Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19436 del 20/07/2018


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Civile Ord. Sez. L Num. 19436 Anno 2018
Presidente: MANNA ANTONIO
Relatore: AMENDOLA FABRIZIO

ORDINANZA

sul ricorso 24820-2016 proposto da:
FAGGELLA CARMINE POMPEO, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA POMPEO MAGNO 23/A, presso lo studio
dell’avvocato SIMONE PIETRO EMILIANI, che lo
rappresenta e difende, giusta delega in atti;

ricorrente

contro
BANCA POPOLARE DI BARI SOC. COOP. PER AZIONI, in
2018
868

persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B,
presso lo studio degli avvocati FRANCESCO GIAMMARIA,
TIZIANA SERRANI, che la rappresentano e difendono,
giusta delega in atti;

Data pubblicazione: 20/07/2018

- controricorrente

avverso la sentenza n. 1167/2015 della CORTE
D’APPELLO di SALERNO, depositata il 21/10/2015 R.G.N.

348/2015.

R.G. n. 24820/2016

RILEVATO

che la Corte d’appello di Potenza, con sentenza depositata il 24.1.12, rigettò il
%

gravame interposto da Banca Popolare di Bari S.p.A. contro la sentenza n.
439/2011 con cui il Tribunale di Melfi aveva dichiarato illegittimo, in quanto

perché, in violazione dell’art. 35 CCNL settore del credito, non aveva comunicato
che a suo carico era stata promossa l’azione penale per un fatto costituente reato
punito con pena detentiva;

che con sentenza n. 778 del 2015 questa Corte ritenne la motivazione di detta
pronuncia “carente nella parte in cui non ha spiegato la ritenuta inidoneità, al
fine di giustificare il licenziamento, della condotta colposa del dipendente
nell’aver taciuto la circostanza del successivo rinvio a giudizio” nonché avuto
“riguardo all’altra porzione dell’addebito disciplinare elevato a carico del Faggella,
ossia l’avere, nel corso d’un incontro del 2005 con esponenti della società, reso
dichiarazioni mendaci ed omesso di consegnare alla banca ulteriori documenti in
suo possesso (cioè il decreto di perquisizione emesso a suo carico dall’A.G.)”;
indi cassò detta sentenza stabilendo che “il giudice del rinvio dovrà accertare se
e in che termini sussista l’altra porzione dell’addebito disciplinare elevato a carico
del Faggella, ossia l’avere, nel corso d’un incontro del 2005 con esponenti della
società, reso dichiarazioni mendaci e omesso di consegnare alla banca ulteriori
documenti in suo possesso (cioè il decreto di perquisizione emesso a suo carico
dall’A.G.) e, all’esito, valutare se il compendio della o delle infrazioni commesse
sia tale – alla luce dell’elemento soggettivo ravvisato e di ogni altra circostanza
rilevante – da giustificare il licenziamento ai sensi delle previsioni del cit. CCNL e
del principio di proporzionalità sancito dall’art. 2106 c.c.”;

che la Corte di Appello di Salerno, con sentenza del 21 ottobre 2015, in sede di
rinvio, ha riformato la pronuncia di primo grado ed ha rigettato il ricorso
introduttivo del Faggella, compensando le spese del giudizio;

che la Corte territoriale – per quanto ancora interessa – ha ritenuto che la
condotta contestata al dipendente, così come accertata, “valutata nel complesso

1

sproporzionato, il licenziamento disciplinare intimato a Faggella Carmine Pompeo

%

R.G. n. 24820/2016

delle risultanze processuali, sia sicuramente tale da ledere irrimediabilmente il
vincolo fiduciario e da giustificare come proporzionata misura il recesso”;

che per la cassazione di tale sentenza propone ricorso Carmine Pompeo
Faggella con 2 motivi, cui resiste la Banca Popolare di Bari Soc. coop.p.A., con
controricorso;

CONSIDERATO

che il primo motivo del ricorso denuncia “violazione degli artt. 4, I comma, lett.
e), 11, 27, del d. Igs. n. 196/2003; artt. 1418 e 1421 c.c.” in quanto la sentenza
impugnata non avrebbe “rilevato d’ufficio, sia pure

incidenter,

al fine di

dichiarare l’illegittimità del licenziamento, la nullità della clausola del contratto
collettivo invocata dal datore di lavoro quale giustificazione del recesso”,

che la censura è inammissibile per il suo carattere di novità (cfr. Cass. SS. UU.
n. 2399 del 2014; Cass. n. 2730 del 2012; Cass. n. 20518 del 2008; Cass. n.
25546 del 2006; Cass. n. 3664 del 2006; Cass. n. 6542 del 2004) e per essere
preclusa dalla struttura chiusa del giudizio di rinvio (da ultimo v. Cass. n. 11535
del 2017), avendo questa Corte già implicitamente superato la questione della
validità della clausola demandando alla Corte di Appello esattamente il compito di
valutare se il compendio della o delle infrazioni commesse dal Faggella fosse tale
da giustificare il licenziamento proprio ai sensi delle previsioni delle disposizioni
del CCNL, oltre che dell’art. 2106 c.c.; come noto nel giudizio di rinvio non
possono essere rilevate d’ufficio questioni di diritto che tendano a porre nel nulla
o a limitare gli effetti intangibili della sentenza di cassazione e l’operatività del
principio di diritto in essa enunciato (cfr. Cass. n. 327 del 2010; Cass. n. 13957
del 1991);

che il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2106
c.c., anche in relazione all’art. 2 Cost., oltre che dell’art. 35 CCNL credito del 12
febbraio 2005, sostenendo che “la valutazione da parte del giudice del merito
della gravità della condotta non può prescindere dalla considerazione della
effettiva lesione dell’interesse protetto, da intendersi quest’ultimo come

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che entrambe le parti hanno depositato memorie;

R.G. n. 24820/2016

l’interesse del datore di lavoro tutelato dalla disposizione la cui violazione sia
stata contestata al lavoratore sul piano disciplinare”;

che il motivo non può essere accolto in quanto, nonostante l’invocazione solo
formale dell’error in iudicando a mente dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., nella
sostanza critica l’apprezzamento operato dalla Corte territoriale in ordine

Corte insegna che il giudizio di proporzionalità tra licenziamento disciplinare e
addebito contestato è devoluto al giudice di merito (ex pluribus: Cass. n. 8293
del 2012; Cass. n. 7948 del 2011; Cass. n. 24349 del 2006; Cass. n. 3944 del
2005; Cass. n. 444 del 2003), per cui esso non può essere sindacato in sede di
legittimità oltrepassando i limiti, come nella specie, imposti dal novellato art.
360, co. 1, n. 5, c.p.c., come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn.
8053 e 8054 del 2014, applicabile anche alla sentenza emessa in sede di rinvio
(cfr. Cass. n. 26654 del 2014; Cass. n. 10693 del 2016);

che dunque il ricorso va respinto, con spese a carico del soccombente liquidate
come da dispositivo;

che occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1
quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, I. n. 228 del
2012.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese
liquidate in euro 5.000,00, oltre euro 200 per esborsi, spese generali al 15% ed
accessori secondo legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il
ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

all’idoneità dei fatti addebitati a sorreggere la giusta causa di recesso e questa

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