Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19433 del 23/09/2011

Cassazione civile sez. I, 23/09/2011, (ud. 27/04/2011, dep. 23/09/2011), n.19433

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.S.A., elettivamente domiciliato in Roma, al

Viale Giulio Cesare n. 71, presso l’avv. CLARY Gianluca, dal quale è

rappresentato e difeso in virtù di procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

A.N.A.S. S.P.A. (già A.N.A.S. – Ente Nazionale per le Strade), in

persona del legale rappresentante p.t., domiciliata in Roma, alla via

dei Portoghesi n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, dalla

quale è rappresentata e difesa per legge;

– controricorrente –

e

S.A.C.A.I.M. S.P.A.;

– intimata –

e sul ricorso proposto da:

A.N.A.S. S.P.A. (già A.N.A.S. – Ente Nazionale per le Strade), in

persona del legale rappresentante p.t., domiciliata in Roma, alla via

dei Portoghesi n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, dalla

quale è rappresentata e difesa per legge;

– ricorrente –

contro

C.S.A., elettivamente domiciliato in Roma, al

Viale Giulio Cesare n. 71, presso l’avv. GIANLUCA CLARY, dal quale è

rappresentato e difeso in virtù di procura speciale in calce al

ricorso;

– controricorrente –

e

S.A.C.A.I.M. S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Bari n. 515/04,

pubblicata il 10 giugno 2004.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27

aprile 2010 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. GOLIA Aurelio, il quale ha concluso per il rigetto del

ricorso principale e del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con sentenza del 10 giugno 2004, la Corte d’Appello di Bari ha accolto l’opposizione proposta da C.S.A. avverso la stima dell’indennità dovuta per l’espropriazione di un’arca della superficie di mq. 2024 facente parte di un fondo sito in (OMISSIS), disposta dal Prefetto di Bari in favore dell’Ente Nazionale per le Strade con decreto dell’11 dicembre 1996.

Premesso che il fondo era suscettibile di sfruttamento come cava, la Corte, per quanto ancora rileva in questa sede, ha ritenuto che l’indennità dovesse essere liquidata non già in base al valore agricolo, ma in base al reddito correlato all’estrazione del materiale per tutto il tempo della prevista utilizzabilità dell’area espropriata. Rilevato inoltre che con contratto del 6 gennaio 1992 l’espropriato aveva dato in affitto un’area di 12.000 mq. da sfruttarsi come cava per un periodo di dieci anni verso un corrispettivo semestrale di 40.000 tufi, ha determinato il reddito annuo unitario del fondo in Euro 1,10 al mq. con riferimento al 1992.

e quello complessivo dell’area espropriata in Euro 2.634,00 con riferimento alla data dell’espropriazione. Determinato poi in sedici anni il tempo di esaurimento della cava, ed applicato un coefficiente di capitalizzazione anticipata del 5%, ha liquidato l’indennità in complessivi Euro 91.954.21, ivi compresi Euro 28.544.66 per l’area espropriata ed Euro 63.409,55 per una cisterna presente nel fondo e per il muro di recinzione.

Quanto all’indennità di occupazione, la Corte ha ritenuto che con riguardo all’area espropriata il suo riconoscimento si sarebbe tradotto in un’indebita duplicazione, ed ha quindi affermato che essa era dovuta soltanto per l’ulteriore area di mq. 5476 occupata e non espropriata, liquidandola, ai sensi della L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 20, comma 3, in Euro 328,43 per ciascuna annualità compresa tra la data dell’occupazione e quella dell’espropriazione.

2. – Avverso la predetta sentenza ricorrono per cassazione il C. S. e l’ANAS, il primo per un unico motivo, la seconda per quattro motivi, ai quali entrambe le parti resistono con controricorsi. La S.A.C.A.I.M. non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Preliminarmente, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., va disposta la riunione dei ricorsi separatamente proposti da C. S. e dall’ANAS, avendo gli stessi ad oggetto l’impugnazione della medesima sentenza.

