Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19434 del 08/07/2021

Cassazione civile sez. II, 08/07/2021, (ud. 25/02/2021, dep. 08/07/2021), n.19434

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al NRG 13947/2016 proposto da:

G.P., rappresentata e difesa dall’Avvocato Luigia Carla

Germani;

– ricorrente –

contro

DEUTSCHE BANK s.p.a., rappresentata e difesa dagli Avvocati Gian

Carlo Sessa e Iolanda Boccia, con domicilio eletto nel loro studio

in Roma, via delle Quattro Fontane, n. 161;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Venezia n.

2966/2015 pubblicata il 22 dicembre 2015;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25 febbraio 2021 dal Consigliere Alberto Giusti.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con atto di citazione notificato il 30 novembre 2004, G.P., premesso che con decreto n. 2986/2004 il Tribunale di Padova le aveva ingiunto il pagamento della somma di Euro 7.121,37 richiesta da Deutsche Bank s.p.a. in restituzione di quanto erogato come prestito al consumo (Prestitempo), conveniva in giudizio Deutsche Bank proponendo opposizione al decreto ingiuntivo, chiedendo che il decreto venisse dichiarato nullo e di nessun effetto per difetto di legittimazione passiva e per la nullità del contratto.

Deduceva che il contratto era da considerarsi nullo perché il finanziamento era stato ottenuto per ragioni (finanziamento di contratto di franchising Tucker) diverse da quelle apparentemente indicate nel modulo di finanziamento (acquisto di economizzatori per caldaie Tucker) e che inoltre il contratto non indicava esattamente il bene da acquistare, né i dati esatti degli oneri finanziari.

In ragione del diverso utilizzo della somma, eccepiva l’illegittimità dei tassi di interesse applicati, dovendosi fare ricorso ai tassi soglia previsti per i contratti di credito all’impresa. Il collegamento del finanziamento al contratto di franchising determinava l’applicazione di tassi d’interesse di cui al prestito d’impresa anziché di quelli applicabili al prestito al consumo.

Si costituiva l’opposta, resistendo.

2. – Con sentenza n. 2347/2007 del 22 maggio 2007, il Tribunale di Padova, dopo avere respinto l’eccezione preliminare di rito, rilevava che con il contratto in questione le parti avevano perfezionato un mutuo di scopo, che nel caso l’opponente aveva dimostrato che solo apparentemente il credito era stato concesso per l’acquisto di una caldaia, perché, in realtà, la somma era servita per acquistare l’affiliazione alla ditta Tucker s.p.a. in franchising, e che non poteva essere applicata la normativa sul credito al consumo, perché nel caso l’opponente aveva agito quale imprenditore. Applicati al pagamento i soli interessi legali, il Tribunale revocava il decreto ingiuntivo opposto e condannava G.P. al pagamento della minor somma di Euro 4.978,83 e la banca al pagamento delle spese legali.

3. – Con sentenza n. 2966/2015, resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 22 dicembre 2015, la Corte d’appello di Venezia ha accolto l’appello della banca e, in riforma della pronuncia di primo grado, ha confermato il decreto ingiuntivo opposto, dichiarandolo definitivamente esecutivo, condannando l’opponente alle spese del doppio grado.

3.1. – La Corte territoriale ha rilevato che la G. aveva stipulato il 19 dicembre 2001 il contratto di finanziamento con la Deutsche Bank, denominato Prestitempo, con il quale aveva ottenuto la somma di lire 14.990.000, da restituire in 48 rate al tasso TAEG del 17,23%, e che tale somma era stata erogata alla s.p.a. Tucker per l’acquisto di economizzatori per caldaie.

Esaminando la deduzione dell’appellata, secondo cui si tratterebbe di un contratto nullo, perché difetterebbe il collegamento negoziale tra il finanziamento e l’acquisto del bene (che non sarebbe stato l’economizzatore per caldaie indicato, ma il diritto di franchising concesso dalla Tucker), con conseguente violazione delle condizioni giuridiche che governano il mutuo di scopo, la Corte di Venezia ha ritenuto detta eccezione non provata.

La Corte di Venezia ha quindi osservato che nel caso di specie risulta solamente che veniva concesso un finanziamento per l’acquisto del bene con l’indicazione dello stesso (come voluto dall’art. 124 del testo unico bancario), che il finanziamento veniva incamerato dal venditore (e non che, per le modalità complessive dell’operazione, il finanziamento veniva concesso al solo fine contrattualmente voluto di acquistare l’economizzatore per caldaie).

