Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19437 del 18/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 18/07/2019, (ud. 21/03/2019, dep. 18/07/2019), n.19437

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 30280/2017 R.G. proposto da:

D.A., D.F.S. e D.G., gli ultimi

due quali genitori esercenti la potestà genitoriale sulla figlia

minore D.R., rappresentati e difesi dall’Avv. Di Perna

Angelo;

– ricorrenti –

contro

I.C.O. S.r.l., rappresentata e difesa dall’Avv. Di Campli Donato;

– controricorrente –

e nei confronti di

D.F.S., in proprio;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Salerno, n. 341/2017,

depositata il 12 aprile 2017;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 marzo 2019

dal Consigliere Iannello Emilio.

Fatto

RILEVATO

Che:

1. La Corte d’appello di Salerno ha dichiarato inammissibile, poichè tardivo, l’appello proposto da D.F.S. e D.G., quali esercenti la potestà genitoriale sui figli minori D.A. e D.R., avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Salerno, sezione di Eboli, nella contumacia dei convenuti, aveva accolto la domanda proposta dalla I.C.O. S.r.l. volta ad ottenere la dichiarazione di inefficacia dell’atto con il quale D.F.S. aveva venduto ai predetti figli (rappresentati nell’atto, previa autorizzazione del tribunale, dal padre) la nuda proprietà di immobile sito in Capaccio, via Licinella, n. 113, con riserva del diritto di abitazione.

Ha al riguardo ritenuto priva di rilievo la doglianza con la quale gli appellanti avevano preliminarmente dedotto la nullità della notifica degli atti introduttivi del giudizio di primo grado nei confronti di D.G. (destinatario della notifica medesima, nella predetta qualità), per la sussistenza di una divergenza tra la residenza anagrafica e quella effettiva. Ha infatti osservato che “gli atti di primo grado sono stati notificati a mani della moglie convivente in via Licinella, n. 113 di Capaccio e la notifica della sentenza di primo grado in forma esecutiva è stata pure notificata al D’Angelo a mani proprie” nello stesso indirizzo.

2. Avverso tale sentenza D.A., D.F.S. e D.G., gli ultimi due quali esercenti la potestà genitoriale sulla figlia minore D.R., propongono ricorso per cassazione, con due mezzi, cui resiste I.C.O. S.r.l., depositando controricorso.

3. Essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.

La controricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 2.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, “nullità della sentenza in relazione agli artt. 132 e 156 c.p.c.” in ragione della mancata menzione in sentenza della partecipazione al giudizio di D.F.S. in proprio, come tale destinataria dell’atto d’appello (proposto dai genitori di D.A. e D.R. in quanto esercenti la potestà su di essi), ma rimasta contumace nel corso del giudizio.

Sostengono che, in ragione di tale omissione, la sentenza non può esplicare effetto nei confronti della predetta, cui neppure la società appellata ha notificato la sentenza d’appello.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, “omesso esame di un fatto decisivo della controversia in relazione all’art. 345 c.p.c. e art.2901 c.c.”.

Lamentano che immotivatamente la Corte d’appello non ha ammesso la prova testimoniale dedotta al fine di dimostrare l’esistenza dei presupposti (nullità della notifica della citazione introduttiva del giudizio di primo grado e conseguente mancata conoscenza del processo) che consentivano l’impugnazione tardiva.

3. E’ infondato il primo motivo.

Secondo giurisprudenza costante di questa Corte, l’omessa o inesatta indicazione del nome di una delle parti nell’intestazione della sentenza va considerata un mero errore materiale, emendabile con la procedura di cui all’art. 287e art. 288 c.p.c., quando dal contesto della sentenza risulti con sufficiente chiarezza l’esatta identità di tutte le parti e comporta, viceversa, la nullità della sentenza qualora da essa si deduca che non si è regolarmente costituito il contraddittorio, ai sensi dell’art. 101 c.p.c., e quando sussiste una situazione di incertezza, non eliminabile a mezzo della lettura dell’intero provvedimento, in ordine ai soggetti cui la decisione si riferisce (Cass. 25/09/2017, n. 22275; v. anche Cass. 28/09/2012, n. 16535; 26/03/2010, n. 7343; 24/05/2003, n. 8242).