2. – Con l’unico complesso motivo d’impugnazione, il C. S. denuncia la carenza di motivazione della sentenza impugnata, osservando che la Corte d’Appello ha disatteso le conclusioni del c.t.u. senza spiegarne le ragioni. In particolare, essa ha desunto il reddito ricavatale dall’area espropriata dal contratto di affitto da lui stipulato, senza considerare il reddito che il fondo era in grado di produrre come cava di tufo in attività, ed individuando quale corrispettivo semestrale dell’affitto la quantità di tufi indicata a titolo di mero acconto. La Corte ha conseguentemente errato anche nella quantificazione dell’indennità di occupazione, ed ha omesso di tener conto del valore residuo del suolo all’esito dell’attività estrattiva, nonchè dei rilievi sollevati dal consulente di parte in ordine alle zone di rispetto da osservare. La sentenza è infine incorsa in un errore materiale, nella parte in cui ha condannato l’ANAS al pagamento delle spese processuali in favore di tale C., che non è stato parte del giudizio.

2.1. – Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.

Nel lamentare il vizio di motivazione della sentenza impugnata, nella parie in cui si è discostata dalle conclusioni del c.t.u. nominato nel corso de giudizio, il ricorrente si limita infatti ad affermare apoditticamente l’insufficienza e l’erroneità della motivazione, criticando i criteri seguiti nella determinazione del reddito del fondo e censurando la mancata liquidazione del valore del suolo all’esito dell’attività estrattiva, nonchè la mancata considerazione delle zone di rispetto, ma omettendo di riportare nel ricorso le parti salienti della relazione di consulenza ed astenendosi dallo svolgere puntuali osservazioni in ordine al contestato apprezzamento, al fine di consentire a questa Corte di valutare la decisività delle risultanze non considerate dalla Corte d’Appello. Tale difetto di autosufficienza si traduce nella prospettazione di un giudizio difforme da quello emergente dalla sentenza impugnata, del quale il ricorrente chiede sostanzialmente una revisione, non consentita a questa Corte, alla quale non è conferito il potere di riesaminare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-ibrmale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuta dal giudice di merito, al quale soltanto spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza e la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr. Cass., Sez. 3^, 18 aprile 2007, n. 9245; 30 agosto 2004. n. 17369; Cass., Sez. lav., 9 gennaio 2006. n. 79).

2.2. – Nella liquidazione dell’indennità di espropriazione, la Corte territoriale ha d’altronde tenuto opportunamente conto della destinazione del fondo espropriato all’attività estrattiva, facendo riferimento al valore di mercato dell’immobile, ai sensi della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39, in ossequio al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui le cave, quali entità fruibili direttamente in termini di appropriazione materiale non reversibile nè rinnovabile, costituiscono beni dotati di una propria consistenza giuridica ed economica, non assimilabili ai terreni a vocazione agricola, con la conseguenza che non possono trovare applicazione i criteri previsti dalla L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 16, per le aree non edificabili, dovendosi lare invece riferimento al reddito netto ricavabile per tutto il tempo della prevista coltivazione della cava, ovvero, in caso di affitto a terzi, alla relativa rendita, salvi i calcoli di attualizzazione (cfr. Cass., Sez. 1^, 30 agosto 2007. n. 18314: 22 febbraio 2000, n. 1975; 6 novembre 1999, n. 12354; 20 giugno 1991, n. 6978; 30 maggio 1991, n. 4848).

Non merita consenso l’affermazione del ricorrente, secondo cui il danno avrebbe dovuto essere liquidato in base al reddito che egli avrebbe potuto ricavare dallo sfruttamento della cava, avendo la Corte d’Appello tenuto conto delle modalità effettive di utilizzazione dell’immobile risultanti dalla documentazione prodotta, dalla quale emergeva che la cava era destinata all’affitto in favore di terzi anzichè all’esercizio diretto dell’attività estrattiva da parte del proprietario, il quale, peraltro, non ha mai dedotto neppure di essere in possesso dell’organizzazione imprenditoriale a tal fine necessaria.

Inammissibile è poi la censura riflettente l’errata individuazione del canone di affitto, avendo la stessa ad oggetto l’interpretazione del relativo contralto, che costituisce un’indagine di fatto demandata al giudice di merito, la cui impugnazione per violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale o per insufficienza, illogicità o contraddittorietà della motivazione postula, in ossequio al principio di autosufficienza, la trascrizione nel ricorso della clausola contrattuale di cui si contesta l’interpretazione, al fine di consentire a questa Corte la verifica della rilevanza e della fondatezza della censura (cfr. Cass., Sez. 3^, 6 febbraio 2007, n. 2560; 18 novembre 2005. n. 24461: Cass.. Sez. 2^, 13 febbraio 2006, n. 3075).