Secondo la Corte d’appello, mancano indici sintomatici del collegamento negoziale (ad esempio, l’esclusività del rapporto tra la banca ed il venditore da cui dedurre la realizzazione teleologica dell’operazione), che indichino che nel caso il finanziamento veniva disposto (in forma d’obbligo per Deutsche Bank) all’unico scopo vincolante di acquistare quanto indicato nel contratto. Finanziato e venditore sono stati liberi di destinare a ciò che volevano le somme, senza possibilità di alcuna ingerenza da parte della banca, completamente estranea ai rapporti negoziali fra la G. e la società Tucker.

La Corte del gravame ha escluso che abbia rilievo l’eccezione dell’appellata secondo cui il contratto, essendo stato compilato successivamente, dovrebbe considerarsi nullo per difetto degli elementi essenziali al momento della sottoscrizione: per tale profilo, infatti, è stata promossa successivamente querela di falso.

La Corte d’appello ha infine giudicato non fondata la censura riguardante i tassi di interesse, osservando che, secondo le tabelle ufficiali comunemente rinvenibili, il tasso soglia per i crediti finalizzati all’acquisto rateale all’epoca in esame risultava essere 17,73% in caso di erogazione di una somma superiore ad Euro 10.000.

4. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello G.P. ha proposto ricorso, con atto notificato il 31 maggio 2016, sulla base di tre motivi.

Deutsche Bank ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 121 TUB, e art. 1418 c.c.) la ricorrente censura che la Corte d’appello abbia fatto erronea applicazione al caso in esame dei principi in tema di mutuo di scopo. Ad avviso della ricorrente, la Corte di Venezia avrebbe dovuto affermare, da un lato, l’esistenza, in ipotesi, di un necessario collegamento negoziale, attesa la natura di credito al consumo del contratto “Prestitempo”; dall’altro, però, la stessa Corte avrebbe dovuto dichiarare la nullità del contratto, atteso che il collegamento negoziale determinato dall’art. 121 TUB non avrebbe potuto essere derogato dalle parti mediante un collegamento di negozi giuridici diversi da quelli stabiliti dalla legge (finanziamento/attività d’impresa – franchising anziché finanziamento/vendita di beni o servizi destinati al consumo). Nel credito al consumo – osserva la ricorrente – la destinazione del finanziamento ad un bene o servizio destinato al consumo, così come stabilito ex lege, non è mero motivo estraneo al sinallagma contrattuale, bensì elemento essenziale che funzionalizza tale tipologia di contratto di finanziamento; laddove un collegamento negoziale diverso da quello stabilito dal legislatore determinerebbe una nullità del contratto di finanziamento, derogando illegittimamente a una norma in materia creditizia di natura imperativa. Tale operazione determinerebbe un’illegittima applicazione di tassi d’interesse superiori a quelli legali.

La ricorrente censura che la Corte d’appello, dopo avere escluso che il finanziamento sia stato concesso al solo fine contrattualmente voluto di acquistare l’economizzatore per caldaie, abbia affermato che la descrizione del bene non determina la trasformazione del contratto in mutuo di scopo; e si duole altresì del fatto che la Corte di Venezia abbia ritenuto l’impiego diverso delle somme come indice del difetto di collegamento negoziale, essendo stati finanziato e venditore liberi di destinare a ciò che volevano le somme.

Ad avviso della ricorrente, l’accordo che attribuisce al finanziatore l’esclusiva per la concessione del credito ai clienti del fornitore non sarebbe elemento determinante del collegamento negoziale, ossia tale da condizionare l’esistenza o meno del collegamento negoziale stesso, incidendo soltanto sulla legittimazione del mutuatario a fare valere il diritto di risoluzione per inadempimento del contratto di finanziamento direttamente nei confronti della banca mutuante.

1.1. – Il motivo è fondato, nei termini di seguito precisati.

Ritiene il Collegio di dover assicurare continuità ai precedenti di questa Corte (Cass., Sez. III, 30 settembre 2015, n. 19522; Cass., Sez. II, 19 dicembre 2018, n. 32915), secondo cui, ai sensi degli artt. 121 e 124 del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, approvato con il D.Lgs. n. 385 del 1993, (nel testo originario, anche nella presente fattispecie applicabile ratione temporis), tra i contratti di credito al consumo finalizzati all’acquisto di determinati beni o servizi ed i contratti di acquisto dei medesimi ricorre un collegamento negoziale di fonte legale, che prescinde dalla sussistenza di una esclusiva del finanziatore per la concessione di credito ai clienti del fornitore.

Invero, nella fattispecie risulta pacifica l’avvenuta conclusione di un contratto di finanziamento riconducibile alla previsione normativa in materia di credito al consumo, ancorché la difesa della controricorrente ribadisca di non essere legata da alcun rapporto di esclusiva con la società che, in base al contratto, avrebbe dovuto fornire l’beni in vista del cui acquisto era concesso il mutuo. La sentenza impugnata dà infatti atto che nella specie il finanziamento era stato concesso per l’acquisto di economizzatori per caldaie con l’indicazione dei beni nel contratto (“come voluto dall’art. 124 TUB”).