Nella specie una tale situazione di incertezza è certamente da escludere posto che la stessa persona fisica della quale si lamenta l’omessa indicazione in sentenza è in realtà ivi indicata, nelle sue esatte generalità, quale appellante, restando del tutto irrilevante ai fini in discorso che a quest’ultima indicazione si unisca quella della qualità spesa, nel proporre appello, di genitrice esercente la potestà sui figli minori, potendo tale specificazione aver rilievo soltanto ai fini della individuazione del contenuto e delle ragioni della domanda (nella specie, dei motivi d’appello) ma non anche nel senso di escludere la piena conoscenza del giudizio d’appello da parte di quella stessa persona che, sia pure per fini e a tutela di interessi non propri, tale giudizio ha promosso.

E’ questa evidentemente una valutazione che, oltre a rispondere all’esigenza di una lettura non formalistica degli oneri processuali, quali adempimenti non fine a sè stessi ma strumentali all’adozione di una decisione secondo i canoni del giusto processo, si pone in linea di continuità rispetto al risalente orientamento della giurisprudenza di questa Corte secondo il quale nel giudizio di appello, qualora una medesima persona fisica cumuli in sè la qualità di parte in proprio e quale erede di altro soggetto, non è necessario provvedere all’integrazione del contraddittorio nei suoi confronti, quale erede, ove la stessa sia già costituita in proprio, ravvisandosi nella specie l’unicità della parte in senso sostanziale (Cass. 23/05/2008, n. 13411; 07/05/2012, n. 6844).

4. Il secondo motivo è inammissibile per diverse ragioni.

4.1. Lo è anzitutto%ifetto di specificità.

Esso invero non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata là dove in particolare si evidenzia, a supporto del convincimento della inammissibilità dell’impugnazione tardiva, che la sentenza di primo grado era stata notificata in forma esecutiva al D. a mani proprie (peraltro nello stesso indirizzo che i ricorrenti invece assumono non più costituire residenza effettiva del predetto).

Occorre invero rammentare che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, pur se una sentenza è notificata in forma esecutiva (art. 479 c.p.c.), necessariamente alla parte personalmente perchè contumace, decorre da tale momento il termine breve (art. 325 c.p.c.) per farne valere la nullità conseguente al vizio di notifica della citazione, restando irrilevante (art. 327 c.p.c., comma 2) il decorso di un anno dalla sua pubblicazione (v. e pluribus Cass. Sez. U. 22/06/2007 n. 14570; Id. 09/07/1992, n. 8394; Cass. 06/04/2018, n. 8593; 05/11/2013, n. 24763; 16/01/2007, n. 833; 17/12/1997, n. 12754).

A fronte dunque dell’affermata, in sentenza, notifica “a mani proprie” al D. della sentenza di primo grado, la censura dei ricorrenti, attingendo la sola mancata ammissione di prova diretta a dimostrare la nullità della notifica degli atti introduttivi dei giudizi (riuniti) di primo grado – a tacere della debolezza che ne deriva dell’unico argomento speso rappresentato dalla inattualità della residenza in via via Licinella, n. 113 – si rivela comunque monca e inconferente, essendo in tale contesto onere della parte che intenda impugnare la sentenza conclusiva del giudizio nel quale esse assuma di essere rimasta involontariamente contumace, allegare e dimostrare non solo la mancata conoscenza del processo a causa della nullità della notifica dell’atto introduttivo, ma anche, ovviamente: a) che rispetto alla data di notifica della sentenza conclusiva del processo di primo grado non era ancora decorso il termine breve per impugnare ovvero, in alternativa, b) che anche detta notifica della sentenza era nulla o inesistente.

Nulla al riguardo nel caso di specie viene invece dedotto in ricorso. 4.2. Anche con riferimento alle censure che investono solo la prima delle due rationes decidendi (validità della notifica degli atti introduttivi del giudizio di primo grado) possono comunque rilevarsi più profili di inammissibilità.

E’ palese invero, anzitutto, la violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 avendo i ricorrenti omesso di riprodurre il contenuto della notificazione della citazione di primo grado, nonchè di indicare se e dove essa sarebbe esaminabile, ove prodotta, in questo giudizio di legittimità.

Inoltre, le prove articolate nell’atto di appello e riprodotte a pagina 5 nell’esposizione del fatto risultano pure del tutto inidonee a dimostrare i presupposti della asserita nullità della notificazione, atteso che i capitoli di prova testimoniale risultano articolati al presente.

5. Il ricorso deve essere pertanto rigettato, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Ricorrono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 21 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2019

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