Il riconoscimento, in aggiunta ai proventi dell’affitto della cava, del valore residuo del suolo all’esito dell’attività estrattiva è invece incompatibile con il metodo di liquidazione dell’indennità di esproprio seguito dalla Corte territoriale: il riferimento alla perdita economica effettivamente subita dall’espropriato trova infatti giustificazione nella qualificazione della cava come bene suscettibile di utilizzazione industriale o commerciale, e quindi oggetto di autonoma considerazione da parte dell’ordinamento, che, imponendo di tener presente, nella liquidazione dell’indennità, il prezzo di mercato dell’immobile, esclude la possibilità di includervi il valore de soprassuolo, apparendo evidente che quest’ultimo non costituisce oggetto di autonoma valutazione nell’ambito di una libera contrattazione tra privati, la quale ha normalmente riguardo alla cava, intesa nella sua globalità (cfr.

Cass.,Sez. 1^, 12 dicembre 2003, n. 19044; 26 febbraio 1991, n. 2061).

Inammissibile è infine la censura riguardante l’errore materiale nel quale sarebbe incorsa la Corte territoriale, non potendo lo stesso essere dedotto come motivo di ricorso per cassazione, il quale da origine ad un giudizio volto al solo controllo di legittimità della decisione impugnata, ma dovendo costituire oggetto della procedura di correzione disciplinata dagli artt. 287 e 288 cod. civ. (cfr. Cass., Sez. 3^, 15 maggio 2009. n. 11333: 20 febbraio 2006, n. 3656).

3. – Con il primo motivo del proprio ricorso, l’ANAS denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. n. 865 del 1971, art. 29 e della L. n. 2359 del 1865, art. 13, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto ammissibile l’opposizione alla stima, sul presupposto dell’avvenuta emissione del decreto di esproprio, senza considerare che quest’ultimo era stato emanato dopo la scadenza del termine fissato per l’ultimazione dei lavori, con la conseguenza che, essendosi nel frattempo realizzata l’irreversibile trasformazione del fondo, l’opponente aveva diritto soltanto al risarcimento dei danni.

3.1. – La censura è inammissibile, avendo ad oggetto una questione che implica un accertamento di fatto non trattata nella sentenza impugnata, e non essendo stato dedotto che la stessa sia stata sollevata nel corso del giudizio di merito, nel quale, come si evince dalla sentenza impugnata, l’ANAS si è limitata ad eccepire il diletto di giurisdizione del giudice adito e l’inosservanza del termine di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 19 (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. 3^, 3 marzo 2009, n. 5070; Cass., Sez. 1^, 30 novembre 2006. n. 25546).

4. – Il parimenti inammissibile il secondo motivo, con cui l’ANAS deduce la violazione e la falsa applicazione della L. n. 2359 del 1865, artt. 39 e 40, nonchè l’insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, osservando che la Corte d’Appello ha desunto la destinazione del fondo da un verbale di sopralluogo, da verbale d’immissione in possesso e dal contratto di affitto stipulato dall’opponente, omettendo di tener conto che in sede di c.t.u. l’area occupata era risultata pressocchè abbandonata e priva di tracce di recente utilizzazione come cava, che dal certificato di destinazione urbanistica emergeva la destinazione al recupero ambientale, la quale presuppone l’avvenuta cessazione dell’attività estrattiva, e che nè il proprietario nè l’affittuario risultavano in possesso della relativa autorizzazione.

4.1. – Il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione in ordine alla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, è infatti tenuto, in ossequio al principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, ad indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare, e quindi delle prove stesse, che questa Corte deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto (cfr. tra le più recenti, Cass., Sez. 6^, 30 luglio 2010, n. 17915; Cass., Sez. 3^, 22 febbraio 2010, n. 4201).

Tale onere nella specie non può ritenersi assolto, essendosi l’ANAS limitata a criticare la sentenza impugnata, nella parte in cui, ai fini dell’accertamento della destinazione del fondo espropriato, si è discostata dalle risultanze della relazione depositata dal c.t.u.

e della documentazione prodotta da essa ricorrente, trascrivendo però in maniera molto frammentaria tali documenti nel ricorso, ed astenendosi dal riportare il contenuto di quelli ai quali ha fatto riferimento la Corte d’Appello, con la conseguenza che risulta impossibile qualsiasi valutazione in ordine alla pertinenza delle censure sollevate.