Per il passato, e cioè prima dell’introduzione delle norme di cui all’art. 121 e ss., del testo unico bancario, era evidente che il riscontro dell’esistenza di un collegamento negoziale tra il contratto di mutuo ed il successivo contratto volto a procurare l’acquisto per il quale era stata richiesta la somma mutuata, presupponeva che il collegamento scaturisse dalla genesi stessa del rapporto, dalla circostanza cioè che uno dei due negozi trovasse la propria causa (e non il semplice motivo) nell’altro, nonché dall’intento specifico e particolare delle parti di coordinare i due negozi, instaurando tra di essi una connessione teleologica: sicché, soltanto se la volontà di collegamento si fosse obiettivata nel contenuto dei diversi negozi si sarebbe potuto ritenere che entrambi o uno di essi, secondo la reale intenzione dei contraenti, erano destinati a subire le ripercussioni delle vicende dell’altro.

La necessità di trattare il collegamento negoziale come quaestio facti insindacabile in sede di legittimità, se immune da vizi logici e da violazione delle norme ermeneutiche di cui all’art. 1362 c.c. e ss., risulta però superata a seguito dell’introduzione della disciplina del testo unico bancario, la quale fornisce la seguente nozione di credito al consumo: “Per credito al consumo si intende la concessione, nell’esercizio di un’attività commerciale o professionale, di credito sotto forma di dilazione di pagamento, di finanziamento o di altra analoga facilitazione finanziaria a favore di una persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta (consumatore)”, prevedendo anche le categorie di soggetti cui è riservato il relativo esercizio. La disciplina del contratto si rinviene nell’art. 124, dello stesso testo unico che, dopo aver richiesto a pena di nullità la forma scritta, mediante rinvio all’art. 117, comma 1 e 3, ed aver previsto i requisiti del contratto in genere, differenzia, tra le possibili fattispecie contrattuali, quella prevista dal comma 3, disponendo che “… i contratti di credito al consumo che abbiano a oggetto l’acquisto di determinati beni o servizi contengono a pena di nullità: a) la descrizione analitica dei beni e dei servizi; b) il prezzo di acquisto in contanti, il prezzo stabilito nel contratto e l’ammontare dell’eventuale acconto; c) le condizioni per il trasferimento del diritto di proprietà, nei casi in cui il passaggio della proprietà non sia immediato”.

Deve ritenersi che il dato normativo sopra riportato sia inequivocabilmente nel senso di riconoscere l’esistenza di un collegamento tra il contratto di credito al consumo ed il contratto di acquisto.

Va quindi ribadito che per i contratti di cui all’art. 121, del testo unico bancario è la stessa legge a configurare un collegamento negoziale a carattere funzionale per il quale contratto di credito e contratto di acquisto vengono ad essere unitariamente considerati sotto il profilo giuridico (e non solo economico), onde tutelare la parte comune ai due contratti, cioè il consumatore, finanziato ed acquirente. Si tratta di un collegamento negoziale in senso proprio, dal momento che il nesso tra i negozi non è affatto occasionale, bensì dipendente dalla genesi stessa del rapporto, dalla circostanza cioè che uno dei due negozi trova la propria causa nell’altro, sicché è la legge stessa che coordina i negozi, facendo assurgere la connessione teleologica ad elemento della fattispecie.

Ne consegue che si palesa erronea l’affermazione dei giudici di merito secondo cui per ravvisare il collegamento negoziale di tipo funzionale sarebbe stato necessario riscontrare la volontà di tutti i contraenti di collegare il contratto di credito al consumo al contratto di compravendita, dovendosi reputare che invece ciò sia una conseguenza legale della previsione di cui al citato art. 121.

L’unitarietà della causa economica sottesa alla pluralità dei contratti impone di ritenere che si abbia un collegamento negoziale ex lege a prescindere dall’esistenza dell’accordo che attribuisca al finanziatore l’esclusiva per la concessione di credito ai clienti del fornitore, contemplato nel successivo art. 125. Il richiamo alla situazione di esclusiva e’, infatti, una delle due condizioni poste per consentire l’azione diretta del consumatore nei confronti del finanziatore, ma non è certo condizione necessaria per riconoscere l’esistenza di un contratto di credito al consumo, la cui nozione generale è delineata dall’art. 121, essendo invece sufficiente che l’operazione di finanziamento risulti finalizzata all’acquisto di un bene (o servizio) determinato, scelto dal consumatore prima di accedere al finanziamento, e perciò individuato già nel contratto di finanziamento e pagato direttamente dal finanziatore al fornitore.

