Questa ricostruzione è in continuità con quanto affermato nelle
prime sentenze sull’art. 32, come interpretato dalla legge n. 92 del 2012.
In particolare, Cass. n. 15265 del 12 settembre 2012, nell’enudeare il
principio di diritto parla di “indennità forfetizzata ed onnicomprensiva
per i danni causati dalla nullità del termine nel periodo considerato
intermedio”. Forfetizzazione dei danni determinatisi “nel” periodo
intermedio, significa che l’indennizzo non incide sui diritti maturati in
quel periodo nella parte del rapporto che non ha determinato danni:
non tocca le retribuzioni per i periodi lavorati e gli effetti riflessi di tali
retribuzioni, né tocca l’anzianità lavorativa maturata in tale o in tali
periodi.
La medesima pronuncia afferma: “legittimamente la sentenza
impugnata ha considerato nell’anzianità lavorativa e retributiva tutti i
periodi effettivamente lavorati, da sommarsi a quelli successivi alla
formale assunzione a tempo indeterminato, in ragione del principio
ripetutamente affermato da questa Corte (Cass., sez. un., 5 marzo 1991,
n. 2334 e succ.)”. L’affermazione è netta ed è esplicito il richiamo alla
sentenza delle Sezioni unite che, come si è visto, affermò che nel caso di
Ric. 2013 n. 16261 sez. ML – ud. 19-11-2014
-10-

periodi non possono essere intaccati e inglobati nell’indennizzo

trasformazione, in unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, di
più contratti a termine succedutisi fra le stesse parti, per effetto
dell’illegittimità dell’apposizione del termine, gli “intervalli non lavorati”
fra l’uno e l’altro rapporto, in difetto di un obbligo del lavoratore di
continuare ad effettuare la propria prestazione o di tenersi disponibile ad

computabili come periodi di servizio”, mentre i “periodi lavorati” danno
diritto alla retribuzione e sono rilevanti ai fini della maturazione degli
scatti di anzianità. Quest’ultimo profilo dell’assetto dato dalle Sezioni
unite del ’91 alla materia – sottolinea la sentenza del 2012 – va oggi
pienamente riaffermato non essendo stato scalfito minimamente dallo
ius superveniens costituito dalla legge n. 183 del 2010.
Le più recenti Cass. 16 giugno 2014, n. 13630 e Cass. 17 giugno
2014, n. 13732 hanno fissato il seguente principio di diritto: “L’art. 32,
quinto comma, leze n. 183 del 2010 commisura l’indennità, dovuta nei
casi di conversione, all’ultima retribuzione globale di fatto, così
riferendosi al danno subito dal lavoratore, ossia alla perdita della
retribuzione (ed accessori) per essere stato allontanato dal proprio posto
di lavoro nel periodo compreso tra l’allontanamento e la sentenza di
merito. L’espressione ‘onnicomprensiva’, adoperata dal legislatore con
riferimento all’indennità, si riferisce soltanto al danno ora detto, e non a
quanto spetta al lavoratore per eventuale ricostruzione della carriera, una
volta unificati i diversi rapporti a tempo determinato in un unico
rapporto a tempo indeterminato”.
In questo principio di diritto è detto chiaramente che l’indennizzo
onnicomprensivo copre soltanto il danno derivante dall’allontanamento
dal lavoro e quindi il danno subìto per il “non lavoro” nel periodo o nei
periodi “non lavorati”. Il che ancora una volta conferma che i diritti per
i periodi in cui si è prestato lavoro non vanno ricompresi nell’indennità
Ric. 2013 n. 16261 sez. ML – ud. 19-11-2014
-11-

effettuarla, non implicano il diritto alla retribuzione … e nemmeno sono

,

risarcitoria perché non sono stati danneggiati, sono fuori dal perimetro
del danno e quindi del risarcimento.
Quanto alle conseguenze giuridiche di tale assetto sull’anzianità, la
Corte in queste ultime sentenze aggiunge, e non potrebbe essere più
chiara, che: “L’espressione ‘onnicomprensiva’, adoperata dal legislatore

non a quanto spetta al lavoratore per eventuale ricostruzione della
carriera, una volta unificati i diversi rapporti a tempo determinato in un
unico rapporto a tempo determinato”.
In conclusione, nonostante i problemi lessicali derivanti dal fatto che
probabilmente il legislatore ha configurato l’indennità avendo presente il
caso, statisticamente più frequente, della stipulazione di un unico
contratto a termine, deve affermarsi che l’indennità prevista dall’art. 32
legge n. 183 del 2010 ristora in generale il danno subito dal lavoratore
per l’allontanamento dal lavoro, tanto se questo sia stato unico, quanto
se sia stato ripetuto. Per tali periodi di non lavoro, mentre prima il
lavoratore aveva diritto ad essere comunque retribuito a decorrere dalla
messa a disposizione delle energie lavorative pur non avendo lavorato,
oggi è prevista solo l’indennità da un minimo di 2,5 ad un massimo di 12
mensilità.
Al contrario, per il periodo di lavoro (o i periodi di lavoro, in caso di
sequenza di contratti) il lavoratore ha diritto ad essere retribuito ed ha
diritto a che tale periodo o tali periodi siano computati ai fini della
anzianità di servizio e, quindi, della maturazione degli scatti di anzianità.
Questa interpretazione del quinto comma dell’art. 32 1. n. 183 del
2010 è la più coerente sul piano logico sistematico. Si coordina con i
tratti del sistema delineato dalle Sezioni unite che, come si è visto e
come hanno sottolineato le decisioni del 2012, sotto questo profilo
rimangono fermi, ed è in continuità con i primi interventi di questa
Pie. 2013 n. 16261 sez. ML – ud. 19-11-2014
-12-

con riferimento all’indennità, si riferisce soltanto al danno ora detto, e

Corte successivi alla modifica legislativa. È coerente con i principi
espressi dall’art. 5 dellA legge n. 230 del 1962 e dall’art. 6 del decreto
legislativo n. 368 del 2001, nonché con i principi costituzionali e del
diritto dell’Unione europea: in particolare con il principio di non
discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo

affermato con la Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno
1999 relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a
tempo determinato.
Da tanto consegue che il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza,
sono poste a carico delle ricorrenti, in solido, e vengono liquidate come
da dispositivo con attribuzione agli avvii Luigi Pau e Alessandro Meloni
per dichiarato anticipo fattone.
Il ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di
entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (art. 1, comma 17 della
legge 24 dicembre 2012, n. 228 del 2012), che ha integrato l’art. 13 del
d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, aggiungendovi il comma 1 quater del
seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta
integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che
l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione,
principale o incidentale, a norma art 1 bis. Il giudice dà atto nel
provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo
precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito
dello stesso”.
Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente
impug-natoria) integralmente da respingersi, deve provvedersi in
conformità.
Ric. 2013 n. 16261 sez. ML – ud. 19-11-2014
-13-

indeterminato, anche e specificamente in ordine all’anzianità di servizio,

P. Q .M.

La Corte rigetta il ricorso, condanna le ricorrenti in solido alle spese
del presente giudizio liquidate in euro 100,00 per esborsi ed in curo
3.000,00 per compensi professionali , oltre rimborso spese forfetario

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R n. 115 del 2002 dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento da parte delle ricorrenti
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, 1119 novembre 2014.

nella misura del 15% con distrazione.

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