5. – L’incontestabilità della sentenza impugnata, nella parte in cui ha accertato la destinazione del fondo espropriato allo sfruttamento come cava, comporta l’infondatezza del terzo motivo, con cui l’ANAS lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 100 cod. proc. civ. e dell’art. 2043 cod. civ., nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, osservando che, anche a voler ammettere che l’area occupata potesse essere sfruttata come cava, tale utilizzazione era di certo cessata alla data dell’espropriazione, avendo l’opponente provveduto alla stipulazione del contratto di affitto.

5.1. – Una volta accertata, con riferimento alla data dell’occupazione, l’attualità della destinazione del fondo all’attività estrattiva, appaiono pienamente condivisibili le conclusioni cui è pervenuta la Corte d’Appello, la quale ha ritenuto che l’affitto dell’immobile a terzi per lo svolgimento della medesima attività comportasse l’esclusione dello sfruttamento diretto da parte del proprietario, ma non anche il venir meno della redditività connessa a tale destinazione, ed ha pertanto liquidato l’indennità di espropriazione mediante l’attualizzazione del canone di affitto, anzichè dei proventi ricavabili dall’esercizio diretto dell’attività estrattiva.

6. – Con il quarto motivo, l’ANAS denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. n. 865 del 1971, art. 20 e della L. n. 2359 del 1865, art. 13, nonchè l’insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, censurando la sentenza impugnata nella parte concernente la liquidazione dell’indennità di occupazione, che avrebbe dovuto essere riconosciuta fino alla data fissata per l’ultimazione dei lavori, ed avrebbe dovuto essere calcolata anno per anno in base all’indennità di esproprio virtualmente dovuta alla relativa scadenza.

6.1. – Il motivo è inammissibile nella parte in cui si riferisce all’individuazione della durata dell’occupazione legittima, in quanto, sollecitando un accertamento di fatto in ordine alla sopravvenuta inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità, in conseguenza della scadenza del termine per l’ultimazione dei lavori, pone una questione nuova che, non risultando esaminata nella sentenza impugnata, non può trovare ingresso nel giudizio di legittimità, non essendone stata dedotta l’avvenuta proposizione nel giudizio di merito.

6.2. – Il motivo è invece infondato nella parte in cui si riferisce alla liquidazione dell’indennità di occupazione.

Tale indennità è stata infatti determinata, avuto riguardo alla vocazione agricola dell’area occupata, secondo i criteri di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 20, assumendo come parametro di riferimento l’indennità virtuale di espropriazione, liquidata ai sensi dell’art. 16 della medesima legge, in base al valore agricolo medio del fondo risultante dalle tabelle acquisite agli atti. Tale modalità di calcolo non appare di per sè censurabile, non essendo stato dedotto che il valore assunto come riferimento abbia subito significative variazioni nel periodo compreso tra la scadenza di ciascuna annualità e la liquidazione dell’indennizzo.

E’ vero, infatti, che, poichè il diritto all’indennità di occupazione matura al compimento di ogni singola annualità, è in relazione a ciascuno di tali momenti che dev’essere determinata l’indennità di espropriazione da assumere come base di calcolo, con la conseguenza che, ove il parametro di riferimento per la sua determinazione abbia subito nel tempo variazioni apprezzabili, ad ogni scadenza deve procedersi al calcolo dell’indennità virtuale di espropriazione, in base alla quale va poi liquidata quella di occupazione (cfr. Cass., Sez. 1^, 16 settembre 2009. n. 19972: 2 maggio 2006, n. 10133; 13 dicembre 1999, n. 13942). E’ stato tuttavia precisato che, ove non sia dimostrato l’intervento delle predette variazioni, il mero scarto temporale rilevabile tra la data di liquidazione dell’indennità di espropriazione e la maturazione del diritto all’indennizzo per ciascun anno di occupazione non impedisce di assumere la prima come base di calcolo ai fini della determinazione del secondo (cfr. Cass., Sez. 1^, 27 luglio 2007, n. 16744; 13 gennaio 2006, n. 563).

7. – I ricorsi vanno pertanto rigettati, con la dichiarazione dell’integrale compensazione delle spese processuali tra le parti, avuto riguardo alla reciproca soccombenza.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, li rigetta entrambi e dichiara interamente compensate tra le parti le spese processuali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 27 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2011

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