Le possibilità di tutela offerte al consumatore non si esauriscono in quella prevista dall’art. 125 TUB, comma 4, che gli consente l’azione diretta nei confronti del finanziatore, in caso di inadempimento del fornitore di beni e servizi, soltanto in presenza di costituzione in mora e di patto di esclusiva. Infatti, deve reputarsi consentita anche la sospensione del pagamento delle rate con l’exceptio inadimpleti contractus, ovvero la deduzione dell’assenza della causa in concreto del contratto, per l’assenza stessa del contratto collegato di fornitura di beni o di servizi (Cass., Sez. II, 19 dicembre 2018, n. 32915, cit.).

Tali considerazioni danno altresì contezza dell’impossibilità di opporre all’azione proposta dalla ricorrente la previsione di cui all’art. 15 del contratto di finanziamento, nella parte in cui, pur essendo carente il requisito dell’accordo di esclusiva tra banca e fornitore dei beni per le operazioni di finanziamento volte all’acquisto di questi ultimi, impone di doversi rivolgere unicamente nei confronti della Tucker, anche laddove la pretesa del cliente esuli da quelle di cui all’art. 125, comma 4, come nel caso di specie, nel quale la G. mirava anche a respingere la richiesta di pagamento delle rate di mutuo non soddisfatte.

La clausola de qua, ove estesa anche ad ipotesi di azioni del consumatore che esulano da quelle per le quali la legge pone la condizione del rapporto di esclusiva (e che si pongono come strumenti di tutela aggiuntiva rispetto alle azioni ordinariamente concesse dal diritto positivo), deve reputarsi vessatoria perché comportante una limitazione della facoltà del mutuatario di opporre eccezioni.

Pertanto, è errata la sentenza impugnata che ha escluso l’esistenza di questo collegamento negoziale sulla base di un procedimento ermeneutico non conforme alle previsioni dei menzionati D.Lgs. n. 385 del 1993, artt. 121 e 124.

1.2. – Deve pertanto ribadirsi il principio per il quale in materia di contratto di credito al consumo, nella vigenza della disciplina del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 121 e ss., la norma dell’art. 124, comma 3, va interpretata come previsione di un collegamento negoziale di fonte legale tra i contratti di credito al consumo che abbiano a oggetto l’acquisto di determinati beni o servizi, contenenti i requisiti ivi indicati, ed i contratti di acquisto degli stessi beni o servizi, a prescindere dalla sussistenza di un accordo che attribuisca al finanziatore l’esclusiva per la concessione di credito ai clienti del fornitore.

In base al suesposto principio, il giudice del merito, muovendo dalla sussistenza di un collegamento negoziale di fonte legale tra il contratto di compravendita ed il contratto di finanziamento, avrebbe dovuto procedere all’esame delle clausole di quest’ultimo contratto, e trarre le conseguenze, in concreto, dell’incidenza sul contratto di finanziamento della dedotta assenza di un collegato contratto di compravendita, ovvero dell’impiego della somma mutuata per una finalità, diversa da quella indicata in contratto e corrispondente ad una delle tipologie di impiego tassativamente previste dal legislatore.

2. – Con il secondo mezzo (violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) la ricorrente deduce che l’erronea esclusione del collegamento negoziale finanziamento/franchising, con conseguente mancata declaratoria di nullità del contratto di finanziamento, si riverberebbe sull’erronea affermazione della Corte d’appello circa la legittimità dei tassi di interesse applicati. Nel caso di specie – si deduce – il finanziamento litigioso era finalizzato, non già all’acquisto di beni di consumo, bensì a finanziare l’attività di impresa, e i tassi d’interesse applicati dalla banca sarebbero illegittimi perché di gran lunga superiori a quelli usurari.

Il terzo motivo lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 221 c.p.c., artt. 1325 e 1418 c.c., e art. 117 TUB. Con esso la ricorrente deduce che la Corte d’appello avrebbe dovuto – indipendentemente dal rilievo della proposta querela di falso – prendere in esame, in quanto rilevante, l’eccezione di nullità del contratto di finanziamento per vizio del consenso, atteso che i presupposti dell’uno e dell’altra sono differenti, ed occorrendo ammettere le prove testimoniali articolate, previa valutazione di ammissibilità e rilevanza.

2.1. – L’esame del secondo e del terzo motivo resta assorbito per effetto dell’accoglimento, nei sensi di cui in motivazione, del primo motivo.

3. – La sentenza impugnata è cassata in relazione alla censura accolta.

Il giudice del rinvio – che si designa in altra sezione della Corte d’appello di Venezia – provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo del ricorso, nei sensi di cui in motivazione, dichiara assorbiti il secondo ed il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa, anche per le spese, ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 25 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 luglio 2021

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